domenica 7 giugno 2009

Skifidol slime: ma che schifo!!!


Ieri mio figlio (che, per la cronaca, va per i 16 anni) mi ha fatto fare una figura davvero barbina.
Visto che scendevo a far due passi con il cane e passavo dall'edicola, mi ha detto: "Papà, vedi se hanno lo Skifidol ...slom ...slim... insomma, non ricordo bene, lo Skifidol qualcosa".

"Va bene!" - ho replicato io docile.
Arrivo in edicola e acquisto le mie cose.
Poi, ricordandomi della richiesta di mio figlio, dico: "Avete lo 'Skifidol'?"
"Ma, veramente ce ne sono tanti tipi diversi... Lei quale vuole?"

"Non so... (imbarazzo) ... veramente, è per mio figlio".
(Tipica situazione fracchiana di quando ci sente improvvisamente annichiliti...)
"Ah!".

"Se mi consentite, faccio una telefonata a casa e chiedo proprio a lui (il mio spietato committente...)".
Chiamo: dopo lunga attesa (l'avevo lasciato a guardare, intrippatissimo, Saw - ed era già arrivato al terzo film della serie...) si degna di rispondermi...: "Senti un po', qua hanno una cosa che si chiama Skifidor Slime... E' questo quello che volevi? Ma ce ne sono tipi diversi: c'è quello viola, quello giallo e quello rosso, al momento...".
"Mah... Non so... Scegli tu, per me fa lo stesso".

Sempre più imbarazzato ho chiesto delucidazioni per potere scegliere in modo informato.

Le confezioni, tutte identiche, avevano l'aspetto di piccoli bidoncini di plastica, colorati a vivaci colori, agitando i quali si sentivano inquietanti sciaguattii, come di un liquido denso sguazzante contro le pareti.

Un bel mistero, per me.

L'edicolante mi dice: "Quello giallo è all'urina immediata la sensazione di nausea), quello rosso al vomito (la sensazione di nausea si tramuta in conato a stento represso), quello viola al concime (un'immediata impressione di benessere mi ha preso di fronte ad una cosa relativamente normale)".
Aggiungo, quasi per giustificarmi: "Sapete è per mio figlio che ha 15 anni. Io non ne capisco nulla di questa cosa...La sto prendendo per lui, mica per me".

Ma l'imbarazzo rimane forte egualmente.
"Va Bene. Prenderò quello al 'concime', degli altri due non posso sopportare nemmeno il pensiero".
Vado a casa, lieto di essere riuscito a portare a termine il compito assegnato...
Grande divertimento di mio figlio, quando riceve ciò che aspettava
: ha subito aperto la confezione, tirando fuori dal bidoncino una masserella dal colore viola-shocking e dall'aspetto vomitevole che si spande da tutte le parti come un blob malefico.
Gli dico: "Mi hai fatto fare una figura penosa all'edicola: La prossima volta vacci tu a comprare lo Skifidor! Per attenuare la vergogna, gli ho detto che era per te...".
"E gli hai detto la mia età?"
"Certo!"
"Avresti potuto far finta che ero più piccolo e dirgli che avevo cinque anni...".
(Meno male! Almeno è un po' sensibile su questo punto...).

Ci gioca tutto il tempo nelle successive due ore, ispirandomi continue sensazioni di nausea ogni volta che si avvicina con quella "cosa" tra le mani, invitandomi a palparla, strizzarla, maneggiarla e a farmela scorrere sulla pelle.
Una parte del suo godimento deriva dal mio raccapriccio e dall'espressione sgomenta che mi si dipinge in volto ad ogni suo tentativo di appiccicarmela addosso o di farmela toccare.

Non posso nemmeno sentirmela vicina quella "cosa", ma oggettivamente non emana alcun odore, malgrado l'aspetto così nefasto.
I giochi di mio figlio si moltiplicano: e diventa anche sperimentale, perchè - attraverso una serie di manualità - dello Skifidor valuta la capacità di espansione, di assottigliamento senza lacerarsi, o di allungamento in un filo sottile...
Almeno, in questa comica situazione (in fondo, poi, lo schifo era anche un po' recitato in modo istrionesco...) non ho mancato di fare delle foto.

E' stata la mia piccola vendetta: gli ho detto: "Ora una di queste foto la metto nel tuo profilo FB".

"Noooooo!" - ha fatto lui - "Non farlo perchè poi mi taggano per l'eternità, mentre faccio questo gioco...".

Anche lui, allora, ha i suoi pudori...


Skifidol slime.
Nulla di nuovo sotto il sole. In corsi e ricorsi, a distanza di molti anni le stesse cose vengono proposte con nomi diversi ed anche funzioni diverse.

