mercoledì 25 febbraio 2009

Lingua di suocera o lingua di gatto?

C'è un biscotto buonissimo, uno di quei biscotti secchi da dessert: lungo e sottile, dalla pasta croccante sotto i denti, è in genere fortemente ricurvo con la sua parte concava rivestita da uno strato di cioccolato fondente. Buonissimo! Squisito! Da far mugolare per il piacere!
Ne vado ghiotto e, appena posso, ne compro una buona quantità.
Sono biscotti pericolosi come una droga, perchè c'è la tendenza a mangiarli uno via l'altro sino ad aver dato fondo a tutta la scorta.
Mi ricordano la mia infanzia.
Erano i classici biscotti che mia madre offriva ad amici e parenti, quando si presentavano a casa nostra in occasione di feste e ricorrenze varie.
C'erano per me delle severe limitazioni.
Ma, ogni volta, infrangendo i divieti, mi avvicinavo di soppiatto al vassoio e, approfittando della distrazione di mia madre, intenta in conversazione, ne trafugavo qualcuno e mi ritiravo a mangiarli "al sicuro" (dietro il divano oppure al riparo di una tenda).
In questa foggia, io li ho visti e mangiati soltanto a Palermo, mai altrove.
In famiglia, li abbiamo sempre chiamati "lingue di suocera", non so perchè: forse - era quello che da piccolo mi ritrovavo a fantasticare - perchè le suocere hanno la lingua lunga o, per dirla con altro termine, sono linguacciute.
Di recente, dopo anni di "astinenza" mi sono ritrovato a comprarne, in una pasticceria dove si presentavano con un aspetto davvero invitante.
Ho detto: "...e mi dia, per favore, anche un po' di lingue di suocera...".
La signora mi ha guardato strano.
Ho replicato: "Ho detto qualcosa di sconveniente?"
"No, affatto! Ma noi, veramente, le chiamiamo lingue di gatto!"
"Ah!", ho fatto io "Forse, dal tempo in cui ero piccolo hanno cambiato nome!"
"Non saprei cosa dirle... Noi le abbiamo sempre chiamate 'lingue di gatto'!"
"Forse", ho aggiunto io, "oggi con questa afflizione del politicamente corretto non va più tante dire lingue di suocera... Magari le suocere potrebbero offendersi e se ciò accadesse, sarebbe un fatto davvero disdicevole."
"Gia, le suocere, a volte, hanno la lingua biforcuta...", ha concluso la donna, lasciandomi un po' stordito per questa sua improvvisa svolta, certamente non "politicamente corretta"...
Sono andato via un po' perplesso e turbato.
Una mia certezza irrevocabile era stata scossa...
Arrivando a casa con il dono di questa prelibatezza (il pacchetto di lingue di suocera ben confezionato), ho esclamato: "Guardate un po'! Vi ho portato delle squisite lingue di suocera!"
Tutti mi hanno guardato perplesso ed io, di rimando, ho lanciato delle occhiate alquanto stralunate.
"Come,", faccio io, "non le chiamate lingue di suocera?"
"Ma quando mai! Noi le abbiamo sempre chiamate lingue di gatto!!!"
"Ma guarda un po'! Non c'è più mondo!", ho pensato io.
"Lingue di gatto, lingue di gatto...,", ho rimuginato tra me e me, "così dicono tutti, con coro unanime".
Eppure - insisto - a me piace dire "lingue di suocera", è quello il dolce della mia infanzia, non altro.
D'altra parte, si sa bene, il lessico familiare è potente e fortemente radicato.
E, negli anni, si creano delle usanze e delle convenzioni che sono proprie ed esclusive di quel particolare nucleo familiare.

Ciò nonostante, piccato, ho voluto fare una ricerca in internet per vedere chi avesse ragione.

E a parte la sorpresa di trovare che a "lingua di suocera" corrisponde una particolare specie botanica oppure un tipo di pan-grissino che viene prodotto soprattutto al Nord, ciò che maggiormente si avvicina al prodotto gastronomico che descrivo è appunto definito con l'espressione "lingua di gatto".
Ahimé, devo ammettere la mia sconfitta, ma per me questi squisiti biscottini continueranno a rimanere sempre le "lingue di suocera", senza nessuna offesa per la suocera, s'intende! E poi, se la suocera si offende, chi se ne frega?

Lingue di suocera
Nella botanica è una pianta il cui nome è Schlumbergera della famiglia delle Cactacee e originaria del Sud America, dai caratteristici fiori.
In gastronomia:
La “Lingua di Suocera”, forma di pane molto secca e sottile, con una caratteristica forma allungata, è impastato a macchina ed è stirato a mano è un prodotto di panetteria che si ottiene mediante l’amalgamazione e la conseguente cottura in forno a 250° per circa 20 minuti dei seguenti ingredienti: farina 00, malto, sale, lievito, olio e strutto.
L’impasto è preparato in tre tempi. Si fa una prima levata con lievito madre, farina e acqua; si aggiunge farina ed acqua e si fa nuovamente lievitare; infine altra farina ed acqua fino ad ottenere un impasto molto fluido, con il 50% di acqua. L’impasto si riduce a pagnottelle di 40 grammi che vengono schiacciate con il mattarello e ridotte a lingue di 50 centimetri di lunghezza per 15 di larghezza.
Invece, vediamo la spiegazione per "lingue di gatto".
Le lingue di gatto sono biscotti particolarmente adatti per la decorazione di dolci. Appena sfornati, quando sono ancora caldi, sono estremamente malleabili: possono quindi essere forgiati in forme diverse che manterranno una volta raffreddatesi. Quelli della foto, per esempio, sono preparati con una tasca per dolci munita di bocchetta liscia e piatta con cui vengono "spremute" delle striscie abbastanza lunghe che, una volta cotte, vengono arrotolate a spirale intorno ad una matita.

