giovedì 28 maggio 2009

In "Antichrist" il cupo pessimismo di Lars Von Trier


L'altra sera ho visto al cinema un film durissimo, opera ultima di Lars Von Trier.
Il titolo è fuorviante perchè fa pensare ad un film horror-demoniaco, tipo "Omen", in realtà è ben altro, ma pesante da digerire come un macigno, retto esclusivamente dalla recitazione di due bravissimi Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg in un contesto che pur nello spazio arioso di Eden (un piccolo cottage in cui si ritirano ad elaborare il dolore sperduto tra i colli boscosi di un entroterra scandinavo) si fa sempre più cupo, inospitale e claustrofobico.
A volte, sinceramente, è meglio un bel film di genere action, un film che non dà pensieri.
Non sempre la visione di un film d'arte è agevole e piana e assomiglia piuttosto all'assunzione di un'amarissima medicina.
In sala cinematografica eravamo in sette, dico sette! (tre coppie più il sottoscritto). Avrei dovuto andarci assieme con mio figlio, il giorno prima: io, ingenuamente, avevo pensato (solo ed esclusivamente basandomi sul titolo) che si trattasse di un comune film horror (non mi ero documentato in anticipo, perchè non lo faccio mai, in quanto il più delle volte voglio vedere un film senza l'appesantimento di griglie cognitivo-interpretative imposte da qualcun altro).
Poi, non era stato più possibile andarci assieme.
Meglio così!
Francesco si sarebbe annoiato da morire (o inquietato, a seconda dei momenti) o, in altri, non avrebbe semplicemente compreso, non avendo gli strumenti cognitivi per coglierne alcuni aspetti.
E forse l'intero film avrebbe avuto un impatto troppo duro su di lui.
Apparentemente è la storia di una coppia che perde il figlio (per disattenzione: i due genitori stanno facendo l'amore e non si accorgono che il loro bimbo ha aperto la finestra attratto dai fiocchi di neve che cadono copiosi e che cerca di raggiungerli tuffandosi nel vuoto) e del successivo percorso di uscita dalla depressione (la ricerca della redenzione che passi attraverso una sorta di espiazione).
Ma la facile chiave di lettura iniziale si perde in una complessità di temi.
Il tema iniziale dell'elaborazione del lutto e la depressione non è che l'ossatura razionale del plot narrativo ed il primun movens patogenetico d'un dialogo sempre più serrato e feroce tra i due e delle vicissitudini relazionali "estreme" che si vanno sviluppando, mentre si dipana un piccolo mistero, su cui non è possibile qui dare alcuna anticipazione per non rovinare il piacere della visione a chi volesse vedere il film.
Al di là di questo c'è molto di più: secondo me, domina la rappresentazione vivida della lotta eterna tra il mondo emozionale (femminile) e quello più freddamente cerebrale dell'uomo che vorrebbe ricondurre le manifestazioni emozionali ingovernabili nel solco della razionalità e nel dominio della logica.
Le espressioni emozionali che traggono energia direttamente dalla terra nutrice e severa maestra e che ad essa si riconettono con fenomeni telecinetici potenti ed inquietanti hanno a che fare con importi di energia che scorrono tra i due della diade Terra/Gea-donna sino alla liberazione dionisiaca e distruttiva.
C'è anche molta e profonda misoginia: una sorta di guerra tra i sessi portata sino alle estreme e pù brutali conseguenze per l'incapacità di comprendere e di contenere, dove un contenitore semplicemente logico-razionale fallisce.
Anche: una rivisitazione moderna dell'ossessione antica delle streghe (e prima ancora delle Baccanti, come espressione del furore panico).
Lars Von Trier nello sviluppare la sua visione cupa e pessimista (qui espressa come non mai prima) non ci concede nessuno sconto: la lotta si fa sempre più violenta e all'ultimo sangue, sino all'amara conclusione finale e alla perdita definitiva del velo di Maya sulla possibilità dell'amore tra uomo e donna e sulla speranza di redenzione dal senso di colpa per ciò che intollerabilmente è sentito come un figlicidio.
Il film, suddiviso in una sequenza di capitoli tematici che fanno da stacco tra un momento narrativo e quello successivo come se si trattasse di un vero proprio romanzo, e scandito da una colonna sonora affascinante, è dedicato al grande cineasta russo Andrej Tarkovskij.


