mercoledì 27 ottobre 2010

Uomini di Dio: un film sul senso più profondo della fede e insieme manifesto contro i fondamentalismi


Uomini di Dio (Des hommes e des Dieux, di Simon Beauvois, France, 2010) si fonda su di un fatto realmente accaduto nel 1996, in Algeria: sette monaci benedettini, integrati armoniosamente in una piccola comunità algerina,dopo essere stati minacciati, vennero rapiti dalla Jihad islamica e successivamente trucidati. Di essi, dopo qualche tempo dall'eccidio, vennero ritrovate le sole teste.
I film ci mostra questi minuscolo gruppo di uomini che vivono semplicemente (ma intensamente), impegnati nell'alternarsi quotidiano degli atti previsti dalla loro regola fondamentale dell'"ora et labora".
Vivono per Dio, per la preghiera - che con l'ausilio del canto si eleva al cielo - e per la comunità.
Uno dei monaci è medico e con i pochi farmaci disponibili, indeffesamente malgrado l'età avanzata e gli acciacchi, si occupa della salute della piccola comunità di Algerini che sono rimasti a vivere lì, proprio perchè hanno nel monastero un punto di riferimento ("...voi siete il ramo e noi gli uccelli che si fermano a riposare su di esso. Dove andremmo noi, se il ramo se ne va?, chiede una donna della comunità ai monaci perplessi sul da farsi di fronte alle minacce ricevute).
Nel fare dei monaci vige il rispetto: a loro non interessa convertire altri alla loro fede, semmai occuparsi convivialmente del prossimo, e con amorevolezza e dedizione. Dio è per tutti, senza distinzione.
Il film è toccante, anche perchè nel momento del pericolo, i monaci non si offrono come martiri, ma mostrano in pieno le loro debolezze, dubbi, perplessità: poi, alla fine, decidono di restare, perchè la loro missione è lì tra quella gente, in quel luogo. E, andandosene per legittima (e non condannabile) paura, tradirebbero se stessi e il loro voto, prima ancora che la propria fede.
La stessa idea del martirio, in quanto tale, viene ricusata da questi monaci che esprimono senza remore e senza vergogne la paura di morire, sia pur supportati dal loro profondo e sofferto credo). L'epitome di ciò è nella frase pronunciata dal capo spirituale della piccola congrega: ‎"...non ho paura della morte, sono un uomo libero...".
E' una storia che illustra il valore delle proprie convinzioni (non solo in materia di fede, ma anche e soprattutto umane): e riesce a far ciò, proponendo una rappresentanzione degli "uomini di Dio" molto umana e predicando il valore dell'universalità della fede e della possibilità di una convivenza pacifica di convinzioni religiose diverse, messe in crisi e distrutte dalla cupezza omicida del fondamentalismo più estremo.
In questi tempi di odio forsennato, c'è bisogno di film come questi.
Non a caso il titolo originale del film è "Des hommes e des dieux", proprio per sottolineare il valore dell'universalità della Fede e di tutte le fedi e di tutti i credo, che non devono essere fine ultimo e assoluto (perchè così sevono soltanto a tracciare la via del fondamentalismo e dell'intolleranza), ma strumento per affrontare con carità, comprensione ed empatia il mondo e le relazioni con gli altri.

Scheda film
Regia:i Xavier Beauvois.
Interpreti principali: Lambert Wilson, Michael Lonsdale, Olivier Rabourdin, Philippe Laudenbach, Jacques Herlin, Loïc Pichon, Xavier Maly, Jean-Marie Frin, Sabrina Ouazani, Adel Bencherif, Abdelhafid Metalsi, Abdellah Moundy, Farid Larbi, Benhaïssa Ahouari, Idriss Karimi, Abdellah Chakiri, Farid Bouslam, Maria Bouslam, Soukaïna Bouslam, Hamid Aboutaieb, Saïd Naciri, Rabii Ben Johail, Fadia Assal, Zhour Laamri, Olivier Perrier
Titolo originale: Des hommes et des dieux.
Drammatico, durata 120 minuti.
Francia 2010. - Lucky Red
Uscita venerdì 22 ottobre 2010


Il trailer

lunedì 25 ottobre 2010

Cercatori




Un uomo passeggia con il suo cane, al mattino presto.

Raccoglie bicchieri di ogni tipo abbandonati fuori da pub, bar e drinkerie e altri oggettini senza valore

Che, però, ne acquistano, in quanto "trovatelli", come fossero orfanelli da adottare con sollecitudine.


