venerdì 25 luglio 2008

Oggetti che raccontano una storia - II



Un palloncino che s'è liberato dai suoi vincoli
rotola lieve
sospinto dalla brezza
Dove andrà?

Cosa farà?

Si potrebbe costruire la storia del palloncino blu che decise di andare per la sua strada, incontrando magari tanti altri come lui e, in questi casuali incontri, raccontando e ascoltando storie di appassionanti vagabondaggi e avventure di libertà.

E invece...

Guardate chi ha incontrato lungo il suo cammino...
Ma è lui! lo possono riconoscere in tanti: è il pericoloso micione che vive nel mitico Parco del Gigante, sornione e... tanto minaccioso...


Guardate come il micione ha strizzato gli occhi non appena ha adocchiato l'indifeso palloncino azzurro...

Dopo un attimo,
il gattone uscendo dalla sua sfingea (o felina?) immobilità, è balzato, gnaaaaaaaam, e - in un attimo - l'empito di libertà della povera sferica creatura che s'è frantumata, dispersa in tanti brandelli di plastica che nulla più avevano dell'aerea bellezza di prima.

In un altro finale di questa storia (non c'è mai una storia che non abbia un suo finale), il palloncino, invece, è stato preso a calci da un signore che non appena l'ha visto ha
sognato di quando, tanto tempo prima, giocava a calcio: dei tempi belli che, oggi, egli ricorda con qualche nostalgia.


Ma, tra i molti destini possibili, che attendono l'ignaro palloncino c'è anche questo: è arrivato uno che, spezzando quel bel sogno di libertà appena avviato, con fare dispettoso e beffardo lo ha ghermito veloce e lo ha legato assieme ad un altro suo verdognolo congenere , a formare un'allusiva composizione

Quel signore s'è divertito davvero tanto per la sua cinica sfacciataggine, mentre il povero palloncino pudico è arrossito per la vergogna, su fino alla radice dei capelli di cui però la natura non l'ha dotato.
Ma il suo rossore - ahimé - non è stato notato da alcuno, perchè - essendo egli di un bel blu - e nemmeno il più astuto cucù ne avrebbe potuto riconoscere i segni...

E se, invece, vi dicessi

che è arrivato un uomo enorme e dispettoso
che ha afferrato con violenza il povero palloncino
intento nei suoi salti spensierati,
gridando come un forsennato : "E' miiiiiooooooo"?

Dopodichè, avendolo ghermito,
lo ha fatto morire
d'un colpo,
togliendogli dai polmoni
tutta la sua riserva d'aria,

lo ha ripiegato con cura,
se l'è infilato in tasca,
andandosene via
fischiettando,
subito dopo,
come se nulla fosse stato

Forse se lo sarebbe mangiato per cena...
a spezzatino, in umido o in salmì

Un ghiottone e mangione
quell'uomo,
a giudicare dalla sua bella panza prominente,
come se avesse trascorso gran parte della sua vita
ad ingurgitare palloncini interi
per colazione, pranzo e cena

Ma questo non ho potuto chiederglielo
perchè l'avido mangiatore di palloncini
troppo in fretta
se n'é andato
con il suo bottino

E così:
requiem per il povero palloncino
finito nelle grinfie del temibile orco dei palloncini


martedì 22 luglio 2008

Le statue di J. Seward Johnson, a Mondello, pur stimolando la curiosità e divertendo, generano inquietudine

Sull'imbrunire camminavo per le vie di Mondello (la nota località balneare dei Palermitani), quando in lontananza ho scorto la sagoma di un giardiniere chino su di un'aiuola ed intento in un lavoro di rinvaso. Davvero molto strano vedere a Palermo dei giardinieri in attività a questa ora del giorno! Incuriosito e colpito dalla strana immobilità del personaggio, mi sono avvicinato per osservare meglio. Stupito, ho dovuto constatare che si trattava d'una statua, realizzata a grandezza naturale, in cui la resa della plasticità del movimento era accentuata dall'uso dei colori (il blu dei pantaloni, il rosso sgargiante d'un fazzoletto sporgente dalla tasca posteriore) e dall'utilizzo di veri accessori (la paletta per il rinvaso, l'orologio, gli scarponcini da lavoro).




