venerdì 30 aprile 2010

I sogni scolpiti di Giò Bert


Chi percorre la strada da Castelbolognese a Riolo Terme, trovandosi a circa metà della distanza, vedrà sulla sinistra una palazzina ad un piano, in cui al livello della strada si aprono le vetrine di un bar dove servono anche panini imbottiti.
Si noterà, con una certa sorpresa, che - addossata alla facciata dell'edificio - c'è una gigantesca statua di legno scolpito ad arte.
La statua è davvero enorme - per quanto slanciata e non "pesante", perchè arriva con la testa quasi all'architrave della finestra primo piano - e raffigura un uomo che regge una bel fiasco di vino in mano e che, dal modo, in cui tiene posizionate le gambe e i piedi, quasi ad allargare la base d'appoggio per mantenere l'equilibrio, parrebbe un po' alticcio e, di sicuro, allegro di quell'allegria da osteria che induce alle risate grasse e agli scherzi un po' pesanti.
Sembra che sia stato colto nell'attimo in cui vuole avvicinare, con un movimento reso incerto dall'alcool già ingerito, la fiasca alle labbra per bere un ulteriore, generoso, sorso.
Ci sono passato tante volte, senza chiedere, ma sempre ammirando la grande statua.

Ma, a quest'ultimo passaggio, sono entrato nel bar.
Innanzitutto, mi premeva sapere come fosse stata realizzata la statua: pensavo che per fare una base d'appoggio così ampia, disegnata dalle gambe divaricate, sarebbe stato necessario un tronco davvero immenso, oppure l'assemblaggio di pezzi diversi.
Ma non c'erano segni di giunzione visibili.
Ho chiesto e mi hanno risposto che la statua è stata scolpita da un pezzo unico di tronco di castagno che però l'artista ha lavorato, capovolgendolo: gli arti inferiori divaricati erano, infatti, due grosse diramazioni del tronco.
Ho pensato: è proprio dell'artista vedere le cose prima di mettersi all'opera. Io guardando il tronco dal vivo, non avrei mai potuto pensare che rami svettanti verso il cielo, potessero diventare le gambe di una stua antropomorfa...
Mi hanno detto, con un punta d'orgoglio, che l'artista vive proprio alle spalle dell'edificio e che, oltre ad abitarci, lì ha anche il suo laboratorio.
Ma chi è l'artista?
Si tratta di Giò Bert (nome d'arte di Giovanni Bertozzi) che, nato a Brisighella (Ravenna) nel 1924, vive e lavora a Riolo Terme dal 1930.
Bert ha mostrato una grande propensione verso le arti figurative sin da bambino quando, ancora per gioco, si ritrovava a modellare creta, sabbia e neve e ad eseguire disegni con gesso e carbone.
Avendo suscitato sin dalla più giovane età dell'ammirazione di molti, venne chiamato a lavorare da apprendista presso la bottega dei fratelli Girotti, ebanisti ed intagliatori ravennati, dove rimase sino al 1935.
Dopo la parentesi della guerra, in cui fu militare e partigiano, Bert diede vita ad una bottega di mobili d'arte: un'attività che chiuse nel 1970 per dedicarsi a tempo pieno alla scultura, per lui un'autentica passione, realizzando in tempi più recenti anche fusioni di metallo su legno scolpito.
Alcuni hanno detto che le sue sculture sono "sogni realizzati" e, da questo punto di vista, egli ha al suo attivo quarant'anni di straordinari sogni scolpiti e numerose mostre.

giovedì 22 aprile 2010

Il dono di uno sguardo


Il cinema è chiuso per riposo

Un caldo non comune,

soffocante,

annuncia giorni di scirocco

Ho dimenticato le chiavi di casa


Prigioniero
fuori dal mio luogo sicuro,
per necessità,
devo improvvisarmi
vagabondo

Un giorno eguale
volge al termine

Tempo perso
o, forse, guadagnato...