Un uomo

In un giorno di sole autunnale se ne sta immerso sino alla vita nell'acqua bassa vicino alla spiaggia,

con indosso una muta umida da sub vecchia e stinta e un buffo cappidduzzu di lana rossa sulla testa

Cerca, con l'ausilio di un metal detector,

gli oggetti di metallo persi dai bagnanti nei mesi estivi

Ha una cuffia con auricolari giganteschi poggiati sulle orecchie

per captare le variazioni rivelatrici del bip

Con questo tocco sembra un Bug Bunny buffo al bagno, con la muta addosso

Eppure è serio, così profondamente immerso nella sua cerca


Una suorina

Con abito quotidiano, grigio e bianco, i cappelli coperti dal velo,

cammina al mattino lungo una strada di città, deserta

Forse per sbrigare una commissione o recarsi a pregare nella chiesa che si staglia poco più in là

Panchine ad intervalli regolari portano segni rivelatori di bivacchi notturni dei tiratardi del sabato

La suorina si sofferma vicino ad una di esse

La sua attenzione è stata attratta da qualcosa

Si china e si protende verso lo spazio sottostante, ingombro di ogni genere di detriti

Chi sà, forse si aspetta di trovare un rosario abbandonato, un vecchio crocifisso o un'immaginetta sacra

per trarle in salvo e dar loro nuova sacralità riponendole in un'urna o in un sacello

Per lei sono solo queste le cose che veramente contano


Tre cercatori, diversi indubbiamente, ma accomunati da una cosa eguale

Tutti e tre alla ricerca di piccole cose cui danno valore

Più spesso non raccoglierano nulla.

Talvolta riporteranno con sé qualcosa a casa,

cose che per loro avranno un significato, per quel giorno

Sarà la buona sorte, il caso oppure un segno di dio

In ogni caso, un segno di buon auspicio

o anche, come nel caso del cercatore di oggetti di metallo, questione di sopravvivenza


Lontano da qui,

nella mitica Arabia Felix,

ogni giorno uno sceicco depone la sua merda

in uno sfavillante cesso in oro massiccio, circondato dallo sfavillio degli ori della rubinetteria

Nel far ciò, egli dà testimonianza della ben nota equivalenza tra merda e oro.

E' possibile che gli stronzi del nobiluomo, precipitando dentro un WC siffatto,

possano trasformarsi pur essi in oro.

Ma lo sceicco, circondato da tutto quell'oro, non ha nulla da cercare e da trovare.

Tutto quello che vuole ce l'ha, immediatamente.

Ma intanto, giorno per giorno, perde qualcosa di prezioso

Ciò che non potrà mai avere, sarà la benedizione del dio delle piccole cose,

quella benedizione che, in modi diversi, tutti i cercatori del mondo desiderano ottenere e che dà un senso alle loro modeste vite


venerdì 15 ottobre 2010

Aracne davanti a Scilla e Cariddi


E questo ragno minaccioso che ci fa qui?
Con il favore delle tenebre aveva deciso di fare una lunga scarpinata (sempre lunga, malgrado le sue otto zampe) attraverso un deserto, ma proprio quando stava per arrivare al suo porto sicuro (un arbusto su cui finalmente in tutta calma avrebbe potuto tessere la sua tela) si è dovuto arrestare guardingo davanti a due imprevedibili Scilla e a Cariddi di guardia proprio sul punto del suo passaggio.
Scilla e Cariddi si sono protesi in avanti per osservarlo e misurarlo.
Non si sa chi fosse più spaventato, se lo fossero i due guardiani giganteschi o il piccolo ragno.
Il ragno se ne è stato immobile per un bel po', come morto.
Poi, improvvisamente, cogliendo un attimo di distrazione dei due guardiani è scomparso, volatilizzandosi.
Prima c'era e poi non c'è stato più...
In verità, Scilla e Cariddi erano molto timorosi di poter essere tarantolati...
Che lario incontro, però!

