martedì 6 luglio 2010

Liberaci dagli sbirri: un noir in un profondo Sud d'Italia dimenticato dagli uomini e da Dio


Liberaci dagli sbirri, opera narrativa prima di Gabriele Reggi (Isbn Edizioni, 2010) si presenta come una lettura interessante ed insolita nel panorama della narrativa italiana odierna, fuori dai canoni (tra gli scrittori che ho praticato, mi farebbe pensare un po' allo stile di Eraldo Baldini, molto attento all'ambientazione territoriale, "romagnola" delle sue storie che diviene protagonista grazie anche alla forte preparazione etno-antropologica dell'autore).
Reggi ci offre una raprresentazione - forse non tanto lontana dall vero - su come sono le cose nel profondo Sud dell'Italia contemporanea che, per come è rappresentata, parrebbe ferma all'età della pietra (i fatti di Rosarno, relativamente recenti, dimostrano che Reggi non si discosta poi tanto dalla realtà nel rappresentare una simile feroce distorsione della civiltà contadina e della magia rituale-religiosa che la pervade (si pensi a "Cristo si è fermato ad Eboli") in cui i rituali imposti dal Cattolicesimo sono soltanto la verniciatura più recente.

E' un romanzo che si può leggere come una fiction (che, come dicono le note di presentazione del volume, possiede qualche coloritura horror in stile kinghiano nella rappresentazione di un "borgo" maledetto i cui abitanti sono tutti vincolati da un patto scellerato) oppure come un documento di denuncia mascherato da fiction.

D'altra parte l'horror vero è quello he si nasconde negli angoli riposti della nostra quotidianità e che permea le relazioni con il nostro prossimo (fatte di violenza, prevaricazione, crudeltà).

E' anche molto accurato lo studio antropologico della comunità di Stimmate (inventata, ma sicuramente ricalcante qualche luogo della realtà del Sud ben conosciuto dall'autore) che Reggi riesce a costruire in modo sintetico, ma incisivo: anche la Religione (anche se poi, a ben vedere, nella sua cornice codificata, si inseriscono e trovano una loro rispettabilità condivisa dei rituali radicalmente pagani) qui è asservita ad un sistema di potere che deve essere mantenuto a tutti i costi.

La scuola, come istituzione educativa dello Stato è sentita come un'ingerenza in questo sistema, così come le istituzioni dello Stato tendenti a mantenere l'Ordine costituito, e le è consentito solo di avere un ruolo educativo del tutto secondario e di scarsissima incisività: fondamentalmente rimane collusa e non riesce a portare alcun messaggio innovativo. Gli insegnanti in quanto rappresentanti di uno stato alieno sono assimilitati agli "sbirri".
Potrebbe venirne fuori uno straordinario film, se diretto da un regista sufficientemente visionario...
Questa in breve la sintesi della storia, come viene presentata dalla stessa casa editrice.
Spedito a far supplenze in una scuola del Sud più profondo, il protagonista di questo romanzo si accorge ben presto di essere finito in un villaggio dei dannati partorito dalla mente di Stephen King o da un B-movie italiano, più ancora che da Ignazio Silone o da Ernesto De Martino. Non solo per il tasso di mafiosità che spinge ogni giorno grandi e piccini a pregare "liberaci dagli sbirri", e neppure per il caporalato che costringe tutte le donne del paese a lavorare nei campi guardate a vista da feroci kapò, ma soprattutto per il rito tribale che sembra tenere insieme la comunità: un cruento remake della crocefissione che ogni anno segna il destino del paese. Il destino del protagonista, invece, è segnato fin dal primo momento: innamorato perdutamente della donna sbagliata, la ragazza del Capo, picchiato e malconcio, progetta la grande fuga

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