Una risposta al mio dilemma l'ho avuta in un commento "competente" che fa così: "La lingua di gatto è senza cioccolato e non è curva; quella descritta è la lingua di suocera. parola di pasticcere :-))"
Entusiasta, hoocosì replicato al mio interlocutore: "Ti ringrazio della precisazione, caro amico. Mi sento autenticamente risollevato nel trovare qualcuno che sostiene il mio ricordo d'infanzia ed il mio gergo familiare. Supportato dalle tue parole, mi sento un po' meno lunare e stravagante...
Ma vallo a dire alla signora pasticciera di cui riferisco nella mia nota... Sarà davvero dura convincerla..."

Foto: l'immagine che più si approssima alla "lingua di gatto" che conosco io, solo che in questa manca il rivestimento di cioccolatto..


martedì 24 febbraio 2009

"Alla terra"... : i percorsi della memoria e la nostalgia di ciò che che è perduto


Vagavo, lo scorso settembre, per le strade di Tarquinia, assieme a mio figlio.
Una città medievale, tutta circondata da mura turrite, alta su di una rupe.
Strade lastricate di sanpietrini, antiche case rinascimentali, torri. antiche chiese.

Tarquinia e le terre della Tuscia sono la patria di Cardarelli, un poeta che - a dire il vero - non ho mai studito a scuola, ma di cui mia madre insegnante era appassionata (tanto che lo faceva studiare alle sue alunne).
Cardarelli viene considerato uno dei più importanti poeti italiani del Novecento: il "poeta della solitudine" viene definito da alcuni.
Proprio a Tarquinia nacque e qui visse in gioventù, per poi trasferirsi altrove, seguendo i suoi percorsi di vita.

Un allontanamento che, poi, in tarda età, egli rielaborò nostalgicamente come un tradimento della sua terra madre.
La cittadina ha fatto omaggio a Cardarelli, suo cittadino illustre e cantore.
Sui muri delle case sono state cementate piastrelle di ceramica colorata che recano impressi quei versi delle sue poesie in cui si parla proprio di quei luoghi.
Camminare per le vie di Tarquinia diventa così un vero percorso della memoria dedicato a Vincenzo Cardarelli e ai modi in cui egli filtrava, attraverso la sua inquieta sensibilità, le rimembranze del suo paese nativo.
Quasi alla fine dell'affascinante camminata, ci siamo ritrovati su di un poderoso bastione che guardava un paesaggio semi-desertico di colline gialle di grano ormai maturo e, qui, su di una grande lastra di terracotta un'intera poesia di Cardarelli, la poesia di un emigrante che, a distanza di anni, medita malinconico sul tradimento che ha perpetrato nei confronti della terra nutrice, madre, donna, fidanzata, moglie.
"Terra mia nativa... ", il suo incipit. "Alla terra", il suo titolo.
E' una lirica struggente che fa vibrare le corde del cuore, perchè ciascuno di noi ha dentro di sé la nostalgia e il rimpianto per qualche cosa che ha lasciato dietro, per il non-ritorno, per i ripensamenti troppo tardivi, per l'esilio a cui si è condannato a vivere per interi anni, mentre il nastro della vita lo portava inesorabilmente in avanti.

Questo il testo della poesia.

Alla terra

Terra mia nativa,
perduta per sempre.
Paradiso in cui vissi
felice, senza peccato,
ed ebbi amiche un tempo
le biscie fienaiole
più che gli uomini poi.
Nelle notti d'insonnia,
quando il mio cuore è più angosciato e grida
e non si vuol dar pace,
tu mi riappari ed in te mi rifugio.
Non memorie io ti chiedo,
ma riposo ed oblio.
E dopo tanto errare
godo in te ritrovarmi,
terra mia di cui porto
l'immortal febbre nel sangue.
Sempre più persuaso che tu sola
non m'abbia mai tradito
e che il lasciarti fu grande follia.
Così lontana sei, così lontana!
Pur di raggiungerti e annullarmi in te
anche la morte mi sarebbe cara.


domenica 22 febbraio 2009

Un dono grato, quella camminata di due ore!



Una giornata magnifica nel suo esordio.
Poi, dopo un paio d'ore, il cielo s'è offuscato.
Ma quelle due ore sono state un dono grato.
Il cielo azzurro.
Il mare liscio e quieto: la risacca, sotanto un mormorio rasserenante.
Il sole tiepido.
Non un filo di vento.
Spiaggia deserta: lungo la passeggiata, a ridosso della sabbia, molti camminatori e podisti che si accingono al loro allenamento domenicale.
Il borgo marinaro pigramente comincia ora a risvegliarsi.
I venditori di pesce e frutti di mare si affacendano per esporre la loro merce.
Rintocchi di campane dalla chiesa si spandono sul mare.
Barche da pesca dipinte a vivaci colori e battezzate con nomi di donna (donne di famiglia, è sempre così, il nome di una mamma, di una moglie o di una fidanzata): la barca, ancestralmente, come la nave, è femmina, e come una femmina va trattata, affettuosamente e con dedizione.


Il cammino verso il faro solitario sulla scogliera è splendido, come sempre, con i suoi saliscendi e con la distesa del mare che in alcuni momenti sembra farsi di oro fuso..