La mia cagnetta
mi guata
con quell'intensità speciale
di cui solo i cani sono capaci,

ogni tanto emette
un buffo guaito

In modo
semplice ed istintivo
mi parla


Con il dono dello sguardo

mi ricorda che non sono solo

Ma il mondo attorno a me
è troppo vasto

L'ancoraggio di quello sguardo
è tenue

Eppure,
c'è

e ti salva
dalla deriva

mercoledì 21 aprile 2010

Scontro tra titani: la mitologia greca in salsa americana


Il film di Leterrier è un libero rafacimento con l'aggiunte di alcune delle attrattive del 3-D, di un film del 1981, realizzato dal regista Desmond Davis con l'ausilio di un cast di attori eccezionali (tra i quali si annoveravano Alec Guinness e Ursula Andress). Il film del 1981 si intitolava "Scontro di Titani".
L'uno e l'altro sono centrati su di una libera interpretazione della mitologia greca e il remake recente presenta delle lievi differenze rispetto al primo.
Se uno spettatore che abbia anche soltanto un'infarinatura della mitologia greca, spera di trovare in questi due film una narrazione corrispondente a ciò che già conosce, si sbaglia di grosso.
Diciamo pure che la mitologia greca è soltanto un pretesto narrativo per offrire un pout-pourri di elementi delle narrazioni mitiche, infilati a casaccio e senza alcun rispetto dei testi originari, e shakerati sapientemente con l'aggiunta di elementi eterologhi provenienti da narrazioni mitologiche proprie di altre culture (quali ad esempio il "kraken").
Questa è la storia originaria (quella presentata nel film del 1981), tutta incentrata sulle battaglie che il semidio Perseo deve intraprendere contro mostri mitologici per salvare la bella principessa Andromeda da morte certa. Dapprima la libera dalla crudele influenza del suo antico promesso sposo (Calibos, figlio della dea marina Teti) tramutato da Zeus in un abominevole mostro in quanto responsabile della morte di quasi tutti i suoi stalloni alati, poi, quando Andromeda deve essere sacrificata a un crudele mostro marino chiamato Kraken per volere della dea Teti che è madre del Kraken, si reca da tre indovine cieche (le Graie, chiamate nel film "streghe dello Stige") per scoprire come sconfiggere il titanico nemico.
Le strege dello Stige gli rivelano che solo il potere pietrificante della testa di Medusa potrà uccidere il mostro e quindi, giunto con la barca di Caronte (che non fa parte della mitologia greca) nell'isola dei Morti, Perseo uccide Medusa e, dopo molte peripezie, può salvare l'amata Andromeda pietrificando il Kraken con lo sguardo della testa della Gorgone (mentre, nella mitologia, l'eroe uccideva il mostro che insidiava Andromeda a fil di spada).

Il film attuale presenta delle lievi differenze.
La storia prende le mosse dal salvataggio del piccolo Perseo dal mare e della sua adozione da parte di una famiglia di pescatori in un mondo in cui gli uomini stoltamente si arrogano il diritto di essere "dei di se stessi", non mostrando alcun rispetto degli dei in un crescendo di iconosclastia aggressiva che porta - al suo culmine - all'abbattimento di una gigantesca statua di Zeus, collocata su di una rupe all'ingresso del porto di Argo.
A causa di quest'evento si scatena l'ira di Zeus (Liam Neeson) che, consigliato da Ade (Ralph Fiennes) che - come nel cartoon della Walt Disney (Heracles) - persegue le sue perfide trame di dominio sul mondo e di prevaricazione su divino fratello, si lascia convincere a liberare il temibile Kraken per distruggere Argo con tutti i suoi abitanti, a meno che la bella Andromeda non venga offerta in sacrificio al possente mostro marino.
Solo Perseo potrà salvare Argo e contemporaneamente Andromeda che si è innamorata di lui, per quanto rifiutata.