Ed ecco il trailer del film

mercoledì 27 maggio 2009

Together through life: il quasi-settantenne Dylan non manca mai di sorprenderci


E' passato poco meno di un anno dalla tournée europea di Bob Dylan (che ha visto ben due concerti italiani).
Bob Dylan, al secolo Robert Allen Zimmermann, il "menestrello d'America" percorre ancora la sua strada attraverso la vita.
Ora esce il suo ultimo album (il 57° o 58° della sua prolifica ed inarrestabile carriera). E' un album con un'impronta decisamente blues e con un Dylan, ormai ultrasessantenne con una voce sempre più rasposa ed arrochita. E' stata un'autentica sorpresa per me ascoltarlo. E' anche vero che un vero cultore di Dylan non si lascia sfuggire nemmeno uno dei suoi nuovi album in uscita... Ognuno, nel bene e nel male, è da ascoltare e da valutare.
Cosa dire di quest'ultimo album?

Il primo ascolto l'ho fatto in auto: e, forse, modo di ascolto non avrebbe potuto essere più azzeccato.
Album dal bellissimo titolo "Together through life"!
Ma anche la copertina è meravigliosa, perchè fonde assieme il tema della musica nel suo farsi con le maliconiche sospensioni, i vuoti e i silenzi senza i quali non ci potrebbe essere l'espressione musicale stessa (la foto sul retro), la strada (come rappresentazione della vita che scorre e come mito dell'immaginario collettivo d'America e nostro) e l'essere assieme intimamente uniti
(in una sorta di sospensione magica rispetto al continuo movimento della strada/vita con i suoi scorci continuamente cangianti).

Questi due dei pezzi che ho preferito

Bob Dylan - Life Is Hard

Bob Dylan 2009 - Forgetful heart (Together through life)
.




domenica 24 maggio 2009

L'occasione mancata di Melanie Abrams


L'opera prima (Einaudi, 2008) di Melanie Abrams (tra l'altro, moglie dello scrittore indiano Vikram Chandra), pur presentata in modo accattivante, lascia un po' delusi, alla fine.
La narrazione, infatti, rimane come sospesa e si disperde nel conflitto tra rappresentazione erotica e psicologia.

La sottomissione sessuale di Josie, la giovane studentessa di antropologia, protagonista della vicenda, verso il suo amante Devesh non è raccontata nei dettagli e con cattiveria, come ci si aspetterebbe in un romanzo erotico di buon livello.
E' maggiore lo spessore dell'implicito, di quanto non sia la parte esplicitata., come se da parte della scrittrice ci fosse il bisogno di mantenersi su di un livello espressivo "politicamente corretto" e su di un piano di psicologismo "patogenetico" (in base all'assioa che i comportamenti del presente si piegano a partire dai traumi subiti - o, genericamente, patiti - nell'infanzia.
Il tentativo di dare spessore psicologico al "fascino discreto" della sottomissione masochistica e del desiderio di essere punita vibrante in Josie, la giovane studentessa in antropologia protagonista della storia, unitamente all'intenso piacere che ciò le provoca, sembrerebbe essere piuttosto una diversione rispetto al tema principale e un tentativo di "edulcorare" gli aspetti erotici polimorfo-perversi rappresentati, rendendoli più accettabili.

Insomma, un libro scritto bene, ma senza troppo smalto: di storie con epicrisi finale e relativo tentativo di trovare il "trauma" originario, magari con la facilitazione catalizzatrice di un nuovo trauma più recente (come è ad esempio un'improvvisa perdita), ne possiamo leggere sin troppe.
La psicologia vela ciò che dovrebbe essere il nerbo della storia e induce il lettore a mettere da parte la rappresentazione erotica (che in verità ha ben poco di erotico e non stimola per niente la fantasia), mentre il focus del testo perde così mordente, anche con l'appesantimento della ricerca (scontata) di una catarsi finale (o di una serena accettazione dello stato delle cose, delle scelte e dei gusti di Josie).
Credo che la stessa storia sarebbe stata raccontata molto meglio in fumetto dal grande cartoonist dell'eros (e non solo) Milo Manara, con quelle elaborazioni grafiche che tanto piacevano a Fellini.

