domenica 30 agosto 2009

A Palermo, La PFM canta De André


Il 28 Agosto ho ascoltato a Palermo il concerto dei PFM:" La Premiata Forneria Marconi canta De André".
Il concerto è stato insolitamente lungo: solitamente, con l'inizio standard alle 21.30, similari manifestazioni alle 23.30 sono bell'e terminate, con bis e tutto quanto.
Questo concerto, invece, si è protratto sin quasi alle 24.30.
La band ha eseguito il repertorio classico della famosa tournée con De Andre', più una serie di suoi pezzi della PFM, molto più rockettari, con l'inserimento - come in ogni concerto rock che si rispetti - di virtuosismi solisti.
Grande presenza scenica, grande abilità strumentale e sottili emozioni nella riproduzione
vintage di quella famosa tournée che, assieme alla registrazione in studio dell'LP "La buona novella" diede all'allora emergente band notorietà davanti al grande pubblico.
In chiusura, standing ovation con il medley finale.
Non male, secondo me, ma forse alcuni pezzi avrebbero potuto risparmiarseli, snellendo leggermente il palinsesto.
Le gradinate fitte di pubblico: pochissimi i giovani, moltissimi i nostalgici di tutte le età e i fan assoluti di De André.

venerdì 28 agosto 2009

Impossible is nothing! Niente è impossible!


Nell'affrontare le cose che ci piacciono e soprattutto nuove imprese ( che richiedono nuovi apprendimenti) - quelle che implicano il superamento di difficoltà, anche non estreme - e comportano l'accettazione di una sfida, una delle qualità richieste per avere successo è la capacita' di credere fino in fondo in ciò che stiamo facendo!
Una persona che mi è oltremodo cara ama dire
"Impossible is nothing"...
E mi redarguisce aspramente se oso dire:
"Non posso farlo", oppure "Non so farlo".
E questo vale per le piccole cose e le grandi cose.
La mia amica è una severa ed esigente maestra...
Applicando questo suo principio, ho preso a metà agosto il brevetto per le immersioni subacquee sino a 18 metri...
"Impossible is nothing" è, tra l'altro, la frase-logo di una recente campagna pubblicitaria della Adidas che utilizza come testimonial alcuni grandi atleti interpreti di diverse discipline sportive, ciascuno dei quali racconta come è riuscito ad emergere e ad arrivare a livelli di eccellenza superando limiti e difficoltà personali.
E' una frase che va bene a tutti quelli che credono fermamente a quello che fanno e che hanno la capacità di andare sino al fondo delle cose che affrontano, una frase che li può rappresentare efficacemente nel loro impegno e nella loro dedizione.

La mia amica ha stampato la frase-manifesto e l'ha incollata sul portello del frigorifero di casa, sicchè ogni giorno lei stessa possa leggerla e trarne forza.

Eccola (e metto anche la versione spagnola, perchè a lei sicuramente piacerà)

"Impossible is nothing"
Impossibile e' solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano piu' facile vivere nel mondo che gli e' stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo.
Impossibile non e' un dato di fatto, ...e' un'opinione.
Impossibile non e' una regola e' una sfida.
Impossibile non e' uguale per tutti.
Impossibile non e' per sempre.
Impossible is nothing

Imposible es una palabra que usan los hombres débiles para vivir fácilmente en el mundo que se les dio sin atreverse a explorar el poder que tienen para cambiarlo.
Imposible no es un echo es una opinión.
Imposible no es una regla es un desafío.
Imposible no es iguala para todos.
Imposible es temporal.
Impossible is nothing

martedì 18 agosto 2009

Strade vuote, solitudini metropolitane, il mondo in un fazzoletto


Strade vuote, di passanti e automobili.
Una città deserta: anticipazione dell'apocalisse, scenario più banalmente l'effetto dell'esodo ferragostano.
Negozi desolatamente vuoti, spenti, vetrine smobilitate.
Cinema senza locandine dei prossimi spettacoli, sbarrati, con cartelli bianchi che annunciano "Chiuso per ferie".

Solo qualche passante solitario, indolente.
Qualcuno con il cane a passeggio con due palmi di lingua fuori, penzolante.

Eppure queste strade vuote hanno un loro fascino segreto e un aspetto mutevole nelle diverse ore del giorno: nella calura meridiana, quando l'asfalto rammollito dai raggi del sole ardenti bolle sotto i piedi e quando le ombre della sera si allungano e comincia a fare un po' di fresco.
Vagando in questa atmosfera inconsueta, scopro cose nuove e mai viste: un Sushi bar a poca distanza da casa mia, animato da presenze esotiche, volti orientali, turisti stranieri che vengono sin qui appositamente mossi da qualche pubblicità captata nella rete; una libreria per del tutto nuova, dal nome suggestivo ("Incipit") dagli arredi sobri e niente libri esposti in vetrina in una strada secondaria che si sta popolando di negozi interessanti, come un emporio indiano conmerci esotiche affastellate in strana mescolanza conprodotti occidentali, o un punto espositivo-vendita della Bang & Olufsen che adesso si è specializzato anche in prodotti della Apple, una nuova pizzeria - stessa gestione dei "Comparucci" ubicata in una delle vie del centro.
Ovviamente, tutti con il solito cartello "Chiuso per ferie" in bella vista.

