mercoledì 26 maggio 2010

La scoperta della felicità e il dio delle piccole cose

Un angolo nascosto di Banzi, in Basilicata.

Infissi moderni in alluminio anodizzato, un vecchio muro tutto scrostrato e usurato di intonaco rosa, come si usava un tempo quando i muri delle case venivano abbelliti con le più varie tinte pastello, un vaso con fiori in pieno rigoglio, la sensazione di solitudine e di chiusura all'interno del silenzio ombroso delle dimore, la commistione di moderno e di antico: soltanto per cogliere uno scorcio così, quasi magico nel suo nitore e nella sua semplicità, può valere la pena di andare a Banzi...
Piccoli angoli che si scoprono così, abbandonando la strada principale e addentrandosi in stradine quiete, apparentemente deserte, dove il tempo sembra essersi fermato.
E' proprio vero che le cose si scoprono vagabondando, lasciandosi andare ad un incedere ozioso e non finalizzato: solo allora l'occhio del viandante può cogliere qualcosa di inaspettato che spesso il nostro febbrile tendere verso una meta qualsiasi (e ce n'è sempre una) ci preclude.
In questo sguardo pacato sulle cose più semplici che irradiano un'aureola di bellezza inattesa può celarsi un istante di autentica felicità che ci è donato dal dio delle piccole cose.

sabato 22 maggio 2010

L'Arca, lo tsunami e il pollo fritto


Sta per arrivare un gigantesco tsunami che sommergerà tutte le terre emerse.
Io e tanti altri siamo in attesa dell'evento, chiusi in una grande casa che è strutturata come un'immensa nave.
Che sia un'Arca?
Ogni tanto guardo con apprensione fuori dalla finestra.
Vedo che il paesaggio va mutando di morfologia perchè la casa-nave si innalza galleggiando man mano che l'acqua dell'onda arriva e questo suo sollevamento determinando un continuo spostamento del vertice di osservazione rendendolo più ampio.
Dalle creste dei monti tutt'attorno a me scorrono dei rivoli d'acqua che si vanno moltiplicando, mentre si fanno più impetuosi.
L'acqua va tracimando da ogni dove.
Dovrei aver paura, ma non posso non provare meraviglia per ciò che vedo...
Nello stesso tempo, di tanto in tanto vengo pervaso da brividi di apprensione e sconforto.
Mi sommerge l'acuta consapevolezza d'un evento inellutabile.
Scossoni e cigolii mi danno la misura della potenza dell'Onda che arriva con prepotenza a livellare tutto.
Mi chiedo se questo mio rifugio resisterà alla sua enorme pressione, uscendone indenne, oppure se ne verrà schiacciato come una piccola feluca.
Intanto, mangio con gusto allettanti bocconi di pollo fritto da un piatto che qualcuno mi ha portato poco prima.
Questa pietanza sa tanto dell'ultimo pasto consumato dal condannato a morte...
Un buon pollo fritto aiuta a dimenticare...

martedì 4 maggio 2010

La città verrà distrutta all'alba: l'ossessione tutta americana di perdere il conformismo sociale e la "normalità"


La città verrà distrutta all'alba (The crazies), 2010, un film di Breck Eisner (lo stesso regista di Sahara, dall'omonimo romanzo di Clive Cussler) è il remake dignitoso del film di George A. Romero del 1973
A volte alcuni film horror ritornano in remake.
Capita che un giovane regista che, magari, lo ha avuto come film di culto da giovane provi a rifarlo oppure che un produttore o una casa cinematografica decidano di rilanciare una vecchia storia, adattandola ai tempi moderni.
A volte, l'operazione riesce ed è accativante: basti pensare ai ben tre remake successivi de L'invasione degli ultracorpi, grazie all'impronta originale impressa a ciascuno dei rifacimenti dal proprio regista. Direi che questa operazione riesce bene, soprattutto quando il regista che si cimenta con il film cult riesce ad essere "originalmente" fedele alla lettera del film che lo ispira, a reinterpretarlo senza copiarlo, a mantenerne intatto lo spirito senza riprodurlo pedissequamente, perchè in tal caso il remake rischierebbe di rimanere soltanto un clone, un film "copycat" e senz'anima.
Diciamo che questo remake è onesto e accattivante: ed è già una gran lode! Del resto chi potrebbe osare cimentarsi con un maestro della cinematografia horror della levatura di Romero e uscire indenne dal confronto? Tanto più che, di questo rifacimento, è lo stesso George A. Romero il produttore esecutivo...
Sembra che Romero abbia telefonato alcuni giorni prima dell'uscita statunitense a Eisner per discutere sul film, comunicandogli come approvasse l'opera in quanto «una vera reinterpretazione» dell'originale, aggiungendo che riteneva «fosse ben fatto»...