Il paesaggio mozzafiato.
Gabbiani volano alti, stridendo, molto oltre il ciglio della rupe stagliandosi come esili ed eleganti sagome nere sullo sfondo del cielo intensamente azzurro.
La montagna s'innalza a picco sul mare, incombendo minacciosa sulla stretta strada d'asfalto sbrecciato che fende una distesa stepposa di disi e asfodeli.
Grosse pietre sono rotolate giù dalla parete di roccia: l'effetto delle cadute di temperatura dei giorni scorsi: ognuna è grossa a sufficienza da sfracellare una macchina.
Viene spontaneo guardare intimoriti la cresta del monte, scrutando con apprensione un sommovimento, un improvviso tremito e il rullo delle pietre smosse della frana.
L'inutile fortino risalente alla 2^ guerra mondiale, il faro in abbandono (che peccato!) all'infuori della lanterna, suo cuore vitale, poi un'altra postazione militare di avvistamento; infine, la discesa lungo lo sterrato che conduce alla scogliera da cui la vista spazia libera verso Isola delle Femmine, Montagna Longa e Punta Raisi.
Su di una roccia, una scritta a caratteri cubitali di vernice rossa avivisa: "Area nudista" . Ed è qui che si entra nel cono d'ombra della montagna e, all'improvviso, s'avverte il freddo dell'alba invernale non ancora intiepidita dal primo raggio di sole.
L'ombra genera subito apprensione.
Dappertutto, solitudine e siilenzo, un balsamo per l'anima.
Il paesaggio è talmente vasto che nemmeno ci si accorge della moltitudine di podisti e camminatori che procedono in lunga teoria, in un senso e nell'altro.
Poi il ritorno.
Mondello e la riserva di Monte Gallo: uno dei più bei posti dove andare a camminare, a correre, a esplorare, a pensare, a sentire.
Mi ritengo fortunato di poter essere qui e di poter godere di tutto questo.

martedì 17 febbraio 2009

E se il ministro giapponese non si fosse "stimolato" a sufficienza?

Ha fatto scalpore la performance di basso profilo del ministro delle Finanze giapponese nel corso di un'importante conferenza stampa durante il G7, nella quale aveva a fianco il governatore della Banca del Giappone (BoJ) Masaaki Shirakawa. Shoichi Nakagawa ha smentito, dicendo che è tutta colpa di alcune medicine prese contro il raffreddore ("Ho il raffreddore e sinceramente le medicine sono state troppo forti"), ma pochi gli credono, visti anche i suoi precedenti.
Da ieri, le emittenti nipponiche trasmettono in continuazione le immagini di Nakagawa, 55 anni, conosciuto per la sua propensione al bere, mentre risponde con grosse difficoltà ai giornalisti giapponesi: la bocca impastata, lo sguardo perso nel vuoto e più volte colto dalle spietate telecamere in uno stato assopito e di caduta della vigilanza. Ovviamente, queste stesse riprese del primo ministro che dorme davanti alle telecamere o che farfuglia forse perchè ubriaco o sotto l'effetto di droghe stanno facendo il giro del mondo e sono anche presenti, a profusione, in internet.
Al di là delle conseguenze personali e politiche che avrà questa caduta di tono del personaggio politico, sii mpone una riflessione che riguarda tutti i personaggi pubblici e in particolari i politici di primo piano che ricoprono alte cariche.
Sono dei personaggi pubblici (su questo non ci piove) e la loro vita si svolge tutta sotto una lente d'ingrandimento. Presi come sono dal vortice degli impegni di partito, elettorali, legati alle cariche che rivestono, c'è da chiedersi quando mai abbiano il tempo per riposarsi o per curarsi, quando stanno male.
C'è da sorprendersi, semmai, dell'alto livello performativo che essi mettono in mostra: sono sempre brillanti, all'altezza delle situazioni, vigili, attenti. Non abbassano mai la guardia. Non si comportano come persone comuni che hanno i loro momenti di stanca e delle inevitabili defaillance.
Sono quasi dei superman.
C'è da chiedersi da dove attingano queste inesauribili riserve di energia, da dove si origina il loro tono adrenalico sempre vivace.
Ovviamente, non posso pronunciarmi in alcun modo.
Quel che è certo è che i politici, in genere, sono del tutto allineati con i valori della società contemporanea che privilegia in modo assoluto più che la dimensione edonistica, quella "performativa" (cioè un'accezione del vivere che dà il massimo valore alla performance, ovvero alla "prestazione") e che, nel perseguire il massimo dell'efficienza e della brillantenza per potere essere sempre in situazione, per poter "stare in campana" - come si dice - non disdegna il ricorso a stampelle chimico-farmaceutico (nell'ambito delle sostanze stimolanti).
Nel caso dello sventurato ministro giapponese, ribaltando la sin troppo facile i(ed invalidante) nterpretazione che è stata subito addotta per spiegare la sua performance di basso livello, si potrebbe dire che forse egli sia stato stato "umano, troppo umano" e che non si sia "stimolato" a sufficienza, avendo soltanto cercato di curarsi senza prevedere le conseguenze di effetti indesiderati ed esiziali dei farmaci che aveva assunto. Quindi, si sarebbe trattato di mancanza di avvedutezza o sottovalutazione di alcune conseguenze farmacologiche.
Forse, qualcun altro più accorto, si sarebbe curato egualmente, ma informatosi degli effetti collaterali ed indesiderati dei farmaci. si sarebbe premurato di assumere degli antidoti (sempre chimici, si intende) oppure avrebbe evitato di curarsi e cercato piuttosto di "tenersi su", rimandando a tempi migliori e non inopportuni l'eventuale cura del transitorio malessere.
Facendo una considerazione che è innanzitutto umana, prima ancora che clinica, io tenderei ad escludere che il corteo sintomatologico esibito dal ministro giapponese fosse dovuto ad ubriachezza.
Innanzitutto, perchè credo che qualsiasi uomo politico assennato non correrebbe mai il rischio di presentarsi in una situazione pubblica "di vetrina" tanto delicata sotto l'effetto di pesanti dosi di alcol o altre droghe, perchè ciò equivarrebbe a portare a compimento un vero e proprio suicidio politico.
In secondo luogo, perchè la semeiologia esibita sembrerebbe corrispondere ad una condizione di incoercibile sonnolenza e la spiegazione fornita dall'interessato per spiegarcene l'origine potrebbe essere convincente.
C'è da chiedersi, comunque, perchè sia nell'un caso che nell'altro, il ministro giapponese abbia affrontato il confronto pubblico, anzichè fare prudentemente un passo indietro; o perchè non abbia fatto ricorso ad una "cassetta di pronto soccorso farmacologico", efficace nel mantenere lontana la sonnolenza, e che, sicuramente, per personaggi che si muovono a questi livelli è sempre disponibile.