E, naturalmente, all'angolo di quella via, Ninetta la barbona: lei è stanziale, non va mai in ferie, indifferente a pioggia, gelo, vento e arsura... e ci ricorda che, per alcuni, il mondo si può restringere ad una circoferenza ideale e materiale di poche decine di metri e che, all'interno di quel cerchio, si può trovare tutto ciò che occorre, a condizione di essere frugali e di aver rinunciato ad ogni desiderio.
Da noi, nelle città, il Ferragosto e i giorni adiacenti, sono sinonimo di desolazione metropolitana.
Ma sono i momenti in cui si può cantare a squarciagola "Tutta mia è la città...", legittimamente.
Chi rimane, è il padrone assoluto della metropoli...
Sono sempre sorpreso da quante cose io possa trovare dentro un breve raggio da casa mia...
L'universo in un quartiere: in fondo, per conoscere il mondo non è necessario allontanarsi più di tanto dal luogo in cui si vive (o perfino dalla propria stanza).
Tutto è isomorfico.
In ogni frammento della realtà che ci circonda è contenuto il mondo più vasto, in un gioco di segrete simmetrie e di corrispondenze.


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Nell'ultimo romanzo di Robin Cook viene affrontato il tema del turismo medico


Che noia mortale leggere i romanzi di Robin Cook!!!
Ogni volta mi riprometto: mai più!
E poi, all'uscita di un nuovo romanzo, cado nella trappola. Questa volta è stato il turno di "Corpo estraneo"(Sperling & Kupfer, 2009).
A differenza di altri dello stesso autore che hanno causato in me una viscerale irritazione e, da un certo punto in avanti, soporifere reazioni, al punto da indurmi ad interrompere precocemente la lettura, questo mi ha intrigato più di altri, malgrado le sue scadenti qualità letterarie (tra stile narrativo
pedissequo, lungaggini e lentezze eccessive per arrivare poi ad un colpo di scena già scontato in partenza che viene disvelato, ma senza alcun pathos, piattezza dei personaggi).
Il più delle volte, i romanzi di Robin Cook, considerato uno dei maggiori scrittori - se non il re - del genere definito "medical thriller" possono avere un interesse più per gli spunti tematici che non per loro intrinseche qualità letterarie.
E, in questo senso, possono valere come strumento di conoscenza per argomenti poco esplorati e poco conosciuti dal grande pubblico.

Corpo estraneo
illustra il tema del cosiddetto "turismo medico", includendo nello sviluppo narrativo una serie di paradossali risvolti e la tematica del complotto, ordita da certe associazioni sanitarie statunitensi infastidite dalla concorrenza del sistema di cliniche private indiane, dove sempre più frequentemente i pazienti americani si fanno ricoverare per interventi chirurgici i cui costi, negli Stati Uniti, sarebbero proibitivi.
In sintesi, la trama:
Jennifer Hernandez, studentessa al quarto anno di medicina all'Università di Los Angeles, sta facendo una pausa quando sente al telegiornale una notizia che la sconvolge: sua nonna è morta in un ospedale di New Delhi dopo aver subito un'operazione all'anca. Maria Hernandez si era affidata al cosiddetto turismo medico, recandosi in India per sottoporsi a cure che altrimenti non si sarebbe potuta permettere. Distrutta dal dolore ma determinata a fare chiarezza sulle circostanze del decesso, Jennifer parte per l'India. Dopo aver scoperto altre morti misteriose che la dirigenza dell'ospedale cerca di insabbiare con frettolose cremazioni, la ragazza decide di chiedere aiuto alla sua amica e mentore Laurie Montgomery, a sua volta legata a Maria da un rapporto profondo. Laurie, insieme con il marito Jack Stapleton, si precipita in India e si trova di fronte a una struttura medica inaspettatamente sofisticata, dove il margine d'errore è ridotto al minimo. Man mano che le morti si fanno sempre più numerose e gli interrogativi più inquietanti, all'orizzonte si profila un sinistro e intricato complotto di proporzioni globali.
Diciamo pure che il complotto attiene alla dimensione romanzesca, ma lo spunto è reale. Mettendo nel motore di ricerca "turismo medico" si trovano a rimandi a ben 280.000 pagine tra cui molte specifiche dedicate alla bontà del servizio sanitario indiano per pazienti a pagamento provenienti da oltre oceano e per quei pochi indiani residenti che possono sobbarcarsi quelli che, per i parametri indiani, sono dei costi davvero elevati. Si apprende anche che, ormai, esiste una rete di agenzie turistiche specializzate nell'organizzazione di viaggi della salute verso le mete più disparate (tra le quali primeggiano Brasile per la chirurgia estetica, paesi dell'Est e India).
Diciamo pure che, per questa volta, Robin cook si è davvero salvato in corner, ma dal punto di vista letterario è una ben misera vittoria.
Anzichè imbastire un romanzo, avrebbe potuto dire le stesse cose, molto più efficacemente con un racconto di 30-40 pagine al massimo.