In fondo l'antecedente illustre di Skifidol è "Blob", l'informe extraterrestre dall'aspetto di ameba melassosa che tutto ingloba al suo passaggio.
Successivamente, negli anni Ottanta, nella saga dei "Masters Of the Universe" un famoso cartone animato con tutto un corredo di merchandising di oggetti per l'infanzia, venne fuori un tranello a forma di trono dove i personaggi buoni (He-Man, in testa, l'eroe indiscusso della saga) venivano intrappolati dal cattivo faccendiere che voleva diventare, con i suoi intrighi, padrone dell'universo e, azionando una leva a lato del trono, una pasta verdastra, densa e vischiosa, colava sul personaggio.
Ma ogni volta, azionando un'altra levetta che liberava un meccanismo a molla, il prigioniero che, per definizione,era invincibile si liberava e ancora una volta trionfava nella sua battaglia contro il Male.




Sono tanti appiccicosi
tutti da lanciare...
sono trasparenti, colorati
e ti fanno scompisciare!

Skifidol Attack è il loro nome,
sono elastici e invadenti...
divertono anche i secchioni
e son tutti travolgenti!

Con Manine e Piedoni puoi ora scatenarti veramente...
e sfidare i tuoi amici
con il gioco più divertente!


Alla 100 km del Passatore, io c'ero: quando il mito è il richiamo più importante


La 100 km del Passatore la si può osservare in due modi diversi. C'è innanzitutto la gara dei primi, quelli che corrono nella testa della corsa e questo è, indubbiamente, grande podismo, grande sport, grande spettacolo.
Basta seguire la testa alla gara per rendersene conto: ogni edizione del Passatore diventa anche un'importante capitolo nella storia delle ultramaratone, in cui vengono scritte rilevanti pagine tecniche.
Poi, mentre i primi arrivano al traguardo rapidi come comete, continua la gara dei podisti più lenti che comunque, pur non potendo dire nulla dal punto di vista tecnico e della prestazione, ciò nonostante ci sono e contribuiscono in gran parte a costruire la grande rappresentazione "liturgica" della Firenze-Faenza e a fare la storia stessa della corsa.

Basti pensare che quando si è giunti alla 10^ ora di gara (quando, cioè, al traguardo di Piazza Popolo sono già arrivati almeno un centinaio di podisti) gli ultimi - ma intendo proprio quelli che fanno da fanalino di coda - hanno da poco superato il passo della Colla (sono in altri termini a poco meno di 50 km dall'arrivo).

Basta seguire il grande tabellone con il profilo altimetrico e le lucine colorate rosse e verdi piazzato in prossimità del palco degli arrivi per rendersi conto di quanto sia lenta la progressione degli ultimi.
Chi sta per giungere a Casaglia attorno alla 10^ ora sa bene - non può non pensarci - che i primi sono già arrivati: eppure - e questa è la vera forza di carattere dei podisti più lenti sì, ma assolutamente meritevoli - non si scoraggiano, non demordono, stringono i denti e vanno, perchè per loro, ciò che conta veramente in questa giornata - di grande fatica, ma magica e straniante - è arrivare sino in fondo, trasformando un miraggio - un desiderio vagheggiato - in realtà.
Basta stare a guardare gli ultimi arrivi a Piazza del Popolo, diciamo dallo scoccare della 18^ ora in avanti: i podisti continuano ad arrivare alla spicciolata, al ritmo di uno ogni 2-3 minuti.
Alcuni si affacciano in gruppetti compatti di due o tre.
Alcuni non hanno più la forza di stringere il ritmo in una progressione finale e si lasciano arrivare anche distanziati di due-tre metri da chi li procede, senza nemmeno fare un blando tentativo di raccorciare la distanza: ma, in fondo, a questo punto, un posto guadagnato nella classifica generale non fa più nessuna differenza.
I volti sono emaciati e pallidi, devastati dalla stanchezza e dalla mancanza di sonno, alcuni sono francamente stralunati e vacillanti, altri piegati come alberi torti da un vento furioso: eppure, al taglio del traguardo e subito prima di quell'ultima micidiale rampetta che li porterà a ricevere gli ambiti premi (la medaglia, il trittico dei vini e, per i "ripetenti", il trofeo di ceramica "Io c'ero", un sorriso si apre radioso nel volto di ciascuno, gli occhi si illuminano, qualcuno abbozza un gesto di trionfo stendendo le braccia in alto, altri si buttano sulle ginocchia e baciano il suolo e lì rimangono per un attimo estenuati eppure contenti.
E poi, dalla 18^ ora ci sono anche tanti che fanno la storia del Passatore: personaggi che non mancano mai e che vorremmo sempre vedere di edizione in edizione, tanto siamo affezionati alla loro presenza, come il signore che spinge una carrozzina con un globo in miniatura, pieno di messaggi che inneggiano ad un mondo di pace, più equo e più giusto; oppure Il "pittore" che ogni anno, armato di pennelli e colori ad olio, dipinge strada facendo uno o due quadri che hanno come soggetto le vedute paesaggistiche di cui si gode lungo il percorso; oppure ancora il piccolo (di corporatura, ma anziano di età) Alpino, o ancora il grande Gelli che ha portato a termine per ben 36 volte il Passatore (tutte le edizioni meno una) e che, con pervicacia e orgoglio, trasporta da Firenze a Faenza un grande stendardo che, sulle due facce, porta tutti gli anni delle sue partecipazioni, scritti in rosso con grandi caratteri cubitali.
Il Passatore è tutto questo e molto di più: non è soltanto la gara tecnica dei primi.
E questo bisogna ricordarselo bene, rendendo onore a tutti, egualmente: agli ultimi come ai primi.
Ogni persona del Passatore, ogni finisher, ma anche chi è stato costreto a ritirarsi e poi tanto ritornerà, ha una sua storia da raccontare che può spiegarci il suo esserci, le sue aspirazioni e i suoi pensieri durante la gara.


