mercoledì 17 novembre 2010

In Bloody Mary la denuncia delle" nuove" schiavitù: lavoranti extracomunicatori dei campi e del sesso,entrambi trattati con metodi inumani


Bloody Mary (di Marco Vichi, Leonardo Gori, Einaudi 2010) era già stato pubblicato nel 2008 per le Edizioni Ambiente, Collana VerdeNero, una collana che una serie di brevi romanzi "concept" o mini-raccolte di racconti "tematici", tratti da spunti relativi ai crimini ambientali perpretati dalle cosiddette ecomafie. Ognuno dei volumi della collana che oggi vanta già una ventina di titoli, per dare al lettore la posibilità di documentarsi, segue a mo' di postfazione un breve scritto intitolato "I fatti" che fornisce una cornice di decodifica sui fatti reali cui nel romanzo o nei racconti ci si riferisce.
Bloody Mary è un breve romanzo, denso e scorrevole al tempo stesso che tratta di due destini apparentemente separati, di due parabole di vita, una originata (è la storia di Aleya) dal profondo Sud (dal Niger, per l'esattezza) e l'altra (con le vicissitudini di Marek) dalla fredda Europa del Nord (la Polonia di Cracovia): per gran parte della narrazione si tratta di due destini separati e di due storie diverse, ma accomunate da molte affinità che, ad un certo punto, per puro caso si intrecciano.
E l'inatteso convergere ad aprire nei due protagonisti degli orizzonti di speranza, lasciando spazio ad un empito di libertà.
Tuttavia, questa volta i “fatti”, relativi alle attività delle “ecomafie”, (l'interramento dei rifiuti tossici non trattati nei campi destinati alle colture), toccano soltanto tangenzialmente il nucleo più profondo della storia che affronta con durezza il tema delle “nuove schiavitù” e del traffco immondo e bieco di esseri umani all’insegna del profitto.
Il polacco Marek con la sua storia rappresenta in maniera emblematica i nuovi schiavi la cui mano d'opera consente ai big della distribuzione commerciale agro-alimentare di tenere bassi i prezzi al consumo, riuscendo comunque ad avere margini di guadagno importanti. Aleya, invece, bellissima e desiderata, dà voce con il suo racconto al corteo di sventurate che vengono tratte in schiavitù per essere immesse nel mercato del sesso a pagamento, tenute in ostaggio e spogliate scientemente e con metodo di qualsiasi dignità umana.
Il romanzo è davvero ben costruito sino all’inaspettato - e tristissimo - finale in “noir”.
Il "bloody mary" del titolo che si riferisce, ovviamente, al noto cocktail a base di superalcoolici e succo di pomodoro, rimanda quindi, al rosso sangue del pomodoro, la cui raccolta viene effettuata nel SUD d'Italia, avvalendosi di mano d'opera straniera il più della volte costituita da extracomunitari (giunti per vie clandestine) e tenuti in ostaggio dai "caporali" quasi fossero schiavi (e pagati a prezzi da fame, con una serie di tangenti espunte dalla paga giornaliera).
Il poco denaro che riescono a prendere da questo improbo lavoro è al prezzo di sudore e sangue...

Sintesi dalla quarta di copertina
Marek arriva da Cracovia. Educato, bravo figliolo, diploma appeso al muro che vorrebbe prendere a sputi, per quanto è inutile. E partito con il miraggio del lavoro sicuro in Italia: poco importa che sia la raccolta di pomodori, non disdegna certo il lavoro dei campi. Non sospetta lo sfruttamento estremo, la fatica che distrugge, i traffici nauseanti. Aleya invece non ha potuto fare nessuna scelta mentre diventava ragazza in un villaggio nigeriano. Troppo bella per passare inosservata, dunque violentata, rapita e scaricata sulle coste italiane come bestiame da piacere. Dai bordelli di lusso giù fino alla strada. Due giovanissimi, due storie opposte. Il loro incontro innescherà un incendio.

sabato 13 novembre 2010

In "Mano Nera", il balcanico turbo-noir di Custerlina, le vicissitudini della Haggadah, il libro della fratellanza tra fedi ed etnie diverse

Mano Nera (Alberto Custerlina, B.C.Dalai, 2010), per definizione data dallo stesso autore (in un post su "turbo folk - "turbo noir", consultabile nel suo sito web), sua opera seconda, è un "turbo noir", un noir cioè ad ambientazione balcanica e impregnato della concitazione e delle tinte forti e sanguigne proprie del genere musicale balcanico, detto appunto "turbo folk", che rappresenta gli umori popolari e i gusti di quelle genti dai tempi del famigerato Arkan in avanti.

