venerdì 27 marzo 2009

Together, anche senza parole


Due persone sedute senza fare nulla di particolare, che semplicemente "stanno" - anche senza spendere troppe parole - vivendo in silenzio l'intimità della condivisione, ispirano sempre un senso di pace e serenità.
Forse io, al posto loro, su quella panchina improvvisata fatta di un tronco calcinato dalla salsedine, mi sarei accomodato
piuttosto con lo sguardo rivolto verso l'infinito del cielo e del mare.

Un piccolo libro contro il mondo di plastica che oggi si propina ai bambini


Russell Hoban mi è sempre piaciuto straordinariamente.
Uno scrittore che, pur essendo morto precocemente, a soli 32 anni, ha lasciato dietro di sé numerosi romanzi memorabili, nei quali riusciva ad operare una felicissima sintesi tra il mondo fiabesco dell'infanzia e l'età adulta, costruendo di volta in volta delle straordinarie metafore e degli apologhi ricchi di insegnamenti morali.
Basti pensare ad una delle sue opere - per me - più belle: "Il topo e suo figlio", per non parlare di "il diario della tartaruga", per citare solo due dei suoi romanzi.
"Grosso guaio a Monte Tuono" (Trouble on Thunder Mountain, Fabbri Editore, 2003) è più scopertamente destinato ad un pubblico di lettori piccini ma cionondimeno godibilissimo anche per lettori adulti, splendidamente illustrato da Quentin Blake, egli stesso scrittore per l'infanzia e autore delle illustrazione per le storie di Roald Dahl.
Il signor Cervellopiatto ha deciso di "appiattire", anzi, di spianare una montagna per fare posto a un parco divertimenti tutto di plastica. Ma la famiglia De Sauro, che abita felice proprio su Monte Tuono e costituita da Mamma, Papà e Jim, non ha alcuna intenzione di farsi sloggiare e tutto un seguito di piccoli animaletti. Sono così felici lassù, con il loro orto "dove coltivavano rape e porri, cipolle e patate..." e con un bel giardino di pietra dove, invece, curavano rocce e sassi e le loro abitudini.
Dopo aver subito lo strapotere del sig. Cervellopiatto, Presidente della Megahorror International, trovano uno stratagemma per recuperare la loro bella montagna e tutte le proprie cose, creando anzi un proprio parco per picnic, ameno e pieno di cose naturali.
Dietro l'apparente semplicità, questo piccolo racconto, nasconde una profonda riflessione contro i divertimenti "di plastica" del mondo contemporaneo, dei suoi "parchi tematici" dei suoi "divertifici", proponendo un approccio più semplice, naturale e diretto alle cose.
Il libro è seguito da una breve postfazione di Antonio Faeti, studiso di pedagogia e di letteratura per l'infanzia, che si conclude con queste considerazioni:
Dopo aver letto il loro libro [di Hoban e Blake] ho visto ancora un'altra delle immagini nero-verdi che pubblicizzano potentemente il film Hulk, ecco, ho pensato, un evidente bersaglio dei due grandi. Loro pensano che la fantasia infantile oggi frequenti le discariche imaginative di un sogno povero e ripetitivo. (...) E' un libro spassoso e amarognolo, ha quindi un ottimo sapore.

sabato 21 marzo 2009

"The international" evidenzia il potere delle grandi banche nel "governo" del mondo


"The international" è un bel film d'azione con dei forti risvolti di "fantapolitica" (anche se poi il fanta- è proprio poco e tutto sembra muoversi in un mondo corrotto a noi molto vicino) che punta un potente faro sull'interesse di grandi Banche ad intervenire nel fitto intreccio di politica, terrorismo internazionale e guerre, per potere, alla fine, divenire padrone assolute del "debito" di quei paesi e, attraverso questo, governare dietro le quinte intere nazioni.
Un caparbio detective dell'Interpol, Louis Salinger (Clive Owen) supportato da un Vice Procuratore Distrettuale di NY, Eleanor Whitman (Naomi Watts) vuole andare a fondo nelle sue indagini sugli affari loschi della Banca IBBC, ma le tracce importanti si perdono nel nulla, personaggi chiave che vogliono fare rivelazioni decisive vengono uccisi, le pratiche insabbiate.