Inconvenienti...



Sono bloccato a casa, senza auto (che ho lasciato per il tagliando e piccole riparazioni e che non mi verrà restituita prima di giovedì) e con il freddo.
Sto congelando.
A momenti, si formano le stalattiti di ghiaccio per non parlare di quelle che mi pendono dal naso...
Per farmi un po' di caldo, ho provato ad accendere contemporaneamente le due pompe di calore e se ne è andata la luce per il sovraccarico.
La bombola della stufetta a gas è finita.
La connessione ad internet è andata. E, siccome di queste cose non ne capisco niente, ho telefonato per l'ennesima volta al mio negozio di asssitenza informatica per una consulenza.
Ho parlato, spiegando il mio problema e provando ad eseguire le essenziali indicazioni che m
i hanno fornito.
Ma non si è risolto nulla e, dunque, dovrò per forza avvalermi d'un ulteriore intervento domiciliare da parte di uno dei loro - per me - guru del software (€35.00 a botta).
Troppo freddo per uscire in bici...
Ora, fra un po' farò una piccola passeggiata con Frida, la mia fedele cagnetta... sperando che, nel frattempo, non si scateni una tempesta polare.

venerdì 13 febbraio 2009

Un ragazzo delle baraccopoli di Mumbay, in dodici domande, diventa multi-milionario

Prima di andare a vedere l'ultimo lavoro di Danny Boyle (The millionaire), non avrei mai immaginato di ritrovarmi davanti alla versione indiana del gioco che spesso mi ritrovo a guardare tra le 19.00 e le 20.00, rammaricandomi ogni volta di non avere l'ardire di presentarmi come candidato (e dire che da casa sono abbastanza bravo nello scegliere la risposta giusta -forse nel 70-80 % delle volte -, ma è certo che essere in situazione è ben altra cosa!).
Ebbene, con meraviglia ho scoperto che in India e chi sa in quanti altri paesi del "Sud" del mondo "Chi vuol essere milionario?" è un gioco popolarissimo, un gioco che fa sognare i diseredati e i poveri in canna, perchè - in teoria - chiunque, riuscendo a rispondere alla sequenza delle dodici domande, può diventare milionario o, comunque, se dovesse cadere prima, raccogliere un bel gruzzolo.
Addirittura nei paesi del terzo mondo, il gioco (che, tra i tanti che occupano i palinsesti delle nostre emittenti, è uno dei più seri e gradevoli), raccoglie delle
audience da capogiro perchè rappresenta il vero "sogno" dei poveri: per questo motivo, chi vince non solo diventa ricco, realizzando una vera e propria scalata sociale, ma finisce con l'essere considerato un vero eroe popolare (con il seguito inevitabile di prestigio e carisma).
Questa la trama:

E’ il momento della verità negli studi dello show televisivo in India ‘‘Chi vuol esser milionario?”. Davanti ad un pubblico sbalordito, e sotto le abbaglianti luci dello studio, il giovane Jamal Malik, che viene dagli slum di Mumbai (Bombay), affronta l’ultima domanda, quella che potrebbe fargli vincere la somma di 20 milioni di rupie. Il conduttore dello show, Prem Kumar, non ha molta simpatia per questo concorrente venuto dal nulla. Avendo faticosamente risalito la scala sociale, provenendo lui stesso dalla strada, Prem non ama l’idea di dover dividere la ribalta del Milionario con qualcuno come lui, e rifiuta di credere che un ragazzo dei quartieri poveri possa sapere tutte le risposte. Arrestato perché sospettato di imbrogliare, Jamal viene interrogato dalla polizia. Mentre ripassa le domande una per una, inizia ad emergere la storia straordinaria della sua vita vissuta per le strade, e della ragazza che ama e che ha perduto. (da www.mymovies.it)

Tanti gli aspetti che colpiscono di questo film.
Innanzitutto, il fatto che il gioco - visto, nel suo svolgersi, in flashback - faccia semplicemente da scheletro alla struttura narrativa che presenta lo svilupparsi della vita di Jamal negli slum di Mumbay, dall'infanzia all'adolescenza, con vicissitudini a volte drammatiche - quasi dickensiane - altre volte, invece, picaresche e tragicomiche, dalle quali si salva grazie alla sua intraprendenza, ma in fondo soprattutto per la forza della sua innata rettitudine morale che, al di là della contingenza, lo aiuta a scegliere sempre la strada giusta, malgrado non manchino lusinghe verso derive discutibili, anche se certamente "paganti".
Jamal sin dall'infanzia, è un puro e un sognatore e non saranno le sue sfortunate vicissitudini a indirizzarlo sulla via della piccola delinquenza, dello sfruttamento minorile e dell'accattonaggio, anche se della strada egli - per una questione di mera sopravvivenza - impara rapidamente i trucchi e i mestieri, che poi gli serviranno per essere smaliziato, per poter navigare meglio nella vita e, infine, anche per rispondere alle domande del gioco.
Il carattere di Jamal ci porta a parlare dell'altro aspetto intrigante e favolistico del film, forse tipicamente bollywoddiano (e indiano): la storia d'amore che si sviluppa in parallelo, con un innamoramento profondamente "legante" di Jamal nei confronti dell'orfanella con cui si sono "salvati" una volta da una triste sorte (e con la quale sono destinati ad una serie di rovesci fatti di perdita-ritrovamento-perdita).
Vi è, infine, come in molti altri film di Danny Boyle, la storia convulsa di un'amicizia con i suoi voltafaccia, le sue delusioni cocenti ed i suoi ritorni, malgrado tutto.
Ultimo aspetto, assai inquietante, per noi appassionati di "Chi vuol essere milionario?" e di altre trasmissioni di questo tipo - e questo è appunto l'incipit del film - è il fatto che Jamal, avendo superato la penultima domanda, prima dell'ultima fatidica puntata che potrebbe incoronarlo vincitore di un monte-premi di venti milioni di rupie, viene trattato come un baro e un deliquente, un impostore, insomma, e - come tale - denunciato dal conduttore della trasmissione e amche il fatto che venga, successivamente, brutalizzato dalla polizia alla ricerca di una conferma delle sue menzogne, per essere infine creduto e rilasciato per poter partecipare all'ultima puntata.
E' la forza della strada che gli consentirà di essere creduto, ma anche la sua resistenza alle brutalità (anche queste conseguenza della sua consuetudine con la durezza della strada).