Come è nella pellicola precedente, anche qui, la TRAMA - con un'ambientazione temporale spostata di circa trent'anni (ci sono i telefoni e i computer) ruota attorno a una pericolosa arma biologica che, accidentalmente immessa nell'ambiente, inquinando prima le acque potabili e poi anche l'aria, raggiunge Ogden Marsh, una piccola cittadina rurale degli Stati Uniti d'America di poco più di 1500 anime.
La vicenda si divide in due piani narrativi tra loro paralleli ma uniti da un filo sottile: il prima tratta dei cittadini intenti a sopravvivere alla follia scatenata dall'arma biologica (da qui il titolo originale, "The crazies", vale a dire i "matti"), mentre il secondo mostra gli sforzi del governo e dell'apparato militare per nascondere l'intera vicenda all'opinione pubblica che qui, a differenza che film di Romero, sono appena accennati, per quanto concerne le vicissitudini nella "stanza dei bottoni", soppiantate da veloci riprese satellitari che individuano la zona del contagio e da "guardiani" che fotografano e registrano visivamente gli eventi, per fornire evidenze della necessità di attuare delle misure di "contenimento" sempre più rigide e massiccie, mentre hanno pieno sviluppo nelle operazioni militari aggressive e cruente per evitare che il contagio si diffonda.
Stessa identica conclusione rispetto all'originale: la città verrà distrutta all'alba con un ordigno nucleare, con tutti i suoi abitanti, almeno quelli rimasti ancora in vita.
Lo sceriffo e la moglie, unici sopravvisuti che siano riusciti a forzare l'anello di contenimento,, si dirigono verso una città vicina.
In chiusura, una città più grande, Cedar Rapids, di più di 100.000 abitanti, viene individuata per mezzo della sorveglianza satellitare e ritenuta idonea per l'attivazione di misure di contenimento del rischio biologico.
Insomma, la storia non ha fine e sembra promettere una escalation verso la catastrofe.

L'esordio e la fine del film presentano delle immagini di apocalisse con il fuoco purificatore che distrugge ogni cosa.
Vi è in entrame le storie, l'ossessione americana per il contagio (figlia minore della paura del la Bomba) da parte di un agente infettivo sfuggito per accidente dai laboratori dove vengono messe a punto armi biologiche, da utilizzare come strumenti di distruzione di massa o come elementi "destabilizzatori" di territori nemici.
Non a caso uno dei capovalori di Stephen King, indiscusso maestro dell'horror, L'ombra dello scorpione (1978) comincia proprio con una epidemia che si diffonde su larga scala, decimando la popolazione americana, per avviare nuovi scenari di lotta tra il Bene e il Male.
L'ombra dello scorpione (The Stand) è un romanzo post-apocalittico in cui viene sviluppata l'ambientazione già presente nel racconto Risacca notturna e in cui fa la sua comparsa per la prima volta l'antieroe per eccellenza di King, Randall Flagg, che apparirà anche in Gli occhi del drago e nella saga della Torre Nera. La storia inizia con la morte di quasi tutta la popolazione dell'America settentrionale (e, presumibilmente, del mondo) in seguito alla dispersione di un'arma batteriologica sfuggita al controllo dell'uomo: un virus - conosciuto con il nome formale di Progetto Azzurro (e in gergo come "Capitan Trips") - mutazione letale dell'agente eziologico dell'influenza, caratterizzato da un tasso di infettività del 99,4% ed un tasso di mortalità del 100%.
La prima sezione del libro, intitolata appunto "Capitan Trips", si svolge in un lasso di tempo di 19 giorni e racconta del quasi totale sterminio della razza umana ad opera del virus stesso. L'edizione completa del libro inizia con un prologo intitolato "Il cerchio si apre" che spiega come la super-influenza fuggì dal laboratorio in cui fu creata.
Qui, nel film di Eisner, il Male prende la forma di un'epidemia che trasforma onesti e timorati cittadini in belve rabbiose ed assetate di sangue. E' significativo che la diffusione del morbo si verifica in una piccola cittadina rurale, quasi a sottolineare che l'Americano medio teme tutto ciò che può insidiare la sua quieta normalità fatta di piccole cose, di riti quotidiani che si svolgono all'interno di angusti orizzonti in cui ciò che conta è l'adattamento meticoloso alla routine di ogni giorno (identico tema a quello proposto dalla prima versione de L'invasione degli ultracorpi di Don Siegel).
La normalità dei cittadini americani è assediata: questa l'idea del film.
Una normalità che, malgrado il tempo trascorso tra i due film, è rimasta immutata nei suoi caposaldi: la famiglia, il rispetto delle regole, la partecipazione ai riti sociali, in un contesto in cui sembra che nulla debba mai cambiare.
Se non fosse per la comparsa degli strumenti tecnologici preposti alla comunicazione nel secondo film, si potrebbe dire che siamo ancora fermi agli anni Settanta.
Insomma, la normalità del cittadino medio americano risiede nel conformismo ed in una forma di immutabilità, sorretta da un ottimismo di base un po' ingenuo, quello - per intenderci - di "Keep o the sunny side of the road"... e dal desiderio di stabilità: ciò che fa paura e che attenta alla normalità della vita è il movimento, il cambiamento.
La colonna sonora, proprio a rimarcare ciò, si perde nelle note un po' mielose di "Keep smiling through" che sembra provenire direttamente dagli anni Sessanta, subito prima che l'epidemia dei mostri rabbiosi si scateni, mentre gran parte della popolazione di Ogden Marsh sta assistendo (appunto: la "normalità") ad una partita di Baseball.
La perdita del conformismo trasforma i cittadini timorati in esseri rabbiosi, spinti da una cieca determinazione omicida e senza più alcuna luce negli occhi, una clonazione a tutti gli effetti degli zombie, a suo tempo partoriti dalla fantasia di Romero (La notte dei morti viventi).