L'intreccio di Mano Nera è semplice: l'omonima organizzazione criminale decide di trafugare la Haggadah, un antico libro custodito in un Museo di Sarajevo e reputato dai popoli balcanici simbolo della tolleranza religiosa e della fratellanza tra etnie di fedi religiose diverse. Lo scopo di tale "rapimento" è quello di far sì che un gruppo religioso si schieri contro l'altro, ritenendolo responsabile del furto, e che si attivino nuovamente le faide e i conflitti etnici con giovamento dei traffici illeciti della stessa organizzazione.
Forze apparentemente avverse lottano per impedire un simile epilogo e per ricondurre il rispettato e venerato Codice nella sua sede naturale a far da garante, con il suo esserci, della pace tra le diverse genti.
La let­tura del romanzo, con la sua nar­ra­zione ser­rata e avvin­cente con per­so­naggi cre­di­bili e trat­teg­giati impres­sio­ni­sti­ca­mente — quasi a unghiate — ma “tri­di­men­sio­nali” e per­fet­ta­mente calati nel con­te­sto, è godibilissima, anche per un lettore colto, visto lo spessore dei riferimenti storici e culturali (basta cercare in internet la voce "Haggadah", per rendersene conto).

La Hag­ga­dah di Sarajevo, il libro rubato dalla Mano Nera e custo­dito nel Museo nazionale della Bosnia-Erzegovina, è impor­tante per­chè è il sim­bolo della tol­le­ranza e, proprio per questo, ha valore per tutti e non deve essere posseduto da nessuno.

E' un libro ebraico di cerimonie, che contiene una collezione di storie bibliche, di preghiere e di salmi che riguardano la Pesach, la festa che celebra la liberazione degli ebrei dall'Egitto. Al mondo esistono tantissime haggadah, più o meno preziose e conosciute. L'Haggadah di Sarajevo è considerata di valore inestimabile, sia per la sua antichità (oltre 600 anni), sia per la bellezza delle sue immagini, per i colori arricchiti con oro e rame, per il fantastico mondo degli animali che vi sono rapprresentati, per gli ornamenti floreali e geometrici, ma anche perchè possiede la particolarità di mostrare immagini di persone, nonostante la religione ebraica lo vieti. Il manoscritto si distingue anche per alcuni concetti insoliti, come ad esempio, quello di immaginare la terra come rotonda. Ciò accadeva duecento anni prima che Giordano Bruno venisse mandato al rogo perché sosteneva una simile, eretica teoria.
Nel corso dei bombardamenti, durante l'assedio di Sarajevo, furono fatti diversi tentativi di devastare il Museo che la custodisce, per distruggerla proprio perchè la continuità della sua esistenza, pe il suo valore simbolico, rappresentava un ostacolo per i fomentatori di discordie.

La storia si dipana con un ritmo incalzante, che non con­sente al lettore di tirare il respiro, quasi da mon­tag­gio cine­ma­to­gra­fico.
Romanzi come que­sto di Custer­lina aiu­tano a capire la sto­ria e realtà che, pur geo­gra­fi­ca­mente vicine a noi, rimangono lon­tane anni luce.
Sono ancora oggi vera­mente pochi quelli che hanno capito cosa sia veramente acca­duto nei Bal­cani e cosa lì stia con­ti­nuando ad acca­dere, nel riac­cen­dersi e nell’evolversi attuale di anti­che osti­lità tra Serbi, Croati, Bosniaci e tra Cri­stiani cat­to­lici, Cri­stiani orto­dossi e Musul­mani, ostilità che - a tratti sedate, come nel momento attuale - rmangono sotterranee e pronte a riaccendersi.
Mano nera, pur sem­pli­fi­cando la com­ples­sità esistente in quei contesti ai fini nar­ra­tivi, getta una luce di com­pren­sione su con­flitti e con­tra­sti ancora vivi.
La nar­ra­tiva di que­sto tipo è straor­di­na­ria per­chè, se ben costruita e docu­men­tata, con­sente di immer­gersi nella sto­ria e venire fuori da que­sto bagno con cono­scenze e idee in più e soprattutto con una forte curiosità a saperne di più. E lo fa meglio di qual­siasi sag­gio.