Sarà proprio questa situazione a consentire a noi spettatori di tuffarci nel passato di Jamal per scoprire che il segreto per rispondere alle domande risiedeva nel fatto che ogni domanda andava a colpire un punto cruciale delle sue vicende, suscitando ricordi profondamente innestati nella sua mente e nelle sue emozioni.

Il montaggio del film è letteralmente turbinante, movimentato, drammatico, con il passaggio da momenti di concitazione ad altri di pacatezza nostalgica, che indulgono nella narrazione di immagini di un'infanzia dolorosa e reietta, con i bagni in una folla frenetica e febbrile nel cui interno serpeggiano violenza e germi di fanatismo, il lezzo dei rifiuti e le latrine a cielo aperto, eppure nello stesso tempo felice e vitale.
Ricca e avvolgente la colonna sonora, con un verve da musical che si manifesta pienamente nel finale favolistico, del genere "E vissero felici e contenti (ma con 20 milioni di rupie)".
L'unica cosa che dispiace veramente è che, secondo quanto è trapelato, molti degli attori reclutati e delle comparse sono stati pagati una miseria - forse soltanto poche centinaia di rupie: cosa che, rispetto alla bella narrata nel film, - è davvero un paradosso e un controsenso.
La sceneggiatura
, tratta dal romanzo "Dodici domande" di Swarup Vikas (Guanda, 2008), ne segue abbastanza fedelmente la trama.
Questo è, in breve, l'intreccio del romanzo:

Colpevole di aver risposto correttamente a tutte e dodici le domande di un quiz televisivo, e di aver vinto un miliardo di rupie, il cameriere diciottenne Ram Mohammad Thomas viene arrestato.
Un goffo paria di Mumbai come lui, che non è mai andato a scuola e non legge i giornali, non poteva conoscere le risposte.
Per questo i produttori della trasmissione sono convinti che abbia imbrogliato. Certo è che se l'è andata a cercare: come ripetono gli anziani della baraccopoli in cui vive Ram, non è saggio cercare di oltrepassare la linea che separa l'esistenza del ricco da quella del povero.
In questo mondo, non c'è speranza di riscatto. Ma c'è una debole speranza di salvezza, che ha il volto di una donna venuta quasi dal nulla e che dichiara di essere il suo avvocato difensore. Per il momento Ram è salvo.
Lo aspetta la notte più lunga della sua vita, quella in cui dovrà spiegare al suo inaspettato legale come sia riuscito a rispondere. Inizia così un racconto in cui va delineandosi uno spaccato dell'India di oggi denso di orrori e di meraviglie.
È l'India in cui le diverse religioni raramente convivono in un pacifico e fruttuoso equilibrio, un paese in cui la propria fede può fare la differenza fra la vita e la morte; in cui il profumo dell'incenso si mescola al lezzo delle fogne all'aperto e i colori dei sari contrastano col grigiore dei condomini popolari.


Scheda film
Titolo originale: Slumdog millionaire

Regia:Danny Boyle
Interpreti principali: Mia Drake, Imran Hasnee, Faezeh Jalali, Anil Kapoor, Irfan Khan.
Genere: commedia
Produzione: Gran Bretagna - USA
Durata: 120 minuti circa.

Da venerdì 5 dicembre 2008 nei cinema.

domenica 8 febbraio 2009

Liberalizzata la vendita degli spray al peperoncino per la sicurezza delle donne

Varando il pacchetto per la sicurezza, ieri (il 6 febbraio), il Senato della Repubblica ha anche liberalizzato la vendita in Italia delle bombolette spray anti-stupro al peperoncino.
Tuttavia, già da mesi, i negozi di armi hanno registrato un vero e proprio boom nelle vendite di questo tipo di prodotto, inizialmente introdotto nel commercio non per la difesa personale contro aggressioni da parte di terzi (come si potrebbe pensare), ma come mezzo di protezione da cani mordaci e segnatamente da quelle razze canine più aggressive e adesso regolamentate da un'apposita normativa, tanto che la diffusione di questo tipo di prodotto con questa finalità dichiarata aveva provocato intense potreste, tuttora visibili anche in internet, da parte delle associazioni per la protezione degli animali e antivivisezioniste.
Già tra gli acuirenti, comunque, si erano presentate donne giovani, ma anche papà e fidanzati apprensivi.