Attraverso tutto questo si è costruito il mito della "Cento più bella del mondo": ed è proprio il mito che le aleggia attorno e che ormai possiede una sua vita propria a far sì che, ad ogni nuova edizione, siano diverse centinaia i "neofiti della 100 km", cioè quei podisti che decidono di partecipare per la prima volta non tanto ad una 100 km quanto piuttosto tout court al "Passatore" (circa 470 quest'anno gli iscritti neofiti che correvano il Passatore per la prima volta).
La 100 km del Passatore è un po' come la Maratona di New York per i tanti che hanno cominciato a correre perchè subivano il fascino della Maratona nella Grande Mela e che ci andavano non tanto perchè gli importasse granchè della maratona come gara "tecnica" ma per potersi abbeverare a quel mito, vivendolo in prima persona e poter dire alla fine, esibendo orgogliasamente la medaglia di finisher "Io c'ero", "Io ci sono stato", "Ce l'ho fatta".
Lunga vita al Passatore che adesso marcia a gonfie vele verso il compimento dei suoi "primi quarant'anni"!

mercoledì 3 giugno 2009

Man on wire, lo spiderman australiano e i miei sogni inquieti di funambolo per caso


Notte turbata da numerosi sogni iterativi.
Ieri ho sentito la notizia di uno che ha scalato un grattacielo riproponendo l'esperienza di un famoso equilibrista (il francese Philippe Petit) che, sul cavo d'acciaio, camminò tra le due Twin towers (nel 1974).
I miei sogni erano questo, in sostanza: dovevo continuamente affrontare dei difficili passagi, pencolando sul vuoto e utilizzando delle basi instabili per procedere, tipo mucchi di casse o di sedie. Nel sogno ero funambolo per caso, certamente non per vocazione...


In un luminoso mattino d'estate del 1974, il funambolo Philippe Petit camminò per più di un'ora lungo un cavo d'acciaio steso tra i due grattacieli più alti del mondo, le Torri Gemelle di New York, simbolo del progresso e del rinnovato ottimismo occidentale. Man on Wire (un film della durata di circa un'ora del regista James March) è la storia di questa avventura surreale, progettata da un manipolo di eroici sognatori, figli del loro tempo. Attraverso il materiale girato durante
la preparazione dell'intricato piano che li porterà in cima ai palazzi, il film, che ha letteralmente dominato nel panorama documentario dei migliori festival della stagione, racconta una parabola epica, una folle utopia al confine tra il gioco prodigioso, l'atto politico e la provocazione artistica.

Questo il video ull'impresa di Philippe Petit (clicca qui)

Sullo straordinario Philippe Petit esistono diversi libri, tra cui "Il trattato di funambolismo", (Ponte alle Grazie) con una bella prefazione di Paul Auster.