L'azione procede turbinosa, ma sobria, dipanandosi tra Germania, Lussemburgo, Stati Uniti, Italia, Turchia: il regista non cede - nella sua trama narrativa, comunque fitta di svolte e di colpi di scena, - all'omologante tendenza hollywoodiana degli inseguimenti roboanti e rocamboleschi, ad eccezione di una sola volta (la prolungata ed irreale sparatoria all'interno del Guggenheim Museum).
Le conclusioni sono amare: ben poco si può fare per scalfire il colosso del malaffare internazionale nel doppiopetto dei banchieri di alto livello: e anche quando caparbietà e dedizione sono sul punto di ricevere il premio, tutto si dissolve in un nulla di fatto.
I cambiamenti e i punti di svolta sono, di fatto, determinati soltanto dagli aggiustamenti "omeostatici" del sistema corrotto che espelle i suoi punti deboli, ripara le falle e genera nuove difese. Tutto cambia, perchè nulla cambi e il sistema della corruzione, del profitto illecito e dell'accumulazione del potere continua a crescere a dismisura. Si esce dalla sala cinematografica, chiedendosi se per caso nonsi sia arrivati ad un punto di non ritorno: cioè ad un sistema di corruzione legalizzato che si è fatto planetario.
La sceneggiatura del film era stata messa in lavorazione da anni e partiva da un fatto reale: negli anni Settanta la Bank of Credit and Commercial International con base a Karachi risultò essere una centrale di sostegno e finanziamento di una vastissima rete di traffici illegali ivi compreso il sostegno ad attività terroristiche. Da allora sono passati più di trent'anni. Quindi i riferimenti al presente sono puramente fortuiti e casuali e, cionostante, la fiction cinematografica fornisce - come spesso accade - un formidabile spunto per riflettere.

Il trailer

martedì 17 marzo 2009

Su di un libro che è venuto a me


I libri ci raggiungono attraverso molte vie, come ho già scritto.
Libri di cui non sappiamo nulla e che ci colpiscono, ci sorprendono, ci appassionano come pochi altri.
Di Walter Tevis sapevo soltanto che era l'autore di "L'uomo che cadde sulla terra" che avevo letto, quando - appena laureato - trascorrevo alcuni mesi a Milano, durante il primo anno di specializzazione: un romanzo che, tanto impregnato di solitudine e di dolore, mi teneva compagnia durante intere notti di guardia in una vecchia casa di cura di Monza, deserta e in via di smantellamento: una villa enorme, con un altrettanto gigantesco parco delimitato da cipressi fronzuti, con una popolazione di tre ricoverati soltanto, in via di estinzione, oltre agli anziani proprietari.
Durante quelle notti mi mettevo a letto, afflitto dal suono profondo del silenzio, con il cuore in gola e, con una fioca luce da comodino, leggevo le pagine di Walter Tevis: in edizione Urania del buon tempo andato, con il testo di ogni pagina diviso in due colonne.
Mai lettura fu più adatta e consona alla situazione: in quel posto, mi sentivo un alieno, lontano dal resto del mondo, prigioniero per alcuni versi, proteso in attesa di eventi, ma poi sempre deluso.
Il romanzo venne successivamente trasposto in un film che, con la magistrale interpretazione di David Bowie, seppe cogliere i temi laceranti della diversità e della solitudine che vi serpeggiavano, senza poter trovar un lieto finale.
Di recente Romina, senza che mai avessimo parlato di Walter Tevis, mi ha messo davanti un romanzo che, a suo tempo, le era piaciuto profondamente: "La regina degli scacchi", un libro in brossura formato tascabile, "vissuto" e dalle pagine lungamente sfogliate, per certo lette e rilette, come Ro usa fare.
Grande è stata la mia sorpresa nel constatare che l'autore era quello stesso Walter Tevis, autore de "L'uomo che cadde sulla terra".
Ho preso subito a leggerlo ed èdivenuto immediatamente la mia lettura preferita.

A otto anni, Beth Harmon sembra destinata a un'esistenza squallida come l'orfanotrofio in cui è rinchiusa: sola, timida, bruttina, dipendente dai farmaci, terrorizzata da un mondo che non capisce e che non fa nulla per capirla. Finché un giorno si trova davanti una scacchiera. Gli scacchi diventano per lei non soltanto un sollievo, ma anche una speranza: schemi di gioco come la Difesa Siciliana e il Gambetto di Donna ("The Queen's Gambit" è proprio il titolo originale di questo romanzo) sono le armi con cui comincia a farsi prodigiosamente strada nei tornei e nella vita. Ma se da una parte la sua precoce ascesa all'olimpo scacchistico la porta ad affrontare, a soli diciassette anni, il campione mondiale, la maestria di giocatrice non basta a liberarla dalla paura, dalla solitudine e dalle tendenze autodistruttive. Un ritratto femminile, una storia che vibra di suspense, un atto d'amore verso il gioco più nobile e spietato: "La regina degli scacchi" è l'ultimo romanzo di uno scrittore che è riuscito a narrare come pochi altri l'alienazione, la speranza e il riscatto.
Un romanzo in cui la diversità è nella storia di Beth, prima orfana, poi inserita nel mondo degli scacchi - a quei tempi quasi esclusivamente di pertinenza maschile - e poi alcoolista.
Ma qui, a differenza, che ne "L'uomo che cadde sulla terra" vi è spazio per un possibile riscatto e per uno spiraglio di speranza, forse perchè Walter Tevis scrisse questo suo ultimo romanzo a disintossicazione avvenuta, dopo il buio degli anni di devastante dipendenza dall'alcool.
Grazie, Ro, per avermi fatto conoscere
questo libro (nel senso di poterlo possedere e di farlo entrare nel bagaglio che mi porto appresso) !!!