Una delle norme del Ddl "Sicurezza" (decreto sicurezza) approvato ieri dal Senato riguarda la liberalizzazione della vendita degli spray anti-stupro e anti-aggressione al peperoncino ed è stata inclusa nel pacchetto di norme mediante un emendamento fortemente voluto dalla senatrice del Pdl Cinzia Bonfrisco che ha voluto dedicarlo espressamente a Giovanna Reggiani, morta lo scorso anno dopo aver subito una violenza. “Se avesse avuto lo spray al peperoncino nella borsetta forse non sarebbe andata così“ ha dichiarato la Bonfrisco.

Lo spray al peperoncino costituisce, infatti, secondo l'esperienza americana già ampiamente collaudata da anni, uno strumento efficace per tutelare soprattutto le donne dalle aggressioni di cui spesso sono vittime.

In America questo tipo di "arma", rientrante nella categoria delle cosiddette “No Lethal Weapons” ovvero delle "armi non letali", è molto diffusa.

L'emendamento, che ha finalmente introdotto anche in Italia la detenzione legale di queste armi di autodifesa personale, specifica anche le caratteristiche tecniche che gli spray dovranno scrupolosamente rispettare per non essere considerati fuori legge.
Secondo le indicazioni del Ministero dell'Interno e del Ministero della Salute la bomboletta di spray urticante al peperoncino, che potrà essere venduta a tutti i maggiorenni senza obbligo di documento o porto armi, non dovrà contenere più del 10% di Oleoresin capsicum (vale a dire: olio di peperoncino, ricavato dal comune peperoncino di Cayenna).
L'utilizzo dello spray al peperoncino si rende possibile perchè il suo principio attivo è classificato (legalmente) come "infiammatore" e non come "irritante": quindi, non agisce sulla soglia del dolore, ma bensì su quella del fastidio (alto).
Si potrebbe considerare una forma di "piccolo" lacrimogeno portatile.

L'uso di questo tipo di spray, ovviamente, deve essere però limitato a quei casi in cui si è aggrediti ed esiste serio pericolo per la propria incolumità: non ricorreendo simili estremi si tratterebbe di un uso improprio che verrebbe punito penalmente per legge, per il quale si dovrà rispondere delle eventuali lesioni e danni fisici causati, oltre che della “semplice” aggressione perpetrata.
Stando così le cose, gli effetti saranno gli stessi - come si diceva - di un normale lacrimogeno: bruciore agli occhi, cecità temporanea, irritazione delle mucose, tutti sintomi che dovrebbero sparire nel giro di 30 minuti, senza provocare gravi conseguenze per la salute.
Il costo degli spray anti-aggressione, in genere, può variare dai 18 ai 55 euro a seconda che siano "usa&getta" o ricaricabili e in base alla gittata che varia dai 2 ai 4 metri di distanza.

Di sicuro, in mancanza di un buon addestramento alla difesa difesa personale, lo spray rappresenta la soluzione più immediata per sfuggire ad un'aggressione, ma anche per non lasciarsi prendere eccessivamente dalla psicosi-stupri e dalla paura che tali eventi possano verificarsi.

Bisogna tenere presente che, anche se muniti di simili spray, occorre adottare alcune preacauzioni per poterli usare tempestivamente in caso di bisogno, cioè di aggressione.

In altri termini, bisognerebbe averlo sempre sotto mano e pronto all'uso, non custodito dentro una borsetta, sacca o zainetto: la sua efficacia deterrente, infatti, dipende dal fatto che possa entrare in uso in pochi secondi dalla comprensione della minaccia.
Detto questo, la liberalizzazione della vendita di questo importante strumento per l'auto-difesa, validissimo peraltro anche come "puntello" psicologico per le donne che sono già state vittime di violenza, pone alcuni quesiti.


Innanzitutto, sarà uno strumento efficace in tutti i casi?

Sì, certamente, se la "vittima" avrà la prontezza di riflessi per attivarsi e la "cattiveria" necessaria per superare le proprie remore morali all'uso di un mezzo che è, in ogni caso, violento. Ora, non tutti gli individui che decidono di praticare una forma di auto-difesa possiedono questo requisito che solo si può costruire attraverso la partecipazione a speciali corsi di auto-assertività o che si è formato come reazione difensiva ad una violenza precedentemente subita.

In secondo luogo, se lo spray al peperoncino nasce come strumento di autodifesa personale, cosa garantirà dal'abuso e dal fatto che venga acquistato da persone non "pure" di cuore, che intendono utilizzarlo per fare scherzi di cattivo gusto oppure come strumento di offesa (entrando, ad esempio, nello strumentario di ladri, scassinatori, rapinatori, facinorosi, ultrà etc). Indubbiamente, la liberalizzazione porrà in futuro questo tipo di problema. Peraltro, è nel conto che ciò possa accadere e, sulla verosimiglianza di quest'ipotesi, staremo a vedere.

In terzo luogo, porrei una questione etica più cogente. Ho sentito che, d'ora in avanti, la vendita degli spray sarà consentita non solo nelle armerie (come era stato sino a prima del Ddl sulla sicurezza), ma anche nelle farmacie.

Ecco, mi pongo il perchè di una scelta simile che va decisamente in controtendenza rispetto alla funzione delle farmacie che, tradizionalmente, si sono occupate della preparazione e vendita di prodotti farmaceutici "terapeutici", in alcuni casi anche di "veleni" ma solo per alcuni usi definiti e codificati (e supportati da specifiche prescrizioni del medico o del veterinario), ma mai di armi o prodotti da utilizzare come strumento di auto-difesa (che, in alcuni casi, può tramutarsi in "offesa"). E' proprio questo aspetto che mi disturba. Ci sono dei limiti che non dovrebbero mai essere valicati.