Questa invece la notizia più recente dell'impresa dello "spiderman" australiano (notizia di ieri)

SYDNEY - Nuova impresa di 'Spyderman'.
Il 46enne francese Alain Robert e' stato arrestato dopo aver scalato a mani nude un grattacielo di 41 piani a Sydney, in Australia.
Domani dovra' comparire di fronte alla Corte: e' accusato di aver messo a rischio la sicurezza pubblica.
Nuova prodezza dell’uomo ragno francese, che torna a far parlare di sé: ha scalato i grattacieli di mezzo mondo per richiamare l’attenzione sui cambiamenti climatici.
Centinaia di persone si sono riunite ad Aurora Place, a faccia in su per vedere Alain Robert -
che ha scalato oltre 80 grattacieli in tutto il mondo - raggiungengere la cima dell'edificio progettato da Renzo Piano in soli 10 minuti.
Robert, 46 anni, è stato arrestato dalla polizia alla fine della scalata illegale, ma non prima di aver mostrato un banner del gruppo ecologico One Hundred Months
(www.onehundredmonths.org)

Il gruppo, sostenuto anche da Greenpeace, ritiene che il mondo abbia 100 mesi per agire sul cambiamento climatico, pena conseguenze irreversibili.
Sbigottitigli impiegati che stavano lavorando nell’edificio e che hanno assistito alla scalata fino al 41° piano del grattacielo.
Robert, 46 anni, è poi tornato giù ed è stato fermato dagli agenti che nel frattempo avevano chiuso la strada nel cuore di Sydney.
La polizia ha giudicato come «irresponsabile e pericoloso» il gesto di Robert, ma c’è anche chi ha applaudito la sua prodezza, come sempre senza corde di sicurezza nè bardature: «Magnifico, mi è piaciuto», ha commentato uno dei tanti spettatori radunati sotto l’imponente grattacielo. Sempre in Australia, l’uomo ragno aveva già scalato il Sydney Opera House.

(L'articolo sullo spiderman australiano è di Olga Iacuaniello)


Cosa accomuna Philippe Petite lo spiderman autraliano?
Sicuramente il gusto dell'impresa, la grandissima abilità di cui danno prova, la capacità di mettere alla prova una tecnica comprovata e di esporsi al rischio in moo calcolato e senza rete di protezione.
Cosa, invece, li rende diversi ?
Philippe Petit, come si evince dalla lettura dei libri che lo riguardanooe che lui stesso ha scritto è un artista del cavo d'acciaio e del bilanciere. Le sue imprese sono fini a se stesse e hanno una valenza profondamente estetica: quella delle Torri gemelle, secondo alcuni, alla luce soprattutto della tragedia dell'11 settembre, ebbe una valenza profondamente simbolica e così verrà ricordata negli anni a venire: il superamento dell'abisso tra le due torri come tentativo di portare al mondo un messaggio di fede e di speranza.
Iil francese Alain Robert, invece, dedica le sue imprese ad una causa ecologica. Si arrampica sulla cima di un grattacielo per ricordare a tutti che il mondo e il nostro ecosistema sono in pericolo e che i loro giorni sono contati, se non si interviene in modo decisivo.
Robert, dunque, con le sue imprese compie delle azioni di "ecoterrorismo", essenzialmente pacifico e non violento.
Malgrado quese differenze, enrambi tuttavia, al termine delle loro imprese più mirabolanti, sono stati arrestati per aver messo a repentaglio l'incolumtà propria e di altri.


lunedì 1 giugno 2009

La solitudine del maratoneta e la capacità di trovare da soli il proprio traguardo