Alberto Custerlina (Trieste, 6 ottobre 1965) è un insegnante e scrittore italiano. In passato legato al settore dell'informatica, ora affianca la scrittura di romanzi noir alle attività di insegnante e consulente informatico.
È stato finalista 2009 al Premio Camaiore di Letteratura Gialla con il suo romanzo d'esordio Balkan Bang! I suoi romanzi rappresentano un caso particolare nel panorama italiano (lo stesso Custerlina li definisce "Turbo Noir") e sono apprezzati anche per la dettagliata descrizione dei panorami balcanici, di cui l'autore è profondo conoscitore.
Ha un suo sito web personale: http://custerlina.com/

martedì 2 novembre 2010

Nella corsa di lunga lena, traiettorie di vita e destini individuali per pochi attimi si incrociano e poi divergono


Nella nostra vita ci sono traiettorie che s'incrociano e che, a volte, si affiancano per poi divergere.

Correre le maratone e, ancor di più le ultramaratone, espone un po' a questo tipo di esperienza.

Ci si ritrova tutti assieme su di un campo di gara, a volte in poche decine, a volte in centinaia o a migliaia.

Si respira tutti quanti allo stesso ritmo, i cuori battono all'unisono in un'emozionante esperienza di condivisione.

Ognuno, poi, inizia a percorrere la strada data, intento alla conquista del proprio personale traguardo.

Nel corso della via - come del resto accade nei pellegrinaggi - ci si affianca a qualcuno che va al nostro stesso passo e gli si procede accanto per un tempo più o meno lungo.

L'esperienza interiore della condivisione si fa, in questi casi, ancora più forte ed intensa.

A volte si parla, a volte no.

Anche l'esperienza del silenzio è condivisa.

La nostra mente inevitabilmente fantastica sul nostro compagno di via.

Emozioni e curiosità si accendono velocemente e poi svaniscono in dissolvenza.

Poi, il passo di uno prevale su quell'altro, oppure uno dei due viene risucchiato indietro a causa della stanchezza o di un improvviso malessere, mentre l'altro continua ad andare avanti cavalcando la freccia del tempo, al suo ritmo cadenzato come un metronomo.

Quei destini che un attimo prima si erano incrociati, si disincrociano, divergendo.

Forse, con quella particolare persona con la quale si erano pure divisi intensamente dei momenti interminabili e densi (anche senza dover parlare) non ci si incontrerà più per il resto della nostra vita, per quanto si continuino a percorrere senza sosta le vie del mondo.

Eppure, in noi, una traccia - una scintilla - di quell'incontro permarrà a lungo.

Tra i miei cimeli di maratona e di gare cui ho partecipato c'è una foto di grande formato (incorniciata e appesa al muro) scattata all'uscita del Queesborough Bridge (al 25° chilometro della maratona di New York, in occasione di quella che fu la mia seconda esperienza di partecipazione alla maratona della Grande Mela).

Io sono in mezzo a tanti altri e sembra che arranchi di buona lena.

Ci sono accanto a me alcuni anziani, altri più giovani, uomini, donne: siamo tutti intenti in un'esperienza condivisa - compagni di viaggi - tutti con lo sguardo rivolto lontano verso la fine della nostra strada, ma ancora il traguardo è ben lontano ed è meglio non pensarci.

La guardo spesso pensosamente, questa foto, e mi chiedo: Che fine avranno fatto queste persone? Sono ancora vive? Sono morte e se la risposta è sì, come? Quali destini avrà riservato loro la vita?

Tutte domande alle quali non posso purtroppo dare risposte.

Perchè so soltanto di me.

Non di altri.

Il destino ha voluto che in quel particolare momento e in quel luogo noi fossimo lì tutti assieme in un'esperienza condivisa, in un'irripetibile unità di intenti, desideri ed azione.

Ho letto di recente un bel ibro, più che altro un racconto lungo, che parla proprio di questo tipo di esperienza.