Mentre nel film precedente, Perseo se ne partiva da solo in una spedizione che gli avrebbe consentito di apprendere cosa fare per sconfiggere il Kraken, con l'ausilio di una civetta meccanica che gli era stata inviata da Athena perchè lo protegesse, qui invece si forma una vera e propria compagnia di guerrieri (che fa l'occhiolino alla Compagnia dell'anello di Tolkien), mentre la civetta meccanica merita soltanto un'ironica citazione, che è questa.
Mentre i guerrieri scelgono gli armamenti da portarsi appresso, uno tira fuori il robo-civetta e il capo della spedizione dice, stizzito
:"No, questa lasciamola stare! Non ci serve!".
Il viaggio si svolge con una sequenza un po' diverse, mentre la compagnia di guerrieri viene a poco a poco decimata, attraverso il cimento con una serie di prove successive tra cui quella con una frotta di giganteschi scorpioni scaturiti dalla mano recisa e dal sangue di Acrisio che ha ricevuto da Ade dei poteri sovrannaturali e che ha dei motivi più che validi per volere la morte di Perseo.

Si susseguono in una sarabanda, sino allo scontato finale, molti effetti speciali, molte battaglie, grida, schiamazzi, clangore di spade e mani mozzate, ma senza guizzi e senza causare alcun autentico spavento nello spettatore: tanto, si sa già come la storia andrà a finire.
Belle le sequenze di volo sul cavallo alato Pegaso che interviene a salvare Perseo quando sembra che tutto sia perduto: uno dei tanti "little helper" che
dall'alto dell'Olimpo gli manda il padre che, benchè sia determinato a punire gli uomini per la loro empietà, è altrettanto deciso a tutelare l'incolumità del figliolo (tra questi "aiutini", anche la bella semidea Io.
La sede degli dei sul monte Olimpo è rappresentata come un fantascientifico palazzo, una struttura metallica fatta di guglie e pinnacoli che evocano la foggia di un'astronave proveniente dallo spazio.
Ade, che nell'ombra ordisce trame, pare spuntato fuori da un film di vampiri.
A differenza che nel film del 1981, gli altri dei scompaiono quasi del tutto e la loro interazione si riduce riduttivamente al confronto ostile tra Zeus e Ade.

Insomma, sia il primo film, sia questo suo remake presentano la mitologia greca in salsa americana: un frullato di storie e di personaggi presentati con un impasto di grida, di schiamazzi e di effetti speciali.
Un film, a metà tra il genere peplum e il fantasy, buono per l'intrattenimento spensierato, anche se non mancano le lungaggini e i tempi morti.

Il Kraken

Il kraken è un mostro marino leggendario dalle dimensioni abnormi; il suo mito ha origini molto antiche, ma si è sviluppato soprattutto fra il Settecento e l'Ottocento, forse anche sulla base dei resoconti di reali avvistamenti di calamari giganti. Viene generalmente rappresentato come una gigantesca piovra, con tentacoli abbastanza grandi da avvolgere un'intera nave. In norvegese, krake indica un animale malsano o aberrante (in analogia alle forme inglesi crank e crook). In tedesco, Krake significa piovra.
Sebbene il nome kraken non appaia mai nei testi della mitologia norrena, le sue caratteristiche possono ricondursi a quelle dell'hafgufa, descritto nella Saga di Örvar-Odds e nel Konungs skuggsjá (1250). In questi testi si parla dell'hafgufa come di un mostro marino talmente grande da poter essere scambiato per un'isola quando si trovava in superficie. Questo tema (il mostro che sembra un'isola) è uno degli elementi ricorrenti principali nella tradizione sul Kraken, che si sviluppò principalmente nel Settecento.
Questo tema ha avuto anche sviluppi diversi, e in particolare accomuna il Kraken con lo Zaratan,
la balena-isola del mito di San Brendano di Clonfert. Alcuni elementi della tradizione relativa al Kraken (le bolle e gli spruzzi d'acqua dalle sue narici, le forti correnti e le violente onde provocate dai suoi spostamenti, il suo emergere come un'isola) fanno supporre ad alcuni studiosi che la versione originale del mito norreno possa essere correlata all'attività vulcanica sottomarina in Islanda.