Autorizzare che gli spray per l'auto-difesa possano essere venduti anche in farmacia è un modo per stravolgere questo limite, introducendo una grossa confusione tra luoghi per la cura e luoghi in cui invece si trovano altri prodotti per finalità totalmente dissimili. E' come se anche in questo dettaglio del Ddl sulla sicurezza il governo intendesse abbattere dei limiti e abolire le differenze, in nome del principio della totale liberalzzazione del commercio, con una leggerezza a dir poco sconcertante.

In un freddo mattino d'inverno, sotto la pioggia, ho corso...


Sono uscito a far passeggiare il cane.
Ha subito cominciato a piovere.
La pioggia era fredda e pungente, eppure era bello esser fuori e sentire le gocce che cadevano con un lieve picchiettio sui vestiti.
Freddo e pioggia mi davano un senso di energia.
Le strade erano deserte: ogni tanto trovavo sparsi qua e là ombrelli sfondati e manici spezzati, fogli di giornale intrisi di pioggia, sacchetti di plastica, tutte tracce del forte vento della sera prima.
Nei pressi dei bar e pub i soliti residui della movida.
Non una sola persona in giro, all'infuori di un'extracomunitario triste che se ne stava immobile riparato sotto un grande paracqua a losanghe colorate a vendere ombrelli, in attesa di acquirenti in stato di bisogno.
E' proprio una giornata d'inverno, inverno-inverno, come da queste parti ne capitano poche.
Anche se in assoluto non fa troppo freddo, la pioggia ti dà di solito una sensazione di gelo molto maggiore della neve forse perchè ti fa sentire subito umido e bagnato.
Domenica scorsa ero a Schio (in provincia di Vicenza) proprio ai piedi delle prime propaggini dell'altopiano di Asiago: quando mi sono svegliato cadevano lievi e soffici fiocchi di neve, un po' bagnati per cui la coltre bianca sul terreno stentava a formarsi.
Poi ha continuato a nevicare per tutto il giorno...
Era bello. Tutto ovattato e silente.
Guardavo alcuni miei amici podisti allenarsi su di una pista d'atletica surreale: era tutta azzurra e con la neve che fioccava quasi fiabesca...
Io stavo a bordo pista, tutto chiuso nel mio giaccone, a guardarli.
Ogni tanto facevo una foto.
Da martedì, ho deciso di rompere gli indugi e riprendere ad allenarmi con gradualità.
Con quello di oggi, sono già al terzo allenamento fatto seguendo uno schema suggerito a suo tempo da Orlando Pizzolato.
E' come se dovessi partire da zero: ero arrivato al punto che dover affrontare anche solo 500 metri di corsa mi spaventava.
Oggi mi sento meglio: il minuto di corsa (l'unità temporale di base per poi poter fare di più in seguito) è già diventato soggettivamente più breve.
Nello stesso tempo, la percezione soggettiva dello scorrere globale del tempo, ora scandita dal ricorrere regolare degli allenamenti, è mutata: mi sembra che domenica scorsa sia trascorso un intervallo ben più lungo che non appena sei giorni.
Per questo è stato così bello, oggi, camminare e correre sotto la pioggia.

venerdì 6 febbraio 2009

Blog-mania, ovvero "To post or not to post, that's the question!"


Internet, i siti web, i giornali online (e ancora di più quelli che non hanno un loro corrispettivo cartaceo) hanno stravolto radicalmente le regole della comunicazione mediatica, nel senso di "liberalizzarla" definitivamente, affrancandola dal controllo rigido ed esclusivo delle testate giornalistiche di carta.
Oggi chiunque voglia farlo può liberamente interagire con le notizie diffuse da altri e può diffondere le proprie, nel modo e con il taglio che più gli aggrada. E, se vuole, con intraprendenza e con mezzi d'investimento relativamente piccoli, può dare vita anche ad una propria testata giornalistica online.
Questa la premessa.
Un cambiamento ancora più determinante è stato introdotto nel mondo della comunicazione multi-mediatica dalla nascita dei blog, come del resto "facebook" (ovvero la moda emergente del "social network"), oggi, potrebbe rappresentare il superamento (o anche un'integrazione) al mondo dei blog.
Com'è noto, nel gergo di internet, un blog è originariamente un "diario in rete" o, meglio, nascendo il termine dalla contrazione di web-log, "traccia su rete".
Molto in sintesi (rimandando per approfondimenti alla specifica voce esistente su "wikipedia"), il fenomeno ha iniziato a prendere piede nel 1997 in America e, in particolare, il 18 luglio 1997 è stato scelto come data di nascita simbolica del blog, riferendosi allo sviluppo e al varo sperimentale, da parte dello statunitense Dave Winer del software che ne permette la pubblicazione (e ancora, per questa fase, si parla di proto-blog), mentre il primo blog è stato effettivamente pubblicato il 23 dicembre dello stesso anno, grazie a Jorn Barger, un commerciante americano appassionato di caccia, che decise di aprire una propria pagina personale per condividere i risultati delle sue ricerche sul web riguardo al suo hobby.
Nel 2001 è divenuto di moda anche in Italia, con la nascita dei primi servizi gratuiti dedicati alla gestione di blog.
Oggigiorno, è veramente raro trovare qualcuno che non abbia un suo blog.
Avere un blog è diventato una moda, in alcuni casi una vera mania.
Anche perchè se tu hai un blog lo devi alimentare di continuo per renderlo interessante e "movimentato", magari in alcuni casi facendo anche operazioni "furbette" per incrementare gli accessi, come ad esempio quella di includere nei propri testi alcune parole-chiave che, nei motori di ricerca, sono introdotte più di altre.