Scilla e Cariddi - Sullo scoglio situato nello Stretto di Messina viveva una creatura mostruosa, chiamata Cariddi. Era la figlia della Terra e di Poseidone e, durante la sua vita di donna, aveva mostrato grande voracità. Quando Eracle attraversò lo Stretto con le mandrie di Gerione, Cariddi divorò gli animali.
Zeus la punì colpendola con uno dei suoi fulmini e la fece precipitare in mare, trasformandola in mostro: tre volte al giorno Cariddi ingurgitava masse d'acqua con tutto ciò che in essa si trovava, e così inghiottiva le navi che si avventuravano nei suoi paraggi, poi vomitando l'acqua assorbita.
Quando Ulisse transitò la prima volta per lo Stretto, sfuggì al mostro ma, dopo il naufragio provocato dal sacrilegio contro i buoi del Sole, fu aspirato dalla corrente di Cariddi.
Ebbe tuttavia la furbizia di aggrapparsi a un albero di fico, che cresceva rigoglioso all'entrata della grotta in cui si nascondeva il mostro, cosicché, quando ella vomitò l'albero, Ulisse poté mettersi in salvo e riprendere la navigazione. A un tiro d'arco da Cariddi, sull'opposta sponda dello Stretto, un altro mostro attendeva
al varco i naviganti. Era Scilla, nascosta nell'antro profondo e tenebroso, che si apriva nella roccia liscia e levigata, inaccessibile ai mortali.
A questo nome si ricollegano due distinte leggende. Secondo la prima, Scilla è una figura femminile, figlia di divinità diverse a seconda delle differenti versioni, circondata da sei cani feroci, che divorano tutto ciò che transita nei paraggi.
Anche la storia di come Scilla sia diventata un mostro cambia nelle diverse tradizioni.
Nell'Odissea Omero racconta come Glauco, innamorato di Scilla, rifiutasse l'amore della maga Circe. Costei, per vendicarsi della rivale, mescolò erbe malefiche all'acqua della fonte nella quale Scilla si bagnava. Il corpo della giovane fu trasformato, cosicché dal suo bacino spuntavano i cani
mostruosi.
Secondo altre versioni, Circe aveva trasformato la giovane su istigazione di Anfitrite, innamorata di Poseidone, che le aveva preferito Scilla. Oppure che Scilla era stata punita da Poseidone, per essersi innamorata di Glauco.
Ancora una versione diversa attribuisce la morte della giovane allo stesso Eracle: quando questi transitò nella zona con i buoi di Gerione, Scilla ne mangiò alcuni; ne seguì un combattimento e Scilla fu uccisa.
Secondo la seconda leggenda, Scilla era figlia di Niso, re di Megara. Questi restava invincibile fintanto che avesse conservato in testa un capello d'oro (o di porpora). Quando la Città fu assediata da Minosse, che voleva vendicare l'uccisione di Androgeo, Scilla s'innamorò di lui e, per farlo vincere, tagliò il capello del padre, dopo essersi fatta promettere da Minosse che l'avrebbe sposata, se ella avesse tradito la propria città per amor suo.
Minosse infatti sconfisse Niso ma poi, scoperto con quale crimine Scilla lo aveva aiutato, inorridito la legò alla prua della sua nave e la fece annegare. Gli dei si impietosirono e la trasformarono in airone.

Aracne è una figura mitologica narrata da Ovidio nelle "Metamorfosi", ma che pare sia d'origine greca.
Aracne viveva a Colofone, nella Lidia. La fanciulla, figlia del tintore Idmone e sorella di Falance, era
abilissima nel tessere, tanto girava voce che avesse imparato l'arte direttamente da Atena, mentre lei affermava che fosse la dea ad aver imparato da lei. Ne era cotanto sicura, che sfidò la dea a duello. Di lì a poco un'anziana signora si presentò ad Aracne, consigliandole di ritirare la sfida
per non causare l'ira della dea.
Quando lei replicò con sgarbo, la vecchia uscì dalle proprie spoglie rivelandosi come la dea Atena, e la gara iniziò.
Aracne scelse come tema della sua tessitura gli amori degli dei; il suo lavoro era così perfetto ed ironico verso le astuzie usate dagli dei per raggiungere i propri fini che Atena si adirò, distrusse la tela e colpì Aracne con la sua spola.
Aracne, disperata, si impiccò, ma la dea la trasformò in un ragno costringendola a filare e tessere per tutta la vita dalla bocca, punita per l'arroganza dimostrata (hýbris), nell'aver osato sfidare la
dea.

mercoledì 13 ottobre 2010

Ultrà serbi al Marassi di Genova bloccano la partita Italia-Serbia


Uno spettacolo indegno quello offerto ieri allo stadio Marassi da un pugno di ultranazionalisti serbi, giunti a Genova con l'intento di fare casino a tutti i costi e di prendere letteralmente inostaggio la partita. Peraltro, è stata anche la cronaca di una morte annunciata, dal momento che da più parti era stato detto che questa partita era potenzialmente a rischio e, ora, il giorno dopo, si vanno a vedere tutti "retroscena" e ci "si ricorda" di essi.
Quello che dispiace è che, presi in ostaggio dagli scalmanati, negli spalti della Curva nord, vi fossero anche bambini e ragazzini venuti assieme ai genitori per assistere ad un evento sportivo che, sì, li toccava in quanto Serbi, ma prima ancora li aveva attratti per le sue qualità agonistiche, accoppiate al piacere di una gita in una città non conosciuta.