Nella prima opera di Carl von Linné, Systema Naturae (1735), il Kraken compare fra i cefalopodi, con il nome scientifico Microcosmus (in seguito, Linné rinunciò a menzionare questa ipotetica specie). Il riferimento settecentesco principale sul Kraken è la Storia naturale della Norvegia (1752) del danese Erik Pontoppidan, vescovo di Bergen. Pontoppidan riprende il tema del mostro-isola, sostenendo che alcune isole rappresentate erroneamente sulle mappe fossero in effetti da ricondursi ad avvistamenti del Kraken in emersione. Nella descrizione di Pontoppidan, il principale elemento di pericolosità del Kraken erano le sue stesse dimensioni, e le forti onde e i potenti gorghi che causava emergendo o inabissandosi. Il Kraken non viene quindi descritto come ostile, sebbene Pontoppidan precisò che, volendo, il Kraken avrebbe potuto afferrare e trascinare negli abissi anche la più grande nave da guerra. Sempre Pondoppidan sostiene che un giovane esemplare di Kraken, morto, fosse stato spinto dalle onde sulla spiagga presso Alstahaug. Il Kraken di Pontoppidan appare come "pesce-granchio" nell'opera dello svedese Jacob Wallenberg Min son på galejan ("Mio figlio sulla galera", 1781):
« Il Kraken, anche detto pesce-granchio, che non è (a quanto dicono i piloti norvegesi) così grande, non è più grande della larghezza della nostra Öland [ovvero meno di 16 km] ... Se ne sta sul fondo del mare, sempre circondato da molti piccoli pesci che gli servono come cibo e ricevono cibo da esso; perché il suo pasto, se ricordo bene ciò che scrive Pontoppidan, dura non meno di tre mesi, e altri tre servono per la digestione. In seguito, i suoi escrementi nutrono un esercito di pesci più piccoli, e per questo motivo i pescatori gettano i piombi dove esso giace ... Gradualmente, il Kraken sale alla superficie, e quando si trova a dodici o dieci braccia è bene che le barche si allontanino, perché di lì a poco esso emerge come un'isola, spruzzando acqua dalle sue terribili narici e creando anelli di onde attorno a sé, fino a distanze di molte miglia. Si può forse dubitare che questo sia proprio il Leviatano del Libro di Giobbe?»


L'idea che i pescatori si arrischiassero a pescare sopra il Kraken è menzionata da Pontoppidan; pare che i pescatori norvegesi, per complimentarsi per una pesca particolarmente abbondante, fossero soliti dire: "devi aver pescato sul Kraken".

Nel tardo Settecento iniziò a svilupparsi il mito del Kraken come creatura aggressiva. Alcune varianti del mito prevedevano che il Kraken affondasse le navi degli uomini corrotti (per esempio dei pirati), risparmiando quelle dei giusti. Sempre in questo periodo l'immagine del Kraken venne a coincidere in modo sempre più netto con quella di una piovra gigante, perdendo altre caratterizzazioni menzionate da alcune fonti più antiche (come la forma di granchio o certi altri elementi che potevano accomunare il Kraken alle balene).
Secondo alcuni studiosi, questa evoluzione del mito potrebbe essere legata agli avvistamenti di reali calamari giganti. Nel 1802, il malacologo francese Pierre Denys de Montfort incluse la descrizione di due specie di piovre giganti nel suo trattato enciclopedico sui molluschi, Histoire Naturelle Générale et Particulière des
Mollusques. La prima specie, per cui Montfort riprese il nome "kraken", era quella descritta dai marinai norvegesi (e, secondo Montfort, anche da Plinio il Vecchio). La seconda specie aveva dimensioni ancora più impressionanti; un esemplare aveva causato il naufragio di un vascello al largo dell'Angola. Montfort sostenne anche che le dieci navi da guerra inglesi scomparse nel 1782 fossero state affondate da piovre giganti. La sua tesi fu in seguito smentita, e la sua opera perse notevolmente di credibilità agli occhi dei suoi contemporanei.

