martedì 11 marzo 2008

"Cchi capiddi chi aio! ". Quando tutto è relativo...

A Palermo, c'è un ufficio comunale sempre affollatissimo - nei giorni di ricevimento: ciò dipende dal fatto che presiede agli interventi abitativi. Folle di questuanti si accalcano in strada, davanti al portone, mentre altri fanno la fila per salire sino al nono piano dov'è ubicato l'ufficio in questione (incongruamente posto in cima ad un edificio in origine destinato ad altri usi e pressocché privo di vie di fuga praticabili, alla faccia della legge 626!).
L'orda,
composta da gente di tutti i tipi, è pittoresca: dominano la scena soprattutto individui malestanti economicamente tra i quali, a volte, si mescolano soggetti - a giudicare dalle apparenze - poco raccomandabili. E sono tutti in attesa di ricevere l'assegno integrativo per il pagamento della pigione oppure, essendo senza casa, d'una sistemazione abitativa a spese dell'amministrazione comunale (in locanda o chissà dove). A volte, ci sono esplosioni di malcontento, tentativi di occupazione degli uffici comunali, piccole manifestazioni di rivolta e vivaci proteste, alimentate dai più facinorosi, con contenitori della carta da riciclare che finiscono capovolti, con qualche vetro rotto, insulti e male parole. Questa folla, a dire il vero, ispira di primo acchito pensieri tristi, costituita com'è - per la massima parte - da cittadini in difficoltà ed in stato di bisogno, che - con diuturna assiduità ed eroica perseveranza - si presentano a questo ufficio per risolvere problemi di primaria importanza, strettamente correlati con la sopravvivenza e la salvaguardia della propria dignità.
Per certo, la miseria e le difficoltà esistenziali non vanno bene a braccetto con una visione "estetica" della vita:
così, giorno dopo giorno, a chi dovesse trovarsi da quelle parti capiterebbe di osservare una galleria di personaggi - anzi di iper-tipi - alcuni dei quali sembrano piombati direttamente sotto i cieli nostrani da qualche cupa pittura fiamminga alla maniera di Bosch.
Pur provando un empito di comprensione, non si può evitare di guardare alla scena con uno sguardo ironico e sdrammatizzante. Allora si potrà osservare che l'ambiente è dominato - anche per un semplice problema di stazza - da grassoni e grassone dotati di pancioni debordanti, braccia grosse come flaccidi lacerti e cosce delle dimensioni di prosciutti: il prodotto di una dieta "mediterranea" declinata in maniera sbagliata, cioè - altri termini - fondata sull'ingurgitazione di quantità industriali di pasta asciutta, che gli uomini annaffiano con abbondanti libagioni di birra e vino.

C'è da sentirsi un po' intimoriti, quando ci si trova a fendere una simile marea umana, specie quando si percepisce che l'umore della folla è "esplosivo" vicino al punto di rottura, a causa di inadempienze e ritardi del Comune nel fornire pronte risposte ai postulanti.
Un bel dì, proprio mentre mi accingevo a salire al mio piano con il vecchio ascensore fatiscente che sembra dover tirare le cuoia da un momento all'altro, sono sopraggiunti trafelati due donnoni che, ansimando come locomotive e senza tanti complimenti, si sono infilati nella cabina di per sé angusta, rendendola con la loro mole ancora più piccola, malgrado lo specchio a parete sul fondo.
Delle due, una più giovane dotata d'un grosso ventre prominente e tondeggiante, già ben messo malgrado l'età, era – per il resto - del tutto sciatta ed insignificante; l’altra più anziana era decisamente obesa, con un tronco globoso di immani proporzioni e l’addome prominente poggiati su due gamboccie, al confronto con il resto esili, sciatta tanto quanto la più giovane. La massa totale delle due donzelle e l’immediata sensazione d'ingombro dell’angusto spazio disponibile, m'hanno fatto temere per la mia incolumità.
Ho cominciato a sudare freddo, pensando anche alla iperbolica possibilità che le due in un impeto d’ira cominciassero a schiacciarmi contro la parete con la semplice pressione del loro ventre. È stata immediata la comparsa di lievi intomi claustrofobici, facilitati nel loro esordio dall’impregnazione dell’aria (a disposizione in quantità ristretta) di celestiali effluvi.
Rimanendo in silenzio e stoicamente facendo finta di niente, ho cercato di dominare la nausea e le ondate di panico che arrivavano senza requie, una appresso all’altra, in un tempo dilatato ed interminabile…