Resterà indimenticabile il soffermarsi d'una telecamera sul volto smarrito di una ragazzina serba che guarda, ma senza capire, nell'occhio del ciclone di manifestazione di intolleranza, rabbia, violenza che non può comprendere del tutto.
Che forse nessuno di noi potrà mai comprendere del tutto.
Era prevedibile che, una volta sgombrato lo stadio, dopo che è giunta - irrevocabile - la decisione del Giudice di gara che la partita andava sospesa perchè non sussistevano più le condizioni minime di sicurezza per i giocatori, si scatenassero degli scenari di guerriglia urbana tra il manipolo di scatenati ultra serbi e le forze dell'ordine, con risse, lancio di fumogeni e l'incidenza - prevedibile - di tanti feriti.
Le scene di guerriglia urbana post-partita sono quasi un must (anche se, in questo caso, nascevano da motivazioni di ordine diverso) e ci siamo purtroppo abituati, ma quello che è stato davvero inaudito ed inedito sono state le sequenze mandate in direttta nazionale ed internazionale sugli eventi che hanno preceduto la partita e che ne hanno ritardato l'inizio di oltre mezz'ora.

C'è da chiedersi com'è che sia possibile che eventi simili accadano; come possa accadere che personaggi come l'omaccione incappuciato e grande come un armadio (divenuto una sorta di indiavolato caporione ultrà) sia passato inosservato ai controlli che si fanno all'ingresso di ogni impianto sportivo calcistico; come sia possibile che siano stati importati all'interno dello stadio bengala e altri oggetti da taglio e contundenti; come sia accaduto che, considerando la palpabilità delle minacce formulate in anticipo (legate al forte malanimo nei confronti del portiere serbo, ritenuto responsabile della sconfitta con l'Estonia), non si sia attivato un minimo lavoro di intelligence a scopo preventivo e di collegamento tra le forze dell'ordine della Serbia e dell'italia, paese ospitante.
I nazionalisti serbi l'hanno avuta vinta: hanno avuto la loro ora di spettacolo sugli schermi in HD internazionali: quella scritta ostentata su di un lenzuolo bianco "Il Kosovo è il cuore della Serbia" ha inferto un altro duro colpo invece al cuore del Calcio giocato già così duramente segnato dai fatti e misfatti degli ultimi anni.
Una sintesi emozionale di questa la disfatta sono il volto smarrito di quella bambina e il pianto del Capitano della squadra serba per una partita che sarà comunque persa a tavolino 3-0, senza più nessuna chance per la Serbia nella qualificazione agli Europei.


mercoledì 6 ottobre 2010

In "The dome" di Stephen King, una piccola comunità del Maine degenera nella lotta tra i molti malvagi e i pochi onesti