giovedì 12 marzo 2009

Quelle macchine bruciate di via Lombardia


Nella notte tra sabato 7 marzo e domenica 8, due auto hanno preso fuoco in via Lombardia a Palermo.
Le fiamme hanno raggiunto il massimo sviluppo attorno alle 5.00 del mattino.

Tonfi e botti, il crepitio dell rogo, lo scoppio dei pneumatici hanno risvegliato molti degli abitanti nei condomini adiacenti, alcuni dei quali si sono affacciati per cercare di capire cosa stesse accadendo.
Le fiamme si sono levate alte, strinando un vetusto eucalipto, incombente subito al disopra delle auto avvolte dal fuoco.
Rimane oscuro il motivo dell'incendio che ha turbato la pace di un quartiere abitualmente tranquillo.
Una bravata di giovani scapestrati o un semplice incidente?
Vandali gratuiti oppure teppistelli che hanno voluto punire qualcuno?
Incidente o dolo, non si sa...

Quel che certo è che alcuni hanno sentito, poco prima dell'incendio, un alterco di voci.


Le due carcasse ancora non sono state rimosse.
Anzi, una delle due è stata amorevolmente rivestita con un telo bianco.
E poi, dopo qualche giorno anche l-altra
Chi sa poi perchè?


Erranze


La nostra più profonda e radicata condizione è quella di pellegrini che procedono lungo una strada infinita che pur avendo delle tappe, con soste più meno lunghe, determinate dal caso o dalla necessità, con il suo richiamo obbliga poi a ripartire.
Verso quale meta, non si sa.
Sulla strada, c'è l'inquietudine dell'andare: in ciò che ci si lascia alle spalle e nell'incertezza di ciò che si troverà, andando un po' più avanti ancora, a scop
rire cosa c'è dietro l'orizzonte o oltre quel dosso che ci impedisce la visuale.
Ma c'è anche la bellezza della scoperta e dell'imprevisto; e, in alternanza, il confronto con il vuoto e con profonde solitudini.
Ed intanto, mentre andiamo, siamo soltanto ombre, corpi erranti senza sostanza, che non possono appartenere ad alcun luogo.




lunedì 9 marzo 2009

Per ogni cosa c'è un tempo


In Italia c'è il brutto vizio di catalogare alcuni libri "per l'infanzia", liquidandoli per questo sbrigativamente.
Ma ce ne sono alcuni che sono meravigliosi e deliziosi e che, nella semplicità dell'abbinamento di scarni testi essenziali e bella grafica, fanno commuovere, trasmettendo messaggi importanti e insegnando ai piccini e ai bimbi che stanno dentro agli adulti , per quanto seppelliti sotto strati e strati di seriosità sprezzante e razionalità arida, grandi lezioni morali.
Accade proprio questo con il piccolo libricino di Jude Daly, "Una stagione per ogni cosa" che si connette esplicitamente con l'Ecclessiaste, di cui alla fine cita i versetti integrali (Libro di Qohelet, cap. III, versetti 1-8).
Non sono stato un lettore della Bibbia, eppure questi versetti mi hanno sempre appassionato per la loro universalità, divulgata poi dalla famosa canzone dei Byrds ("To everything there is a season", più conosciuto con il titolo abbreviato di "Turn, Turn, turn!") con quei coretti naif che, forse, riascoltandoli oggi, ci fanno un po' sorridere, pur conservando intatto il loro fascino.
Questa la breve presentazione del volume, nel retro della copertina:
"C'è un tempo per ogni cosa e un tempo per ogni evento sotto il cielo. Il miracolo dell'esistenza è un orologio che scandisce, sotto un cielo di stelle, lo scorrere della vita."
Il libro è corredato da bellissimi disegni a colori: è più da guardare che da leggere, naturalmente.
Ma le brevi frasi scarne, che si leggono velocemente, leggere come un battito di ciglia, rimandano ad un universo di significati interiori e di pensieri e di ricordi: e per questo fanno vibrare.
Possiamo dire che,
per ogni momento della nostra vita, "c'è stato un tempo" unico e particolare: ma non sempre siamo stati di capaci di coglierne il senso profondo.
Il tempo è passato e quell'occasione è sfuggita.
Oppure, abbiamo indugiato più a lungo in qualcosa che aveva già fatto il suo tempo, (per cui "non era più tempo") e non abbiamo proseguito nel flusso della vita, indugiando per paura o perplessità.
Questo è il testo del piccolo libro (una frase per pagina...)