Benchè l'accezione originaria della parola "blog" sia quella di ""traccia" o "diario nella rete", la possibilità di pubblicare i propri blog ha facilitato lo sviluppo d'un vero e proprio fenomeno di tendenza molto sfaccettato, con un loro utilizzo variegato e piegato a funzionalità comunicative diversificate.
A mio avviso, è possibile riconoscere diverse tipologie di blog.
Vediamole.
  • I blog che vengono sviluppati quasi fossero una versione "povera" e di facile manuntezione di un sito web;
  • I blog che vengono creati per dare visibilità alla "passione" dominante o all'hobby di chi dà loro vita. In questo senso, si tratta di blog "monografici". Per esempio, io potrei avere la passione dei dinosauri o sugli ornitorinchi e voler creare un mio blog nel quale vado riversando tutto quello che so di essi, tutto quello che vado apprendendo su di essi, i miei pensieri e le mie riflessioni su di essi, creando attorno a me - attraverso l rete - una comunità di seguaci (cioè di persone che, con me, condividono la stessa passione) anche se, oggi, questa finalità è assolta meglio con Facebook.
  • I blog "diaristici", cioè quei blog utilizzati effettivamente come "diario" (nel senso originario e genuino della tradizione diaristica), dove l'autore con frequenza variabile riversa i suoi pensieri, le sue rilessioni, parla di ciò che gli piace in genere, sempre con un taglio fortemente soggettivo, rendendosi così "visibile" nella rete.
  • I blog caratterizzati, invece, da un forte impegno civile, di denuncia delle ingiustizie sociali, delle menzogne e mistificazioni della politica.
  • I blog delle "conventicole" culturali o d'élite che, attraverso di essi, pretendono di sviluppare un proprio punto di vista sul mondo e sui suoi accadimenti con un taglio, a volte, fortemente permeato di pregiudizi e di spocchie culturali che finiscono con lo scadere in forme opinionistiche d'accatto.
In alcuni casi i blog hanno una forte valenza culturale e di impegno sociale e civile.
Possono rappresentare, a ben guardare, una vera e propria tribuna, dalla quale chiunque voglia può portare avanti un proprio discorso dalle valenze culturali forti e dotato di una propria coerenza, denunciando l'insipienza dei politici e le loro ipocrisie.
Molti uomini di cultura, scrittori e giornalisti, attivano e coltivano il proprio blog proprio con questa finalità. Non avendo spazio alcuno per diffondere le proprie idee lo fanno affidandosi a questo mezzo.
In un certo senso, il blog diventa il veicolo delll migliore tradizione libertaria nel proporre e riproporre instancabilmente la necessità quasi ontologica del rispetto della "freedom of speech", in un'epoca in cui la grande stampa cartacea è imbavagliata e i politici parlano senza alcuna sincerità.
Questo tipo di blog assolve alla funzione di un vero e proprio "speaker's corner" mediatico.
Conosco diversi blog che hanno queste caratteristiche ed è veramente un piacere seguirli ed interagire con essi.
Già, quella dell'interattività è un'altra caratteristica dei blog!
Chi legge i diversi post, può inserire un proprio commento e, a volte, la successione delle diverse notazioni crea le premesse per l'attivzione di una piccola comunità online di cittadini che su alcune questioni la pensano allo stesso modo.
In alcuni casi, tuttavia, il blog può diventare una "cattiva" tribuna e qua ricadiamo nell'ultima delle tipologie che ho provato a delineare prima.
Si tratta di blog che spesso, mascherati da veicolo di "cultura", promuovuono un'autentica "pseudo-cultura" (e scusatemi il bisticcio linguistico un po' ardito, ma è per rendere l'idea), animando la conventicola/clan/gruppo esclusivo che si sente d'élite forme larvata di intolleranza e narcisismo autoreferenziale.
Si attiva, in questi casi, una comunità di lettori e "commentatori" che traggono identità dal fatto di partecipare al blog con commenti che a volte sono pretestuosi, altre volte intolleranti, altre volte superbi.
Si creano attraverso gli scambi di brevi frasi situazioni da "conventicola" e da "gruppo" che si sente esclusivo, "eletto", "illuminato", ma l'operazione che va avanti non è la promozione di una "vera" cultura di ampio respiro, ma un'accozzaglia di giudizi rozzi, spocchiosi e spesso tagliati a colpa d'accetta.
Per esempio, l'altro giorno, mi sono imbattutto in un post, il cui testo scarno così recitava
"Proviamo a fare un gioco. Quali sono, secondo voi, i romanzi più sopravvalutati? Bastano due titoli. Per aprire le danze (e le polemiche) dico subito la mia: 'Il giovane Holden' di J. D. Salinger e 'La strada' Cormac McCarthy (e questa per gli affezionati di questo blog non è una sorpresa."
Bene il post, gettonatissimo, ha suscitato una ridda di commenti, in cui ciascuno - senza nemmeno provarsi a spiegare cosa fosse per lui il significato di "sopravvalutato" ha buttato nel cestino 3/4 abbondanti della letteratura mondiale ed italiana, compresa la Bibbia ed altri indiscussi classici del sapere umano. Un vero è proprio "jeu de massacre", autoreferenziale e protervo, che non credo possa contribuire in alcun modo alla crescita culturale dei frequentatori del blog, se non ad alimentare la convinzione (visto che alcuni dei frequentatori di esso sono degli scrittori emergenti) sul fatto che "Noi siamo i migliori del mondo".
Un'operazone discutibile anche perchè chi è intervenuto dall'esterno con osservazioni che invitavano alla moderazione è stato stroncato con commenti salaci e di cattivo gusto.
Ritengo che questo uso del blog - a differenza di quelli che cercano di promuovere la libertà della cultura ed alimentare con energie positive le coscienze civili - contenga in nuce il germe dell'intolleranza e del pregiudizio.
 
Creative Commons License
Pensieri sparsi by Maurizio Crispi is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at mauriziocrispi.blogspot.com.