"La solitudine del maratoneta" ("The loneliness of the long distance runner" è il titolo originale, Minimum Fax, 2009), ripubblicata in questa edizione nel cinquantesimo anniversario della prima uscita, deve la sua fama - in parte - a una suggestiva trasposizione cinematografica ("Gioventù, amore e rabbia" di Tony Richardson, 1962) del racconto che dà il titolo alla raccolta. Il racconto che si dispiega in quasi sessanta pagine è un lungo e inarrestabile fiume in piena di associazioni mentali, pensieri, sensazioni, emozioni e scandaglia, al ritmo dei passi del protagonista, durante una lunga competizione di corsa campestre, la sua mente. Ai tempi della prima pubblicazione, il successo del racconto fu assicurato sia dal contenuto, ma soprattutto, dallo stile innovativo, e ancor oggi modernissimo, di Alan Sillitoe, collegabile alla corrente degli "Angry young men" della letteratura inglese del dopoguerra.
Il suo ritratto di un'Inghilterra proletaria, frustrata o ribelle, si delinea attraverso una serie di personaggi che, nella loro quotidianità, restano tuttavia figure emblematiche di uno dei periodi più fecondi della cultura britannica del Novecento.
Ciò si vede bene nel dispiegarsi dei racconti contenuti nella raccolta a partire dalla storia del ribelle Colin che, attraverso la corsa, trova la sua via al riscatto sociale, anche se perfino in questa strada che ha imboccato non rinuncia ad un giovanile ribellismo, con un'apertura improvvisa all'autodeterminazione e all'auto-assertività.
Colin, infatti, dopo aver condotto in testa la gara (importantissima per
i dirigenti del riformatorio, che da lui si aspettano una vittoria) , si fermerà caparbiamente prima del traguardo, senza valicarlo.
Perchè - in definitiva quella non è la sua gara.
Ci piace pensare che, una volta uscito dal riformatorio e riabilitato, il nostro Colin potrà correre le sue gare e tagliare i suoi traguardi, decidendo liberamente di farlo e non perchè ne trae vantaggi e privilegi (ed essendo soggetto, quindi, ad un'implicita ed insidiosa costrizione).
Peccato che, nel piccolo prezioso racconto, resti ancora la confusione fra il long-distance cross-country che è il tipo di corsa in cui è impegnato il narratore protagonista-ribelle rinchiuso nel riformatorio e la maratona della traduzione italiana (La solitudine del maratoneta), che è un’altra cosa.
Ma ovviamente questo è un peccato veniale al confronto (che peraltro si trascina sin dalla prima edizione Einaudi), mentre rimane alto il merito di averci riproposto il racconto, insieme con gli altri della raccolta.
La fama del racconto dipese in parte dalla suggestiva trasposizione cinematografica di Richardson, mentre le quasi sessanta pagine sono il contenitore del flusso ininterrotto dei pensieri del protagonista, mentre corre: una lunga carrellata di introspezione assolutamente credibile e nella quale viene facile identificarsi.
Una storia emblematica che mi piace davvero tanto (da rileggere ogni tanto) e che riesce ad esprimere in metafora una condizione dell’uomo.
Poi, per chi conosce e pratica la corsa, dice delle cose davvero profonde ed attinenti (che molto rispecchiano il tipo di sensibilità, lo stato d’animo ed i pensieri di chi corre).

Basta leggerne alcuni passaggi per rendersene conto.

Una cosa davvero curiosa è il fatto che Alan Sillitoe, così straordinariamente capace di descrivere così minuziosamente i pensieri di un uomo che corre e le sue sensazioni di euforia e libertà, trascorse gran parte della sua vita costretto su una sedia a rotelle.


E' davvero benvenuta questa riedizione del cinquantenario della prima pubblicazione di quest'opera di uno scrittore complessivamente caduto nel dimenticatoio.
Alcuni anni fa misi le mani su di una copia de “La solitudine del Maratoneta” pubblicata da Einaudi come testo scolastico (grazie al mio amico Enzo che me ne fece dono).
Ed è quella che ho avuto sinora. Anche se il racconto ancora prima l’avevo già letto in fotocopia.

Il misterioso essere prigioniero dell'albero: entalbero, maleficio o contrapasso?


Ecco una foto ben strana...
Una quercia nodosa in un bosco antico.
Un volto e delle forme caricaturali si delineano rudemente sbozzati nel corpo di un tronco nodoso: soprattutto, si ha l'impressione di scorgere un naso adunco e la linea di ossa appena sgrossate, nella fiera immobilità del legno vivo, vetusto e contorto.
E subito la fantasia si libera con prepotenza...
Viene facile immaginare di essere in un bosco incantato di fiabe e storie di maghi ed orchi e che quel tronco tenga prigioniero un uomo (un principe, magari...) a causa di una maledizione o di un maleficio. Oppure che, chiuso dentro il tronco, ci stia prigione, uno colpevole in tempi remoti di delitti e abomini inenarrabili.
E se il viandante incidesse la corteccia, forse che dal taglio stillerebbero gocce di sangue rutilante? Come al Divin Poeta capitò di constatare quando, avendo spezzato il ramo secco d'un albero contorto e annerito, dal punto di frattura cominciò a sgorgare del sangue e subito si alzò una voce che gli chiedeva perchè gli stesse facendo del male senza motivo: dopodichè Pier delle Vigne comincia a raccontare la sua storia e del perchè sia lì prigionieri, in forma d'albero?

Però disse 'l maestro: «Se tu tronchi
qualche fraschetta d'una d'este piante,

li pensier c'hai si faran tutti monchi».

Allor porsi la mano un poco avante,
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e 'l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».

Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
(Dante, Inferno, XIII)
Oppure viene da pensare che questo albero possa improvvisamente animarsi e rami e radici ghermirti e catturarti in una bocca che inaspettatamente si aprirebbe per ingoiarti in un sol boccone...
Non parliamo poi degli appassionati di Tolkien che potrebbero ravvisarvi un Entalbero, il rappresentante di uno dei popoli più antichi della terra...
Grazie, Ro, per avermi offerto questa tua foto...
 
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