La prima immagine è la riproduzione di un disegno di Pierre Denys de Montfort, dalle descrizioni di marinai francesi che sostenevano di essere stati aggrediti da questa creatura al largo dell'Angola (1801), mentre la seconda, pure una rappresentazione artistica, mostra l'enormità del kraken, in rapporto alla nave che lo sovrasta e che nel confronto appare delle dimensioni di un fuscello.



lunedì 19 aprile 2010

Il bel sogno dei gatti sornioni


Ha piovuto tutto il giorno,
ieri

E' un inverno, questo,
che non molla la sua presa

Ed ora c'è anche la nube
di ceneri e polveri sottili
che viaggia sulle nostre teste
arrivando dalla lontana Islanda

Forse è questa nube
a portarci freddo, vento e pioggia
o il kraken
che nelle profondità dell'oceano
si dimena

E poi,
quando sembrava
che avesse smesso,
pulviscolo d'acqua, dovunque
e ci si bagnava
senza nemmeno accorgersene,
quella che, qui dai noi,
chiamano pioggia azzuppaviddanu

Ho camminato nel parco deserto,
niente cani e padroni,
solo qualche ombra furtiva ed indistinta
nel generale grigiore.

Aria immobile,
il terreno scivoloso sotto i piedi,
odore di terra bagnata,
panchine viscide
e, anche volendo,
non ci si può fermare
a riposare
sulle loro sedute di pietra

Se mi ci sedessi,
ubbidendo al desiderio di stare,
l'atmosfera crepuscolare,
l'umidità invadente,
con il freddo che penetra sino alle ossa,
m'ispirerebbero soltanto pensieri
di decadente malinconia

E la nostalgia mi divorerebbe
in un batter d'occhio,
senza appello

E, allora, meglio evitare...

Come sarebbe bello essere
con una bella famiglia di gatti sornioni
che si crogiolano al sole
acciambellati pigri
su di panchina di legno
illuminata dal sole pieno del primo meriggio!

Se fossi lì,
me starei fermo, immobile,
a scaldarmi,
a stiracchiarmi
e a fare le fusa
compiaciuto
e vivrei felice
l'attimo presente

Un bel sogno,
davvero!

E invece l'unico sogno
che ho ricordato di questa notte
è quello di una gallina tatuata
che, instancabilmente, danzava davanti a me
come una piccola bajadera dipinta...

Palermo, il 18.04.2010

domenica 18 aprile 2010

Fino all'ultimo fiato: una bella storia di vita e di corsa tra derive esistenziali e progetto di riscatto