Non a caso mi viene in mente da Milo Manara, poichè nel suo repertorio c'è appunto una storia a fumetti (prima ancora divulgata nella forma di breve romanzo, corredato con le illustrazioni in bianco e nero di Art Spiegelman), pubblicata con un titolo molto simile, anzi proprio eguale.
Un caso di "omonimia onomastica", si potrebbe dire... Ma non c'è da sorprendersi visto che la parola "gioco" entra nel titolo di oltre 1200 libri...

Questa la presentazione del volume nella quarta di copertina:
Josie è una studentessa di antropologia che ha un legame un po' magico con lo strano bimbo, forse autistico, cui fa da baby-sitter. Una sera, a cena, conosce Devesh, un chirurgo di origini indiane, un uomo enigmatico, seduttivo, molto più grande di lei. L'incontro scatena per tutti e due un'esplosione di sensi e desideri, preludio a una storia d'amore cruda, ma anche densa di sentimento. Josie si abbandona con una strana gratitudine a un mondo di giochi di sottomissione e dominazione, come se in quel momento si sentisse finalmente appagata e i suoi desideri più segreti si realizzassero. E sarà solo facendo ritorno a casa e ripercorrendo ricordi sepolti da anni che riuscirà a intuire cosa, in un lontano passato, abbia potuto scatenare un simile bisogno di punizioni. E per quale motivo anche il lavoro di baby-sitter fosse un richiamo tanto acuto.

Fragola e foglie secche


Un fragolone, caduto (abbandonato?) tra le foglie secche di eucalipto, resiste miracolosamente non calpestato: quel rosso cupo sullo sfondo grigio-nero dell'asfalto mi ha entusiasmato, anche perchè mi ha fatto venire in mente la famosa fragola della storiella zen...

sabato 23 maggio 2009

Un celebre caso di omonimia...


Signori, amici, parenti!
Vi presento il mio omonimo: un Bulldog inglese che, nel momento in cui l'ho fotografato, soffriva parecchio il caldo.

Non perchè porti il mio nome (o sono io che porto il suo? Questo sarebbe tutto da vedere...), ma Maurizio è davvero un simpaticone.
Un autentico caso di "omonimia nell'onomastica" , cioè quel fenomeno che si verifica "nel momento in cui più oggetti, persone, animali o località presentano lo stesso nome identificativo, sicché non possono essere distinti sulla base di questo".
Spero comunque che, in questo caso, ci siano sufficienti differenze fenotipiche per evitare confusioni su chi è chi...
Dazzled and confused...


venerdì 22 maggio 2009

Il tramonto dopo un tripudio di schegge d'azzurro


E' proprio un magico tramonto dopo un giorno di grande caldo.
La baia di Mondello sembra un grande lago tranquillo e il cielo si riflette sulla sua superficie immota.

Le ombre si allungano e il cielo si fa viola.
La grande massa di Monte Pellegrino sembra un'isola, come del resto fu in epoche ancestrali: una roccia silicea emersa dal mare.
I primi lampioni si accendono.
Prima, durante il giorno, il cielo era stato così intensamente blu che ti faceva male starlo a fissare troppo a lungo.

Potevi esser certo che, se l'avessi fatto per troppo, schegge di azzurro ti sarebbero entrate nel cuore, lacerandolo.
La tranquillità della sera, la stasi, l'introversione tranquilla sono il necessario contraltare ad un simile tripudio.

Ma sono anche l'apertura all'attesa del giorno nuovo che tornerà con la sua drammatica energia.

E sintantochè il sole tornerà a sorgere ancora, coltiveremo la speranza nei nostri cuori.


lunedì 18 maggio 2009

Cuori di carta, cuori scritti


Ieri, camminando nel parco di prima mattina, ho trovato per terra un cuore perfettamente ritagliato da un foglio di carta velina rosa tenue.
Era quasi invisibile,essendo adagiato su di uno sfondo giallo tenue e illuminato - com'era - dalla luce radente del sole appena levato.
Mi è sembrato bellissimo e di buon auspicio.
L'ho raccolto con delicatezza da terra e l'ho portato con me, per incollarlo nella pagina corrispondente della mia ag
enda.
Tutto ciò che
è trovato, deve essere raccolto.
In questo assioma credo fermamente.
Specie quelle cose che rappresentano un buon augurio.
Magari, in un'altra circostanza, racconterò della mia preziosa "urna dei reperti".