C'è una stagiome per ogni cosa
e un tempo per ogni evento sotto il cielo

Un tempo per nascere
e un tempo per morire.

Un tempo per seminare
e un tempo per raccogliere.

Un tempo per uccidere
e un tempo per curare.

Un tempo per demolire
e un tempo per costruire.

Un tempo per piangere
e un tempo per ridere.

Un tempo per il dolore
e un tempo per la gioia.

Un tempo per gettare sassi
e un tempo per raccoglierli.

Un tempo per abbracciare
e un tempo per sciogliersi dall'abbraccio.

Un tempo per guadagnare
e un tempo per perdere.

Un tempo per trattenere
e un tempo per lasciare.

Un tempo per strappare
e un tempo per cucire.

Un tempo per tacere
e un tempo per parlare.

Un tempo per amare
e un tempo per odiare.

Un tempo per la guerra
e un tempo per la pace.

C'è una stagione per ogni cosa
e un tempo per ogni evento sotto il cielo.

venerdì 6 marzo 2009

Temporali e manici d'ombrello


Tempo d'inverno: bufere e temporali si abbattono su di noi e siamo costretti a subire giorni e giorni di clima incerto e capriccioso, venti tempestosi, raffiche mai viste, freddo. Di tutto e di più. La mutazione climatica, l'effetto serra, la deriva dei conteninenti, le polveri sottili, tutto concorre a questi inverni che si fanno sempre più rigidi e bagnati.
In passato, ritenevo che noi siciliani fossimo dei fortunati a godere di un clima mite, scarse precipitazioni, sole e cielo sereno il più delle volte (e, badate, non parlo da meteorologo, ma delle mie semplici percezioni abbinate ai ricordi della mia infanzia e giovinezza).
Poi, potrebbero venire i "tecnici" a parlare di medie stagionali e di tutta una serie di questioni tecniche, ribaltando tutte le carte in tavola e andando contro le nostre semplici percezioni. Io tenderei sempre a diffidare degli "esperti".
Comunque.

Il cattivotempo persistente, assillante ci spiazza e ci mette di cattivo umore.
Non sappiamo come vestirci.
Per un minuto fa caldo e, dopo poco, viene giù il freddo.
Mettiamo il naso fuori prima di uscire per vedere se piove.
Tutto OK.

Ed ecco che di lì a poco si scatena un temporale.
Pioggia a catinelle come non se n'era mai vista, vento ululante, raffiche che ti spingono le gocce d'acqua negli occhi e ti fanno bruciare la pelle del viso tanto sono gelide. Non siamo come gli Inglesi che escono di casa armati di ombrello, anche se brilla il sole, perchè loro sanno bene che "non si sa mai"...
Chi - previdente - ha il buon senso di portarselo appresso, invece, è come se non l'avesse, spesso.

Gli ombrelli di oggi sono fragili, malfatti, con stecche di morbido alluminio, anzichè d'acciaio come s'usava un tempo, e le raffiche di vento potenti.
Ed ecco che, per strada, si possono vedere autentiche scenette comiche con persone che camminano - sempre dignitossime - riparandosi sotto parapioggia tutti sbilenchi, le stecche rotte e la tela strappata, oppure, ancora di più, altri che lottano strenuamente contro le raffiche di vento, il corpo piegato in strane posture ingobbite, cercando di proteggere il proprio paracqua messo a repentaglio e prossimo a rovesciarsi come un calzino.
La lotta è impari.
Il più delle volte gli ombrelli finiscono con l'essere sfondati, rovesciati, spezzati, insomma resi del tutto inservibili.
E' a questo punto che i malcapitati cittadini, presi da un moto di improvvisa stizza, con ben poco senso civico caraventano per terra il rudere del proprio fu-ombrello e se ne vanno via impettiti, come a dire "Si piegherà pure quel farabutto del mio ombrello, ma io no di certo!". E' per questo che, dopo un temporale, è frequente vedere così tanti ombrelli distrutti per strada, abbandonati lì, a volte pericolosamente per un passante distratto.
Chi sa perchè, nessuno pensa mai di barazzarsi dell'ombrello, approfittando del più vicino cassonetto...
Si direbbe che sino a poco prima abbiano piovuto ombrelli, anzichè - semplicemente - acqua e grandine.
 
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