mercoledì 13 ottobre 2010

Ultrà serbi al Marassi di Genova bloccano la partita Italia-Serbia


Uno spettacolo indegno quello offerto ieri allo stadio Marassi da un pugno di ultranazionalisti serbi, giunti a Genova con l'intento di fare casino a tutti i costi e di prendere letteralmente inostaggio la partita. Peraltro, è stata anche la cronaca di una morte annunciata, dal momento che da più parti era stato detto che questa partita era potenzialmente a rischio e, ora, il giorno dopo, si vanno a vedere tutti "retroscena" e ci "si ricorda" di essi.
Quello che dispiace è che, presi in ostaggio dagli scalmanati, negli spalti della Curva nord, vi fossero anche bambini e ragazzini venuti assieme ai genitori per assistere ad un evento sportivo che, sì, li toccava in quanto Serbi, ma prima ancora li aveva attratti per le sue qualità agonistiche, accoppiate al piacere di una gita in una città non conosciuta.

Resterà indimenticabile il soffermarsi d'una telecamera sul volto smarrito di una ragazzina serba che guarda, ma senza capire, nell'occhio del ciclone di manifestazione di intolleranza, rabbia, violenza che non può comprendere del tutto.
Che forse nessuno di noi potrà mai comprendere del tutto.
Era prevedibile che, una volta sgombrato lo stadio, dopo che è giunta - irrevocabile - la decisione del Giudice di gara che la partita andava sospesa perchè non sussistevano più le condizioni minime di sicurezza per i giocatori, si scatenassero degli scenari di guerriglia urbana tra il manipolo di scatenati ultra serbi e le forze dell'ordine, con risse, lancio di fumogeni e l'incidenza - prevedibile - di tanti feriti.
Le scene di guerriglia urbana post-partita sono quasi un must (anche se, in questo caso, nascevano da motivazioni di ordine diverso) e ci siamo purtroppo abituati, ma quello che è stato davvero inaudito ed inedito sono state le sequenze mandate in direttta nazionale ed internazionale sugli eventi che hanno preceduto la partita e che ne hanno ritardato l'inizio di oltre mezz'ora.

C'è da chiedersi com'è che sia possibile che eventi simili accadano; come possa accadere che personaggi come l'omaccione incappuciato e grande come un armadio (divenuto una sorta di indiavolato caporione ultrà) sia passato inosservato ai controlli che si fanno all'ingresso di ogni impianto sportivo calcistico; come sia possibile che siano stati importati all'interno dello stadio bengala e altri oggetti da taglio e contundenti; come sia accaduto che, considerando la palpabilità delle minacce formulate in anticipo (legate al forte malanimo nei confronti del portiere serbo, ritenuto responsabile della sconfitta con l'Estonia), non si sia attivato un minimo lavoro di intelligence a scopo preventivo e di collegamento tra le forze dell'ordine della Serbia e dell'italia, paese ospitante.
I nazionalisti serbi l'hanno avuta vinta: hanno avuto la loro ora di spettacolo sugli schermi in HD internazionali: quella scritta ostentata su di un lenzuolo bianco "Il Kosovo è il cuore della Serbia" ha inferto un altro duro colpo invece al cuore del Calcio giocato già così duramente segnato dai fatti e misfatti degli ultimi anni.
Una sintesi emozionale di questa la disfatta sono il volto smarrito di quella bambina e il pianto del Capitano della squadra serba per una partita che sarà comunque persa a tavolino 3-0, senza più nessuna chance per la Serbia nella qualificazione agli Europei.


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