Il bel cuore rosa mi ha fatto venire in mente un piccolo libricino di Alessandro Serra, "Ti disegno un cuore" (Einaudi ragazzi, 2007) in cui l'autore esplora l'incrocio tra i due aspetti del cuore, quello del simbolo e quello della sua forma grafica immediata, costruendo intorno a essi un album di metafore illustrate.
Cuori nascosti dovunque si rivelano nelle sue pagine, con i disegni realizzati dallo stesso autore.





lunedì 11 maggio 2009

I segni nei muri e il bisogno di condividere storie


Le scritte murali hanno un che di evocativo. Sono frammenti di un discorso che non è conosciuto a chi legge la scritta. Eppure sono un modo per enunciare qualcosa, per condividere un pensiero, per trasmettere la traccia di una storia.
In questo caso, "AVEVA RAGIONE" suscita delle curiosità.

Chi aveva ragione?
Perchè aveva ragione?
Qual'è la storia che si nasconde dietro questa statuizione?
Perchè chi ha scritto ha voluto trasmetterci questo pezzo di storia?

Se ci fosse stato scritto "Avevi Ragione", ci sarebbe stata una maggiore chiarezza.
Si sarebbe trattato di un messaggio che veniva lanciato da un emittente ad un unico ricevente, con l'effetto secondario della condivisione del messaggio con altri.

Un discorso a due, insomma, per quanto pubblico.
Qui invece, l'uso della terza persona implica la volontà di introdurre nella faccenda un terzo (o una molteplicità) che funga da ricevente (oppure da testimone) della dichiarazione di una resa (?), dell'accettazione di un punto di vista a lungo rifiutato (?), di una pacata ammissione (?).

Non possiamo saperlo: quel che è certo è che, trovandosi a passare davanti a quel muro, chiunque potrebbe sentirsi coinvolto.
E siccome il segno grafico apre soltanto una piccola finestra su un discorso più vasto che rimane invisibile ed indecifrabile, a noi rimane soltanto la possibilità di fare congetture o di costruire una storia (da quella più verosimile a quella più fantastica).

Del resto, porsi degli interrogativi, costruire storie sono due caratteristiche ineliminabili della nostra struttura mentale e della natura umana.

venerdì 1 maggio 2009

A Padova, Francesca Porcellato veloce come il vento



Francesca Porcellato (per "Insieme New Foods Verona") ha vinto il primo posto nel podio femminile disabili in carrozzina alla Maratona di Padova 2009, in 1h42'09.
I paraplegici in carrozzina sono deglii autentici campioni e corrono la distanza di maratona a velocità incredibili.
Quando sono in dirittura d'arrivo è bellissimo vederli procedere e dare con massima energia le ultime spinte nel rush finale, a volte battagliando sul filo dei secondi con l'avversario più prossimo.
Con le loro carrizzine superleggere, con gli arti inferiori bloccati in capsule tecnologiche e con il movimento di braccia, spalle e busto, innaturale e potente insieme, sembrano quasi dei marziani, ma ispirano il senso d'una grande disciplina e di una fortissima dedizione alla disciplina sportiva che hanno scelto.
La maratona di Padova ha avuto l'abilità di far crescere anche la gara riservata a tutte le categorie dei disabili (non vedenti, disabili su cicloni o handybike, carrozzine), sino ad essere considerata - per le caratteristiche di percorso che possiede - una maratona dove in particari i disabili su cicloni o carrozzine vengono per testarsi e per tentare il proprio record personale o quello sulla distanza della maratona.
A Padova, ero presente in zona arrivi nella tribunetta riservata ai fotografi e di questi gladiatori dello sport ne ho visti arrivare almeno un centinaio: uno spettacolo davvero entusiasmante!!!


Nelle foto, Francesca Porcellato, vincitrice della Maratona di Padova 2009, nel suo rush finale.
 
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