Poco distante (mi trovavo nella rotonda di Valdesi, nei pressi del "Baretto"), due tipi in piedi in vestito elegante e ciascuno con la sua borsa porta-documenti conversavano spigliati tra loro e sembravano in procinto di voler attraversare la strada, non fosse stato per un turista giapponese, che, alquanto molesto, spiava con insistenza nell'orologio da polso di uno dei due per guardare l'ora (o per vedere se fosse vero), spingendo il suo viso quasi a ridosso del braccio di uno dei due uomini. Anche questi due signori ("Frequent flyers", diceva una targa metallica ai loro piedi) erano, in verità, un gruppo statuario, mentre invece il "foresto" era un uomo vero, in carne ossa, ma da lontano - per un attimo - nella luce fioca del tramonto - era sembrato anche lui statua.


Questo tentativo di interazione
del Giapponese con i due e ha provocato un effetto sicuramente straniante, come anche l'improvviso rallentamento degli automobilisti in transito, quasi a voler cedere il passo ai due impeccabili businessmen (solo le scarpe un po' impolverate).
Oppure come quello indotto, poco più in là da un'altro gruppo statuario: due personaggi accomodati su una panchina ed intenti in un'affabile conversazione, mentre seduti accanto a loro o in piedi si notavano alcuni frequentatori del lungomare mondellano. Guardando da lontano, non era dato capire bene chi fosse chi e chi stesse facendo cosa. Chi fosse statua e chi vivente: nell'interazione, si creavano la possibilità di un chiasma, con una probabile crisi d'identità dei viventi e delle statue, e una straniante intercambiabilità dei ruoli tra il vivente e l'inanimato, una sorta di drifting epistemologico.
Si sarebbe portati a pensare che forse,
nel dare forma a statue e gruppi, fosse stato proprio questo l'intento dell'artista: quello di imitare il più possibile - anche nelle scelte cromatiche - la vita. La scultura cosi sembra uscire dalla fredda sala di un'esposizione museale, scendendo anche da quel piedistallo in cui è solitamente collocata e - in metafora - cominciando a camminare tra la gente.
Viceversa, i passanti che si fermano a rimirare, ad osservare, oppure che - scherzosamente (ma anche, a volte, con una perturbante serietà) - tentano di interagire con le statue, come nel caso di quelli che, tra il serio ed il faceto, lanciano il loro obolo nella custodia aperta ai piedi d'un suonatore di violino che s'è fermato proprio davanti alla fontana della Sirenetta, nella piazza di Mondello paese, intrattenendo i passanti con le sue note, sembrano volentieri inglobare nella loro vita la fredda immobilità delle statue.
Queste statue, così precise e realistiche, senza quell'effetto di trascendenza determinato dalla materia di cui in genere sono fatte le sculture (il bronzo, il marmo, la pietra, la creta, il legno) ed ingentilite - anzi, umanizzate - dall'uso di materiali veri (che introducono una diversa e variegata grana alla superficie statuaria) e di oggetti d'uso comune (le calzature, per esempio), sembrano essere statue che tali non vogliono essere e che - prive di vocazione statuaria - vogliono acquistare umanità. facendosi -
per così dire - carne e sangue, secondo un processo opposto a quello messo in atto da uomini e donne in deriva esistenziale che si sforzano con tutte le proprie energie (e denunciando in questo una preoccupante tendenza alla posa catatonica) di assumere (e mantenere per ore) l'immobilità della statua, diventando quindi oggetto inanimato, cosa.
Basti pensare a quelli che - senza tempo - se ne stanno accovacciati a terra con la faccia poggiata al suolo (un cartello scritto a caratteri rozzi davanti a sé nel quale viene richiesto un obolo: "Ho fame. I miei bambini muiono di