Ho letto con grande piacere "Fino all'ultimo fiato", la seconda fatica letteraria di Andrea Accorsi, podista e ultrarunner, romanzo che ho avuto l'onore di esaminare in anteprima, ancora come dattiloscritto.
Mirko, il protagonista maschile, è un runner professionista che, ormai alla soglia dei 30 anni, non riesce ad emergere in maniera netta ed inequivocabie. Rendendosi conto di essere ormai sulla via del declino e ormai divorato all'interno dal tarlo del cinismo, decide di partecipare ad una maratona, truccando le carte all'insaputa del suo allenatore (Mario) e della sua compagna (Maria).
Amanda, invece, è una runner che segue maggiormente il suo istinto e che, pur non eccellendo, riesce a piazzzarsi bene in molte delle maratone a cui partecipa.
Mentre Mirko - pur avendo vinto un'importante maratona e il ricco premio in denaro in palio - incorre in severe sanzioni e viene squalificato dai campi di gara, Amanda che pure ha deciso di dare un punto di svolta alla sua vita, affrontando per la prima una volta una gara sulla distanza di 100 km, va incontro ad un destino avverso: mentre si sta allenando, a sera tarda, viene investita da un pirata della strada e rimane priva della vista.
Mirko, con la squalifica ha perso tutto, compresi gli affetti più cari: ed inizia così una sua deriva esistenziale che lo porta a vivere da barbone, quasi sempre ubriaco e senza dignità.
Per un concorso di circostanze, tuttavia, si accende in Mirko una scintilla che gli consente di intravedere un percorso di riabilitazione: iniziare a correre di nuovo e prepararsi ad affrontare la mitica 100 km del Passatore, in modo da compiere ciò che Amanda non aveva potuto realizzare, in altri termini, ciò che fa scattare in lui il desiderio di redimersi è la contemplazione di un progetto di vita.
La molla che anima il cambiamento è la lettura di un articolo di giornale in un rotocalco mensile dedicato al podismo in cui si racconta della triste storia di Amanda e del fatto che, malgrado la cecità, lei coltiva dentro di sè il sogno di poter ancora correre la 100 km.
Mirko - con il supporto di questo sogno che comincia ad agire in lui come un volano - si ravvede dalla sua vita disgregata e con il consiglio dell'amico Santana (ed anche con l'aiuto di Caruso che gli dà un lavoro, ma che sin dall'inizio lo tratta da amico) riprende a ricompattare il proprio Sè, proprio partendo dal progetto di arrivare a correre quella gara di 100 km.
Per Mirko, tutto ricomincia a girare a poco a poco: le gambe e, assieme alle gambe, la mente e lo spirito.
Riuscirà Mirko a risollevarsi del tutto?
Sarà capace di portare a termine la propria impresa?
Mirko e Amanda si incontreranno? O per una beffa del destino, le loro strade - senza che nessuno sappia dell'altro - si sono già incrociate?
Sarebbe un peccato e un tradimento nei confronti di chi vorrà leggere il romanzo di Accorsi rispondere qui a questi quesiti.
Quindi non vado oltre nell'esposizione della trama...
Ma, senza svelare nulla dell'intreccio che riserva più di una sorpresa, vorrei fare qualche considerazione di carattere generale su questo romanzo che si presenta sicuramente come romanzo di formazione che veicola anche dei valori morali di ampio respiro.
La caduta di Mirko è legata al fatto di avere coltivato troppo a lungo un progetto troppo centrato su di un Sè onnipotente ed invincibile, che lo ha portato a vivere lontano dagli altri e a disinteressarsi del nucleo affettivo delle relazioni interpersonali. Ed è proprio il suo smisurato orgoglio e la brama della vittoria a portarlo a fare il passo più lungo della gamba e a vincere, sì, ma senza gloria per trasformarsi subito dopo in angelo caduto che si rotola nella polvere e nell'infamia di aver vinto, frodando e tradendo la fiducia delle persone che più gli sono state vicine.
La caduta, che lo porta nell'inferno dell'abbrutimento e dell'abiezione, gli dà la possibilità di scoprire - nello stesso tempo - dei valori dimenticati (e forse mai praticati) quali la solidarietà, gli affetti, la bellezza dei sogni cui andare dietro, anche se può essere palese la discrepanza tra essi e la realtà.
Amanda rappresenterà il catalizzatore del cambiamento: il fatto di rendersi conto che chi è stato colpito - senza averne colpa - da un destino crudele non si lascia abbattere, ma è pronto a lottare indomito per la realizzazione del proprio progetto, con uno spostamento dunque dalla sottolineatura sul "vincere" a all'enfasi data al perseguimento del proprio progetto, della propria "vision" - e ciò a prescindere dal risultato che si potrà realizzare, rappresenta per Mirko una sferzata alla sua deriva esistenziale che è stata il tunnel del'auto-punizione per avere fallito e il punto di partenza di un progetto di vita (e sportivo) fondato su valori più saldi.
L'andare dietro alla vittoria a tutti i costi conferisce alle nostre azioni un che di torva coazione, mentre la semplice determinazione di voler compiere un'impresa le rende più pure e, paradossalmente, liberando da quelle coazioni che rendono i movimenti legnosi e coartati (perchè troppo grande è la tensione interiore), può far sì che esse - scaturendo da un armonia interiore - portino alla vittoria che è in primo luogo con se stessi.
Per chi abbia consuetudine con i campi di gara delle ultra italiane sarà veramente un piacere leggere alcune delle pagine di Andrea perchè due delle più note ultramaratone italiane (rispettivamente, la 50 km di Romagna e la 100 km del Passatore) vi trovano ampio spazio con descrizioni profondamente coinvolgenti per chi sa (ma anche per chi non le abbia mai corse), poichè sono fortemente plasmate dalla personale passione di Andrea Accorsi per la corsa di endurance e dalla pratica di essa sui campi di gara più disparati.
Vi è molta autobiografia mascherata in questo racconto nel quale confluiscono in un amalgama, sufficientemente trasfigurato, fatti e personaggi reali del mondo della corsa ed anche tematiche assolutamente attuali nel campo dello sport, come il doping.
Basti pensare alla suggestiva evocazione del caso clamoroso di Roberto Barbi e della sua esclusione permanente dalla possibilità di gareggiare nuovamente (squalifica a vita, sanzionata nel 2009 dal Tribunale nazionale anti-doping), a causa della sua recidiva nelle pratiche dopanti con EPO e efedrina.
Ma anche - per il tramite di Amanda - è pregnante il riferimento a Christian Sighel, l'ultrarunner alto-atesino che è riuscito a correre una 100 km (nel corso del 2009), senza l'ausilio del classico cordino a cui i podisti non vedenti si legano all'accompagnatore vedente, per partecipare alle gare podistiche: un fatto assolutamente storico, perchè Cristian è stato il primo ipovedente a correre una 100 km ed integralmente senza il cordino, ma soltanto con l'ausilio della guida vocale del suo accompagnatore che è stato, per l'appunto, Andrea Accorsi.
Nella vita di ognuno di noi ci sono esperienze che segnano profondamente (perdite, lutti, micro-traumi e life-event in genere) e che, poi, dopo un periodo di necessaria rielaborazione, riusciamo a tirare fuori in certo qual modo trasfigurate con l'ausilio delle narrazioni e della scrittura, in particolar modo.
Ed è esattamente quello che Andrea Accorsi riesce a fare con un'abilità che si sta affinando nel corso del tempo: in questo suo secondo romanzo, ciò si avverte in uno stile più asciutto e più incisivo (che soprattutto nella prima parte evoca le atmosfere psicologiche dell'hard boiled americano), con una maggiore capacità di prendere le distanze dai fatti realmente accaduti che rappresentano il grande serbatoio di materiali per infinite storie, narrando per il piacere intrinseco di ciò.
Andrea è uno che pensa, riflette, ricorda, rielabora: tutte qualità alle base di chi sente intimamente spinto dalla pulsione di essere un costruttore di storie ed un affabulatore.
Auguro vivamente ad Andrea di poter proseguire ancora in questo suo percorso di ricerca letteraria con una maturazione ed un ulteriore affinamento del suo stile.