Partito l’ascensore, la più anziana ha preso ad osservarsi allo specchio: al termine dell’operazione prolungata ed analitica, ha fatto un’espressione infastidita (forse anche un po' schifata) e, con voce petulante, ha commentato: “Cchi capiddi chi aio!”, mostrandosi oltremodo critica con se stessa (esteticamente parlando) – ma soltanto nei confronti dei suoi capelli, in disordine, annodati, infeltriti o semplicemente non lavati e, per di più, alquanto untuosi.
La deformità del suo profilo, la sciatteria degli abiti, l’inestetica ciccia grondante da ogni parte erano evidentemente per lei del tutto nei parametri della “normalità” e quindi non da considerare difetti, ma forse addirittura - in un rovesciamento paradossale - quasi dei pregi.

Questa battuta assieme all’espressione che ha deformato il volto del donnone, imprimendole una mimica tra il vezzoso e l’irritato (forse anche un po’ schifato), ha prodotto un irresistibile effetto comico, suscitando in me uno scoppio di risa silenziose - immediatamente curative dei sintomi claustrofobici di pochi istanti prima. Tanto che, appena arrivato in ufficio, non ho potuto fare a meno di raccontare l’episodio più volte, suscitando una generale ilarità, molto politicamente scorretta.
Ma lo humour, a volte, deve
per forza essere un po' politicamente scorretto!!!

lunedì 10 marzo 2008

Specchio infranto



Dietro la fitta siepe
opaca allo sguardo

una voce di donna
grida
(concitazione)
Se mi dici questo perdo la pazienza

silenzio

silenzio

silenzio


Poi di nuovo

Se mi dici questo perdo la pazienza
e la voce
già sopra le righe

si spezza

in pianto accorato

di solitudine


Da qualche parte

uno specchio

va in frantumi

con argentino spicinìo

di vetri infranti


Silenzio


Dissolvenza




domenica 9 marzo 2008

A ciascuno il suo festeggiamento

Appena ieri, è stata la ricorrenza della festa della donna che, per alcuni, è passata inosservata. Tanti - e non solo le dirette interessate, l'altra metà del cielo - se ne sono ricordati. Lo testimoniano articoli a tempesta sui quotidiani e sui periodici, sia di anticipazione sia di cronaca, ma anche servizi radiofonici e televisivi; e poi i tantissimi piccoli episodi in cui - nella dimensione privata - la ricorrenza dell'8 marzo è stata una bella occasione, più che altro una scusa per scambiarsi gentilezze e "tenerumi" vari, tutte quelle piccole cose che rendono piacevole la vita, insomma
Purtroppo, anche in questo caso, è la mediatizzazione a farla da padrona. Quindi, negli ultimianni, la Festa della donna sembra aver perso i suoi significati originari per diventare un'occasione di trasgressione e di eccessi, pilotata dal volane della pubblicità.
Ma lasciando gli aspetti più eclatanti della Festa della donna all'ambito della pubblicità e della commercializzazione sfrenata, entrambi atroci meccanismi che divorano avidamente tutto quanto per restituirlo ben confezionato ad un pubblico di diligenti consumatori, ben venga questo momento per i pensieri gentili!!!
Anzi di feste della donna ce ne vorrebbero proprio tante nel corso dell'anno. Forse, addirittura, ogni giorno dovrebbe essere buono per festeggiare le donne e per rendere loro la giusta attenzione...
Io, sempre disattento alle ricorrenze "comandate", mi sono dimenticato d'un evento così importante. Poi, mentre viaggiavo in auto a circa metà giornata, ho notato alcuni venditori ambulanti che si affaccendavano, allestendo mazzetti e serti di mimose, piccoli mazzetti fatti di un solo rametto - come si suole fare - avvolti in un lembo di sottile carta stagnola. Sono stato preso da una folgorazione: "Whoops!!!" - ho detto ad alta voce - "Quale atroce dimenticanza!" E ho sentito dentro una fitta di lacerante dispiacere. "Devo testè rimediare!!! Anch'io voglio scovare qualche rametto fiorito ed inviarlo alle mie amiche" - ho aggiunto tra me e me.
Mi ripugnava, però, fare ricorso ai fiori veri, quelli appena recisi dalla pianta, perché quelli - poverini - fanno proprio stringere il cuore, evocando una vera e propria ecatombe di acacie e mimose indifese, che vengono letteralmente affettate per ricavarne fiori e rametti.
Quindi, tornato a casa, in internet, ho beccato un paio di fioriture di mimosa decisamente più nature, per quanto virtuali e, in extremis, tramite le mail salvifiche, sono riuscito a varare i miei auguri per la festa della donna.
Sono davvero grato a queste mimose "trovatelle", sparse da qualche mano benevola nella rete...
A ciascuno, il suo festeggiamento.
Peccato che non ci sia la festa dell'uomo: chi sa cosa ci spetterebbe?