Ovviamente, il film, per quanto con questo sbilanciamento sulle destabilizzazioni comportamentali, spinge anche a una riflessione (per quanto non approfondita) sul rischio potenziale delle armi biologiche, tuttora esistenti ma protette rigidamente dal segreto militare, e sulla loro pericolosità nel caso che i protocolli di protezione dovessero fallire.

Ironman 2: toni da commedia innestati in un action movie tecnologico, ma con poca verve


Avendo visto Ironman 1, non si poteva perdere il secondo episodio, Ironman 2, un film di John Favreau (2010).
Con mio figlio che mi ci ha accompagnato, abbiamo convenuto che il primo della serie era stato molto più bello.
Perchè?
Sicuramente uno dei motivi di ciò è che il primo - come è per tutti i film che hanno per protagonista un supereroe - racconta la storia degli inizi ("the beginnings"), come il supereroe è nato, quali sono stati i percorsi che lo hanno portato ad acquisire un super-potere oppure a costruirsi una speciale identità, eventualmente con l'ausilio di supporti tecnologici che richiedono un perfezionamento per prove ed errori a partire da un prototipo rudimentale, come era stato nel caso di Ironman 1.
Ironman 1 era stato, da questo punto vista decisamente rutilante, anche perchè interpretato da Robert Downey jr con grande ironia, facendosi portatore di un messaggio anti-militarista.
Questa secondo capitolo della saga accusa una certa stanchezza: esaurita la meraviglia degli inizi, il regista - per rinverdire la trama e l'interesse degli spettatori - ha sentito la necessità di introdurre elementi di intrigo e di "spionaggio" industriale, attività di intelligence in nome della "sicurezza" USA, minacciata dal fatto che una potenziale arma letale sia in possesso di un privato cittadino, e vendette personali (come è il caso dell'socura e non chiara guerra perseguita da Ivan Vanko (un sempre più devastato Mickey Rourke) ai danni di Tony Stark (che è sempre interpretato da Robert Downey Jr).
In questa pellicola, sono molti i dialoghi e le parti statiche che poi tracimano in un'eccedenza compensatoria di lotte e voli di protesi cibernetiche armate di tutto punto e persino di una piccola armata di droni.
Tra le chicche: il bacio finale tra Tony Stark e la sua segretaria-manager-tuttofare, Pepper Potts (Gwyneth Paltrow), algida, efficiente, ma in segreto innamoratissima del suo datore di lavoro (sempre troppo distratto da altre donne e molto vanesio) e oltremodo gelosa: e, per l'attivazione di questo piano narrativo, è funzionale il controcanto di una neo-segretaria procace e abilissima nelle arti marziali, Natalie Rushman (Scarlet Johansson, affascinante come sempre).
Altra chicca, che è come una firma dell'autorialità delsupereroe a fumetti è la breve comparsa di Stan Lee, nei panni di se stesso, mentre Jon Favreau che, prima di darsi alla regia, ha avuto un passato di attore, si è ritagliato la parte di Happy Hogan, autista alquanto macchiettistico e concitato di Stark e Pepper Potts.
Ai toni leggeri da commedia si alternano quelli più scanditi dell'action movie tecnologico.
In ogni caso, per chi aprrezza le saghe dei supereroi della Marvel trasposte in film, rimane indubbiamente un film da vedere.
 
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