Si tratta di Un incontro (del cinese Lin Ychang, per i tipi di Einaudi, 2005) che è la storia di un incontro tra un uomo e una donna, appunto.

Un uomo (Chunyu Bay), ormai anziano, cammina per le vie di Hong Kong, ripercorrendo - mentre si muove lungo quelle strade - le memorie del suo passato, che sente ormai remoto: tanto è cambiato, ma tanti dettagli sono sopravvisssuti all'avanzare della modernità (cosìda indurre in lui un miscuglio di nostalgia e conforto).

Anche una giovane donna (Ya Xing) si ritrova a camminare per le vie della stessa città: lei, invece, è tutta protesa verso il futuro e coltiva una serie di sogni (un po' ingenui, ma pieni di entusiasmo) sul modo in cui si svilupperà la sua vita e sui doni che le sono riservati.

Vivono entrambi nel presente, ma ciascuno dei due segue dei percorsi e ritmi temporali diversi.

Entrambi si trovano ad osservare le stesse cose in maniera speculare (arrivano al punto di incontro ciascuno per vie diverse).

Entrambi si ritrovano per puro caso (il destino?) seduti accanto, gomito a gomito, nel buio di una sala cinematografica.

Ciascuno dei due pensa qualcosa dell'altro, sperimenta curiosità e sente vibrare emozioni.

Poi, alla fine del film, i due si alzano, proseguendo ciascuno per la sua strada.

E' come se i due fossero in movimento lungo due traiettorie diverse che s'incrociano in quell'unico punto.

Eppure, per quanto non sia stata pronunciata nemmeno una parola, l'incontro - per quanto puntiforme - c'è stato e qualcosa si è consumato, con la mediazione dell'esperire comune e condiviso, prima, del camminare per le stesse vie e, poi, dell'osservazione dello scorrere della pellicola cinematografica davanti agli occhi.

Tante volte, questi sono gli incontri della nostra vita.

Incontri muti, eppure densi. Fuggevoli, eppure destinati a durare nel tempo e a radicarsi nel proprio bagaglio di esperienze cruciali.

La storia struggente di un amore non consumato. Il libro, che ha ispirato il film del regista Wong Kar-wai, "In the Mood for Love", segue il percorso di due personaggi nel cuore di Hong Kong. Un uomo e una donna. Un uomo maturo e una donna giovane. Lui, immerso nella memoria, lei, proiettata verso il futuro, sognatrice. Opposti e paralleli, i due percorrono le stesse strade di Hong Kong, incontrano le stesse persone, lo stesso cane nero, la stessa gioielleria, ma tutto ispira loro pensieri e sentimenti rovesciati.

"Visto dall'alto, secondo un procedimento di astrazione progressiva, il diagramma della storia si sviluppa secondo due linee che procedono nel medesimo campo visivo e che arrivano a toccarsi in un punto per poi continuare il proprio tracciato separate" (dalla recensione di Francesco Pettinari su L'Indice).

Il racconto è stato trasposto in film dal regista Wong Kar-wai con l'interpretazione di Maggie Cheung (la donna) e di Tony Leung (l'uomo) con il titolo In the mood for love, con un'interpretazione diversa, eppure al tempo stesso molto aderente: lì, infatti, un incontro fisico, corporale, per quanto fuggente si attiva: ma il senso della storia sotanzialmente non cambia.
Era giorno fatto quando Chunyu Bay si risvegliò e tornò alla realtà. Si stiracchiò, si alzò e andò alla finestra per respirare una boccata d'aria fresca. Il sole del mattino aveva scacciato le tenebre. Fuori dalla finestra c'era un filo per stendere i panni. Un passero arrivò da lontano e si posò sul filo. Dopo un po' un altro passero arrivò da lontano e si posò sul filo. I due si guardarono. Poi spiccarono il volo insieme, uno diretto a est, uno diretto a ovest. (da Un incontro, cap. 42).


La foto, all'inizio, è stata scattata in occasione della 100 km Madrid-Segovia 2010 che ha unito in modo splendida un percorso di pellegrinaggio con la pratica del podismo non competitivo per quanto di lunghissima lena.
 
Creative Commons License
Pensieri sparsi by Maurizio Crispi is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at mauriziocrispi.blogspot.com.