fame!") oppure a quei mimi che, impersonando personaggi in costume (per esempio, a New York può capitare di vedere, agli angoli delle strade più frequentate dai turisti oppure a Battery Park dove si transita per raggiungere i traghetti che portano ad Ellis Island e alla Statua, tante Statue della Libertà a grandezza umana), se ne stanno per ore in una catatonica immobilità (senza tremori, battiti di ciglia o respiri più profondi che alterino la fissità che ci si aspetta da una statua), con l'abolizione di qualsiasi variante cromatica nel loro abbigliamento e nelle superfici cutanee esposte (anche loro aspettandosi una mancia per lo spettacolo che offrono ai passanti).
Le statue mondellane, dunque danno l'impressione di voler diventare viventi, forse proprio per il fatto di essere discese dal loro basamento e dalla semoscurità dello spazio museale: ma proprio perchè, in questo loro discendere tra gli uomini che le trasfigura, enunciano un desiderio di vita che - in ultima analisi - è ad esse negato, evocano qualcosa d'inquietante.
La loro collocazione in uno spazio d'interazione naturale contiene in qualche misura un'eccesso di iper-realismo. L'immagine perturbante che esse richiamano alla mente, quando - all'imbrunire - i passanti si ritirano e, assieme a loro, vita ed animazione recedono dalle strade, è quella delle "persone" finte (manichini elaborati e abbigliati di tutto punto) che, negli Stati Uniti - ai tempi dei test nucleari - venivano collocati in cittadine fantasma create all'uopo in luoghi desertici proprio per valutare gli effetti della bomba atomica sulla "vita" in tutte le sue diverse manifestazioni (passanti per strada, donne con passeggino e neonato, una famiglia seduta attorno al desco per cena, spettatori seduto davanti ad uno schermo televisivo buio, un uomo che legge un giornale).
I gruppi statuari wapoati a Mondello (15 in tutto) sono alcune delle opere di J. Seward Johnson Jr., considerato di gran lunga il più famoso scultore contemporaneo negli Stati Uniti, e fanno parte di un'esposizione a cielo aperto che, voluta dall'Amministrazione comunale di Palermo ed inaugurata ai primi di luglio, proseguirà fino al prossimo 15 ottobre: le statue sono esposte - come si diceva - nel lungomare di Mondello, da piazza Valdesi alla piazza del borgo dei pescatori e sono state collocate - apparentemente - senza alcuna di misura di sicurezza e protezione, proprio perchè sono state concepite con la finalità di indurre il fruitore ad un'interazione "attiva" che includa anche, eventualmente, il "toccare con mano".
La mostra en plein air, promossa in Italia dalla Galleria Ca' d'Oro di Roma, è approdata a Palermo dopo avere fatto tappa, fra l’altro, a Montecarlo, Hannover, Gstaad, Berlino, Venezia, Roma, Torino, Milano, Ischia e in costa Smeralda.


Lo scultore J. Seward Johnson nel suo studio

Tra le sculture esposte vi è la tristemente nota scultura “Double-Check”, che è la copia di quella della collezione del World Trade Center, oggi posizionata in Liberty Plaza e divenuta il simbolo della tragedia dell’attacco alle Torri gemelle nel settembre 2001.
Ma si posono citare anche una runner con tanto di walkman alle orecchie ("Shaping up": "mettendosi in forma"), trio di suonatori messicani ("Los Mariaches"), un bagnante atletico con asciugami a righe vivacemente colorati poggiato sulla spalle che risponde ad una chamata al cellulare.
Quando, trovandomi a New York, ho visto per la prima volta questa scultura non sapevo che ne fosse autore di Seward Johnson. Anzi, di lui ignoravo del tutto l'esistenza e l'attività. L'ho imparato adesso, stimolato da questa mostra a cielo aperto.