Felicità: Andrea Accorsi e la cagnetta Luna

Breve nota biografica su Andrea Accorsi
Andrea Accorsi, nato a Bologna nel 1967, è un ultrarunner: un ultramaratoneta che partecipa alle gare podistiche per passione e solo secondariamente alla ricerca di un risultato.
Ha maturato ormai una lunga esperienza sule gare di lunga distanza e ha maturato un curiiculum di corsa piuttosto poderoso.
La corsa di lunga distanza è stata per Andrea un'autentica scoperta che gli ha consentito di modulare diversamente il suo stile di vita.
Assieme alla sua compagna, Monica Barchetti - anche lei ultrarunner - ha dato vita a Mondo Ultra, un sito web che si occupa di ultramaratone e endurance. Ma collabora anche assiduamente con la rivista "Correre" e con il periodico web "Spiritotrail".
Tra le diverse imprese che ha compiuto, ha accompagnato l'ipovedente Cristian Sighel nella 100 km Rimini Extreme del 2009 solo con l'ausilio della sua voce.
Ha già pubblicato un primo romanzo "Dodici ore", pubblicato dalla casa editrice &My Book (Caravaggio Editore) che ha avuto un notevole successo di lettori e a cui vendita è stata associata ad una causa benefica.
Andrea Accorsi e Monica Barchetti vivono felicemente con la cagnetta Luna, un segugio trovatello e adottato.
Fino all'ultimo fiato, verrà presentato per la prima volta in pubblico, il 24 aprile, alla vigilia della 50 km di Romagna, mentre sara già reperibile in alcune librerie dal 26 aprile.
Chi volesse reperire ulteriori informazioni su Andrea Accorsi, oltre a visitare il sito web Mondo Ultra che rappresenta gli interessi podistici e sportivi di Andrea e di Monica Barchetti, può andare a curiosare sul suo sito ufficale Romanzando, dove si trovano informazioni biografiche più approfondite, le date delle prossime presentazioni e altri suoi scritti non ancora dati alle stampe.