Tutto il resto è soltanto folklore e uno spunto per la descrizione di scenari indiani che ho avuto modo di apprezzare letterariamente, con molta maggiore intensità, nelle pagine di Shantaram oppure di Dodici domande (il bellissimo romanzo - scritto da un Indiano - da cui è statto tratto il folm "The millionaire").
E' proprio vero che un certo pubblico di lettori più che apprezzare le qualità narrative, con i romanzi vuole viaggiare e conoscere nuovi luoghi.
L'intrigo e il plot servono più che altro per dare al lettore lo spunto per il "viaggio", intessuto di elementi più che altro visuali, come in genere funzione una sceneggiatura nella preparazione di un film.



Robin Cook


martedì 11 agosto 2009

Il sogno come organizzatore dell'esperienza diurna


A volte i sogni - come insegnano le neuroscienze - servono a sperimentare nuovi schemi motori e quindi hanno una funzione fondamentale nell'apprendimento di sequenze psicomotorie da poco sperimentate e nel loro consolidamento.
Questo punto di vista rappresenta un arricchimento della teoria freudiana sui sogni, in cui il sogno funge sempre - sia pure attraverso una serie di mascheramenti e depistaggi (dovuti all'azione di alcuni meccanismi psichici "di difesa") - in funzione dell'"esaudimento del desiderio".
Per esempio, l'altra notte, mi sono ritrovato a fare questo sogno.
Ero sott'acqua, nel corso di un'immersione subacquea (in assetto da scuba diving, quindi con bombole, GAV e tutto il resto). In profondità, mi ritrovavo senza più aria nelle bombole e senza nessun compagno d'immersione a portata di mano che potesse aiutarmi. Di conseguenza, dovevo mettere in atto la manovra di risalita prescritta e cominciavo ad andar su verso la superficie in leggera diagonale con un braccio proteso verso l'alto e l'altro a tener su la valvola per il gonfiaggio del GAV.
Salivo, salivo senza arrivare mai alla superficie. Ricordo anche che emettevo dalla gola un verso gutturale per svuotare parzialmente i polmoni ed evitare una loro sovradistensione.
Cominciavo a sentirmi in difficoltà...
Quando, ad un tratto, mi accorgevo di essermi messo in assetto orizzontale, sicchè anzichè continuare a risalire procedevo parallelo alla superficie.
A questo punto, mi sono risvegliato di colpo angosciato, riemergendo dal sogno.
Seguendo la teoria freudiana si sarebbero potute fare una serie di interpretazioni a partire dal trovarsi all'interno d'un elemento liquido, nel profondo del mare (che solitamente sta a simboleggiare le profondità insondabili dell'inconscio, ma anche il ritorno al primigenio ventre materno) e dall'impossibilità claustrofobica del poterne riemergere, sulla claustrofilia e sul suo rovescio, insomma.
Da psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico, avrei potuto intraprendere questa via ermeneutica che, indubbiamente, avrebbe portato ad una serie di successive scoperte.
Ma il sogno è illuminato da una luce totalmente diversa se aggiungo un piccolo tassello di conoscenza in più che, in questo caso, conferisce al cosiddetto "residuo diurno" un valore determinante.
Proprio il giorno prima, ero stato istruito a simulare questo tipo di emersione: una tappa importante del corso base ("Open water") del corso di scuba diving che sto seguendo.
E allora, ritornando alla premessa iniziale, questo mio sogno andrebbe inquadrato per quello che è, più correttamente, dal punto di vista neurofisologico: cioè, l'espressione del processo di apprendimento di quella particolare manovra, della sua memorizzazione (sia della sua esecuzione corretta, sia del possibile rischio connesso ad errori di procedura) in un magazzino della memoria a lungo termine e del suo inserimento nella directory degli schemi motori.
Afferma Mauro Mancia,
Le idee che i cognitivisti propongono riguardano un sogno che è una rappresentazione mentale organizzata in modo coerente, ma cui viene negata la capacità di trasferire o portare significati latenti. La narrazione del sogno viene pertanto considerata priva di significati codificati, limitata ad essere una sorgente di informazioni sullo stato della nostra mente e su noi stessi, un prodotto finale di una elaborazione della conoscenza che avviene nel sogno.
(Da Mauro Mancia, Il sogno come religione della mente, Laterza, 1987, p.103).

 
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