Double-check in Liberty Plaza a New York

Dalle ricerche che ho effettuato per scrivere queste note risulta che J. Seward Johnson Jr. è lo scultore contemporaneo americano più visto e più amato. E' stata grande l’ammirazione dimostrata da innumerevoli persone di tutte le età che mai hanno imparato il suo nome, ma - andando direttamente al sodo della fruizione delle sue opere - sono stati colpiti e attratti dai suoi lavori che si caratterizzano per il fatto di essere realizzati a dimensione naturale e proprio da questa interattività che, se in superficie diverte e fa sorridere, più in profondità produce un effetto sicuramente perturbante.

Johnson ha fatto scendere a terra la sculture giù da quel piedistallo sul quale venivano collocate in passato, portandola alla luce fuori dall’oscurità in cui erano relegata, per metterla in contatto con il presente, con la gente, con la vita, insomma, e portandole così ad incontrare e catturare l'attenzione dei suoi concittadini.
Per quanto concerne l'esibizione meritevole di queste sculture nella nostra città, nel constatare lietamente che Palermo anche attraverso queste inizative si pone nel solco di altre grandi città europee, tuttavia non si può non riflettere sul fatto che ben altre dovrebbero essere le priorità nella rubrica della nostra amministrazione comunale.
Qualcuno, nel suo blog, al riguardo, ha scritto questo commento:
In una città civile, sarebbe una bella iniziativa, ma scansare le montagnette di “munnizza” o fare gimcana tra i fossi e lo sconquasso dei marciapiedi e poi trovarsi davanti a questi pupi, dà fastidio e fa pensare: “Ma quanti soldi sperperano in questa amministrazione… farebbero meglio a pulire le strade e aggiustare i marciapiedi”.
Il senso civico di moltissimi palermitani che ho visto manutenere da sé le strade (seppure limitatamente al proprio spazio antistante il bar o il ristorante) o addirittura pulire per strada, conferma un mio pensiero: ci sono troppe persone inutili pagate inutilmente in giro per gli Enti di Palermo… Ci metterei loro, come statue, in giro per mondello, almeno avrebbero dato un senso alla loro esistenza su questa Terra.
Non si può che condividere questo punto di vista, senza nulla togliere alla validità del lavoro artistico di J. Seward Johnson.