Postscriptum - La cosa più importante, tuttavia, è stato il fatto che ieri ricorreva il 90° compleanno di nostra madre. Grazie, mamma, di essere stata con noi per tutti questi anni. E un grazie di cuore anche alle nostre cugine Luciana e Roberta che, con il loro entusiasmo e con la loro dedizione, ci hanno dato la possibilità di dar vita ad una bellissima festa!!!!


sabato 8 marzo 2008

Ferlinghetti e la porta invisibile



For Lorenzo
should he someday

come upon himself

in that labirinth
of solitude
Ieri, rovistando tra i libri di uno scaffale di casa, mi sono imbattuto in un libricino della Newton Compton, comprato anni fa in un remainder. Lo scaffale in cui mi ero ritrovato a cercare un altro libro che in quel momento avevo in mente è quello dove tengo i libri di poesia e, in particolare, quelli dei poeti della "Beat generation". Il libro che mi è letteralmente piovuto tra le mani era il diario di un viaggio in Messico di Lawrence Ferlinghetti, poeta ed editore alternativo di San Francisco ai tempi della psichedelia (Lawrence Ferlinghetti, Notte messicana. Diario di viaggio, Newton Compton Editori,1980).

Già avevo avuto modo di leggere al tempo dei miei vent'anni una raccolta delle sue migliori poesie che allora avevo amato davvero molto: fu uno dei libri ereditato da mio padre. Invece questo, appena comprato (avendolo trovato correndo un catalogo remainder per corrispondenza), l'avevo subito riposto per dimenticarmene. Invece, ieri, l'ho aperto e l'ho sfogliato, leggendo qua e là. Mi è piaciuto. Mi ha rapito. Ne ho letto alcuni passaggi ad alta voce per assaporarne le singole parole come fossero chicchi d'uva dolcissima da degustare, facendoli rotolare sulla lingua e schiacciandoli a poco a poco per spremerne tutto il succo. Il testo a fronte in Inglese mi consentiva anche il piacere di passare a quello in lingua originale per poter sentire il sound di parole e frasi così come Ferlinghetti le aveva concepite. Non bisogna dimenticare che egli - come la maggior parte degli altri poeti nordamericani di quel periodo - scriveva avendo in testa l'idea che la sua poesia andasse letta ad alta voce di fronte ad un pubblico di ascoltatori, nei famosi "poetry reading", mai molto praticati in Italia ed in Europa.
C'è indubbiamente un destino ineluttabile che ti porta ad incontrare un certo libro che magari ha giaciuto dimenticato per anni nella tua biblioteca, negletto. E quando ciò accade, non ci si può sottrarre. Posarlo di nuovo e dimenticarsene di nuovo sarebbe come sfidare la sorte.
Questa è la composizione che conclude il diario di viaggio di Ferlinghetti, composta il 24 marzo '69.

La puerta escondida

no es escondida


La puerta invisible


no es invisible


La porta sull'invisibile

è invisibile
La porta nascosta
non è nascosta

Io continuo ad attraversarla

senza vederla

E sono quello che sono

E sarò quello che sarò
Sobre las playas perdidas
del Sur...


giovedì 6 marzo 2008

Rose di passione

Un gambo di rosa divelto
di spine taglienti
e
verdissime foglie dentellate
giace sull'asfalto

Raccoglilo,

stringilo
tra le mani,
lascia che quelle spine
lacerino la tua pelle


Voluttuosi
boccioli rossi
fioriranno dalle ferite
e cadranno sino a terra

volteggiando leggeri

Ogni goccia
del sangue versato
diverrà una rosa rossa

Rose di passione
e di dolore





 
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