I duemila abitanti circa di una piccola cittadina del Maine, Chester’s Mill, all’improvviso, rimangono isolati dal resto del mondo da una cupola invisibile e impenetrabile a qualsiasi tentativo di effrazione. La comunità rimane del tutto isolata e presto si delineano opposti schieramenti: da un lato, i “cattivi” capeggiati da Big Jim che, consigliere comunale e rivenditore di auto d’occasione, con le sue borie dittatoriali dà rapidamente vita ad una micro-ditatura e Dale Barbara, ex-militare che tenta di venire a capo della matassa e salvare la comunità, aiutato da una manciata di cittadini onesti e capaci di resistere alle seduzioni del male. Sempre più i pochi attori buoni pendono a pensare che sono diventati come formichine, osservate da qualcuno infinitamente più grande e potente, attraverso una lente d'ingrandimento, un po' per gioco un po' per simulare un crudele esperimento.
Questa la cornice generale del recente romanzo di Stephen King, pubblicato in Italia, alcuni mesi fa, addirittura in anteprima mondiale (The dome, Sperling&Kupfer, 2009).
Il romanzo è nato da una traccia di racconto che già in passato Stephen King cercò di trasformare in romanzo, ma senza riuscirci e abbandonando il progetto.
“Cominciai a cercare di scrivere questo libro nel 1976 e me ne ritrassi con la coda tra le gambe, dopo due settimane di lavoro che ammontavano a 75 pagine. Quel dattiloscritto era andato perso quel giorno del 2007, quando decisi di riprovare, ma ricordavo abbastanza bene il primo capitolo - ‘L’aereo e la marmotta’ – da poterlo ricreare quasi com’era in origine”. (ib, Nota dell’autore, p. 1037)
Ha già raccolto una vera pioggia di commenti su IBS: alla scheda corrispondente, si possono già leggere ben 138 recensioni, tuttavia non tutte entusiasticamente favorevoli, dal momento che la media del voto (da 1 a 5) è di 3,95.
Allo stato attuale Stephen King può piacere, come può non piacere: ovviamente, piace incondizionatamente ai suoi fan sfegatati - quelli che corrono in libreria a comprarsi l'ultimo romanzo pubblicato ancora fresco di stampa.
A chi si accosta adesso alla lettura delle sue ultime opere, senza conoscere quelle precedenti, può indubbiamente piacere soprattutto quella grande capacità di affabulazione che porta il lettore a vivere una miriade di storie e sottostorie e vedere la rappresentazione di un'intera comunità.
Per altri che, invece, ben conoscono l'opera di King e dei suoi passati fasti, anche visionari (se si considera, per esempio, il grande affresco de L'ombra dello scorpione, oppure di It, o la saga fantasy-horror de La torre nera), ma che non ne accettano acriticamente le nuove opere (solo perchè griffate "Re dell'Horror"), oggi c’è motivo di rimanere un po' delusi da una narrativa che è sempre più tutta mestiere e routine, ma priva della verve e dell'originalità delle prime opere.
Con The dome entriamo ancora una volta nel filone narrativo kinghiano in cui esseri alieni sovadeterminati controllano gli Umani, entrando in contatto con una piccola comunità, che diventa così una sorta di teatro del mondo, e tentando di dominarla (si vedano, ad esempio, Tommyknocker – Le creature del buio, Insomnia oppure o il più recente L’acchiappasogni). Per altro, Stephen King ha sempre mostrato un interesse sfegatato verso ciò che accade in una piccola comunità quando viene presa d’assalto dal Male (si vedano ad esempio, lo stesso It, che pur con i suoi risvolti cosmogonici, rappresenta ciò che accade in un piccolo contesto urbano da sempre contaminato da una presenza oscura, oppure Le notti di Salem – che propone una rivisitazione del tema del Vampiro – oppure Cose preziose).
Poi, una volta stabilite queste coordinate, il gioco è fatto e le tematiche kinghiane prendono a muoversi secondo rotte prevedibili: si tratta di studiare gli effetti dell'assalto alieno oppure dell’isolamento in una piccola comunità, in cui rapidamente si passa ad una profonda scissione tra cattivi e buoni. Ovviamente, secondo la visione del mondo di King, i primi, contagiati dal Male, sono già malvagi da prima: solo che la loro malvagità, prima tenuta a freno da alcuni imprescindibili vincoli sociali, può adesso manifestarsi liberamente con il favore delle circostanze. E, tutti i malvagi, hanno i loro scheletri nell’armadio, più o meno ingombranti. Mentre costoro sembrano essere dominati da un pensiero megalomanico di tipo schizofrenico-paranoide, i secondi - i buoni che hanno acquisito e consolidato nel tempo il loro essere “socialmente” buoni - rimangono saldamente ancorati ad una modalità di funzionamento psichico ben più adulto - si direbbe di tipo depressivo - e cercano di prendersi "cura" delle comunità, salvando se stessi e quante più anime sia possibile dall’avanzata del Male, non sempre riuscendoci, per altro.
Il gioco narrativo è tutto qui: questo ne è il meccanismo di base. Tutto il resto è mestiere senza originalità: devo purtroppo ammetterlo. Dopo essermi sciroppate le oltre 1000 pagine del romanzo, devo dire che non mi è rimasto molto.
Troppi déjà vu si sono affollati nella mia mente man mano che andavo avanti. Nella folla di personaggi di cui sono irte le pagine di questa sua ultima prova narrativa, sono veramente pochi quelli davvero memorabili e unici rispetto ai precedenti canovacci del "Re".
Resta il fatto che Stephen King sia un eccellente affabulatore e che i suoi romanzi rimangano comunque godibili per quanto un po’ copycat di precedenti opere: si rimane sempre un passo fuori dalla grande letteratura mainstream e si rimane confinati nel “genere”: ma i lettori di “genere” amano la ripetizione, perché è rassicurante e, tutto sommato, protegge dal perturbante “vero” ed ingestibile.
 
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