sabato 19 luglio 2008

I "buoni" samaritani ed il linciaggio morale

La nostra, purtroppo, è una società facile ai linciaggi morali.
L'altro giorno sono andato all'ufficio postale per fare un versamento. Ci sono andato - come faccio sempre - con la mia cagnetta che porto sempre con me, dal momento che cerco di affrontare le diverse incombenze giornaliere muovendomi a piedi, proprio per poter fare passeggiare il più a lungo possibile la Frida.
Come faccio sempre, l'ho lasciata "parcheggiata" fuori: l'ho abituata così sin da piccola e lei se ne sta sempre buona buona ad aspettarmi.
Questa volta, c'era un po' di coda da fare.
Sono uscito di nuovo, per andare a sedermi al bar vicino per lasciare che il turno scorresse (anzi: siamo andati a sederci, perchè Frida - ovviamente - l'ho portata con me - e ci mancava altro!). Quando sono rientrato mancavano solo pochi numeri. Il cane era di nuovo fuori ad aspettarmi.
Attraverso la vetrata, ho notato che una signora giovane, ma non troppo, aveva preso il cane e lo faceva muovere.
Mi sono affacciato all'esterno con fare interrogativo, giusto per capire cosa stesse accadendo.
"Il cane non può stare sotto il sole. Ci penso io a tenerlo all'ombra.".
"Ma... Lei non deve fare il suo turno?"
"No, no, ho un numero ancora alto..."
Un po' perplesso sono rientrato. A pelle, ho subito sentito che la donna era molto ostile nei miei confronti.
Per questo motivo, ho continuato a seguire con la coda dell'occhio ciò che accadeva fuori.
La buona samaritana era alquanto agitata: non cessava di armeggiare con il guinzaglio, come non potendo darsi pace, sin tanto che non è riuscita a trovare un appiglio al quale poterlo assicurare nell'atrio dell'Ufficio (in un posto ombreggiato sì, ma soffocante perchè l'aria lì era assolutamente immobile).
E' entrata per uscire subito dopo: era evidente che fosse agitata da un sacro fuoco di sdegno interiore.
Ha spostato di nuovo il cane, collocandolo in una posizione, a suo giudizio, più soddisfacente.
E' rientrata e s'è messa a parlottare con altri in attesa.
La gente ha cominciato a "murmuriari" e ad esprimere dei commenti ostili. Qualcuno, per esempio, ha detto con petulanza: "I cani sono come bambini non si possono lasciare al sole, abbandonati...!".
La donna per il tutto il tempo non ha cessato di lanciarmi sguardi velenosi, dopo avermi detto con tono supponente e sprezzante: "E' evidente che lei non si occupa del suo cane!", aggiungendo un po' dopo, a mo' di suggello: "E' una crudeltà tenere il cane al sole, mentre noi ce ne stiamo al fresco dell'aria condizionata!".
Nei limiti del possibile, ho cercato di ignorarla. Del resto, il tono assoluto delle sue affermazioni non concedeva alcun diritto di replica.
Ma la situazione s'è fatta davvero pesante.
Per fortuna, è stata una questione di pochi minuti soltanto.
Appena fatto il mio versamento, sono stato ben lieto di uscire dal piccolo "inferno" che si era creato.
La donna, implacabile e decisa a non mollare la presa, s'è messa alle mie spalle, mentre armeggiavo con la porta automatica, sibilando con voce velenosa: "Lei sa che oggi ha rischiato una denuncia!!!".
Questo episodio illustra un meccanismo molto pericoloso che ai nostri tempi s'innesca facilmente, anzi sin troppo facilmente: quello del linciaggio morale di altri individui, sulla base di semplici pregiudizi.
La donna avrebbe avuto indubbiamente ragione se io avessi lasciato il mio cane dentro un'auto con tutti i finestrini chiusi oppure se l'avessi tenuto per ore sotto il picco del sole, legato al guinzaglio e senza acqua da bere. Ma non erano queste le circostanze.
Nella fattispecie, la sosta è stata ragionevolmente breve: il tutto s'è svolto nell'arco di poco più di dieci minuti. Darmi dell'insensibile perchè ho lasciato il cane fuori per strada, sarebbe l'equivalente del dire che sono crudele con lui perchè lo faccio passeggiare sotto gli ardenti raggi del sole (io assieme a lui) o perchè io, sempre assieme a lui, che è tenuto al guinzaglio, me ne sto fermo nella canicola a conversare con qualcuno che ho appena incontrato. Oppure, perchè lo porto con me a passeggiare o a correre: "Si stanca, poverino!!!", avrebbe detto la "buona" samaritana.. E che avrebbe detto costei se l'avessi messa a conoscenza del fatto che Frida aveva partecipato con me ad una 24 ore podistica, percorrendo nell'arco tempo di gara (si badi bene: sempre tirando al guinzaglio, quindi con uni'inesauribile energia), circa 50 km?
Vorrà dire che, la prossima volta che uscirò d'estate a passeggio con il cane, vedrò di attrezzarmi con un ombrellino parasole per proteggere la mia molto amata bestiolina dal colpo di sole e che mi porterò anche un nutrito seguito di flabellanti, in modo da evitare le critiche di fuoco (quelle sì ce uccidono, non certo il Solleone...) della "samaritana" se un fato inclemente dovesse portarmi ad incrociare di nuovo la sua strada ( anche se - a dire il vero - mi auguro di non doverla mai più incontrare in vita mia).
Purtroppo di samaritani di questo tipo, oggi, ne vengono fuori di continuo.
Sono portato a pensare che l'accusa della crudeltà, dell'incuria e della negligenza è privo di fondamento, essendo scaturito - nel caso specifico - dalla necessità della "samaritana" di dispiegare la sua bontà, la sua dirittura morale, il suo orientamento morale verso una causa - a suo modo di vedere "giusta" - ma facendolo con una modalità prevaricante, supponente ed intrisa d'una fondamentale distorsione cognitiva; in definitiva, ponendosi come un'attiva "persecutrice" e come fomentatrice (attraverso il coinvolgimento di altri nella sua "crociata") d'una forma di linciaggio morale nei confronti di un terzo (in questo caso il sottoscritto).
Oggigiorno, tantissime tragedie (scaturite dall'intolleranza e dal pregiudizio) sono generate proprio da questo tipo di atteggiamento che, in piccolo, rappresenta la base degli effetti più nefasti del fanatismo religioso e di ogni forma di fondamentalismo.

Anche nel voler far del bene, del resto, colui che si pone come "buon" samaritano tende a essere succube di categorie "assolute" che non lasciano alcuno spazio al dubbio e all'incertezza, come mostra la breve, fulminante, pièce di Cormac McCarthy (Sunset limited, Einaudi, 2008) che si presenta come ossessivo, claustrofobico, dialogo tra un samaritano, appunto, ed uno che ha appena tentato di lanciarsi sotto un treno della metropolitana (il "Sunset Limited") per farla finita. Il "salvatore" (animato dalla convinzione onnipotente d'essere uno strumento nelle mani di Dio) tenta di convincere l'aspirante suicida a non pensare più all'insano gesto e ad accantonarlo. La sua controparte argomenta, discute, porta le sue motivazioni, i suoi vissuti, con grande lucidità ed insieme con disperazione. Il finale è lasciato aperto: l'aspirante suicida viene rilasciato dal samaritano (che, per "salvarlo", lo aveva letteralmente sequestrato a casa propria, serrando la porta d'ingresso con numerosi catenacci e precludendogli ogni via di fuga). Non si sa se egli ritenterà il gesto: non c'è una risposta rassicurante a questo interrogativo. Forse sì, forse no. In ogni caso, viene sottolineato, qualunque cosa egli vorrà fare, sarà condotto da una forma di autodeterminazione e non certo dalla coazione (quella porta sbarrata dai lucchetti).
Il samaritano, invece, rimarrà da solo, costretto a confrontarsi con il fallimento del suo "assoluto", ma non per questo più disposto ad accettare una dialettica vera nell'approccio alle cose.
Il "buon" samaritano è, in realtà, uno che non tollera dubbi ed incertezze, desiderando un mondo rozzamente sgrezzato a colpi d'accetta per renderlo il più possibile somigliante e "adattato" alle sue categorie cognitivo-emozionali.
Per questo motivo, egli è così proclive a mettere in atto forme, a volte estreme, di coazione salvifica o di linciaggio morale, diventando egli stesso persecutore e aguzzino (ma sentendosi soggettivamente salvato dalla certezza che tutto ciò che fa è "nel nome di Dio").

venerdì 4 luglio 2008

Oggetti che raccontano una storia - I

Certi oggetti "abbandonati" in cui ci si imbatte camminando ci raccontano una storia.
Anzi, molte storie...
Come, ad esempio qesta ruota di bici.
E' ciò che rimane di una bici rubata?


Oppure, visto che è ancora così ben incatenata, ci si può chiedere se non sia stato il proprietario a lasciarla "parcheggiata", mentre lui se n'è andato con il resto della bici, camminando su di una ruota sola.
Ognuno, in fondo, è libero di costruire la storia che preferisce.
Si tratta di oggetti "proiettivi", per così dire...


Ma che dire di questo aggeggio (forse un "dildo" semirigido) abbandonato sul cemento di un marciapiedi?
Questo sì che è un oggetto un po' più inquietante che potrebbe raccontare a chi volesse ascoltarla una storia ben più tosta!!!
Insomma, solo osservando i detriti lasciati sulle strade dal passaggio degli uomini si possono narrare le storie più varie da "ladri di biciclette" all'"equilibrista in bici" all'hard più spinto...

 
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