Cella 211: un film di genere carcerario, con risvolti politici ed umani


Cella 211 di Daniel Monzon è un film carcerario molto ben fatto e credibile, con risvolti politici ed umani.

Juan Olivera che deve iniziare a prestare servizio come agente di custodia penitenziario in un carcere spagnolo (Zamora), per zelo, si presenta in carcere un giorno prima per conoscere meglio il nuovo posto lavoro. Giovane sposo, la moglie è incita di sei mesi, e questo lavoro rappresenta per il piccolo nucleo familiare la promessa di una stabilità economica.
Mentre Juan è in visita e i futuri colleghi gli illustano la situazione e i suoi futuri compiti, viene accidentalmente colpito alla testa da un calcinaccio e, essendo ferito e privo di coscienza, in emergenza, viene fatto distendere sulla branda della cella 211 momentaneamente vuota. Nel frattempo, scoppia un'insurrezione guidata dal capo riconosciuto dei carcerati, denominato "Malamadre", violento, crudele, ma tuttavia carsimatico e capace di esprimere un suo rozzo codice d'onore.
Juan, ripresi i sensi, si ritrova nel bel mezzo delal rivolta e, con presenza di spirito, si finge un detenuto, appena giunto: la sua finzione è credibile e, con una serie di colpi di scena, finisce con il diventare uno dei capi dei riottosi, accettato e sostenuto da Malamadre.
La vicenda si svolge nel chiuso ambiente claustrale del carcere, assediato dalle teste di cuoio pronte ad intervenire e da una folla di familiari, amici e parenti dei detenuti che si accalcano all'esterno per avere notizie. La precedente conduzione della disciplina detentiva guidata dal sadico carceriere Utrillo si ritorce contro l'amministrazione stessa dell'istituto di pena e intanto la rivolta rischia di assumere i connotati di un caso politico, visto che tre Baschi vengono presi in ostaggio dai rivoltosi.
Il film porta con sè anche di denuncia delle condizioni di vita esistenti all'interno delle carceri spagnoli e dell'arbitrio di alcuni dei carcerieri che, con il loro comportamento, alimentano il seme della violenza. Un tema di genere caro alla cinematografia americana viene rinterpretato da Daniel Monzon sulla base delle specificità del suo contesto nazionale.
Ma la visone di alcune sequenze è davvero dura.
Alla fine, la simpatia dello spettatore, malgrado le efferatezze messe in atto da qualcuno dei rivoltosi, non può non andare alla loro causa e allo stesso Malamadre, il carismatico personaggio che, ponendosi alla loro guida, si fa portatore di una sua rude forma di lealtà e di un - sia pur primitivo - codice d'onore.
Al contrario, gli antagonisti (i rappresentanti dell'amministrazione carcercaria e i mediatori governativi) fanno una figura meschina, perchè sono disposti a ricoorere a tutti i sotterfugi possibili, alla menzogna e al tradimento pur di venire a capo della difficile situazione.
Il tutto, con un ritmo incalzante e senza mezze misure, è sottolineato da una colonna sonora in cui dominano, prima, i rumori angoscianti di porte di ferro sbattute, cigolii di serrature, tintinnii di chiavi e i cupi clangori delle cancellate scorrevoli che si chiudono o si aprono e, dopo, quando è scoppiata l'insurrezione, dal disordine delle grida concitate dei rivoltosi e delle loro risate scomposte, delle vetrate infrante e di tutti i rumori affastellati che esprimono il liberarsi di un furore pantoclastico contro la struttura odiata.
Quasi del tutto assenti gli orpelli musicali: solo nelle scene che rievocano i quieti quadri di vita familiare di Juan prima della sfortunata serie di circostanze in cui viene ad essere coinvolto, sono le parole composte e affettuose della moglie Helena a fare da contraltare sonoro all'inferno del carcere.
Da vedere, se si ha stomaco per affrontare le scene più violente.

Per vedere il trailer, clicca qui.

Scheda film

Regia: Daniel Monzón;
Interpreti: Luis Tosar, Alberto Ammann, Antonio Resines, Marta Etura, Carlos Bardem, Manuel Morón, Luis Zahera, Vicente Romero, Fernando Soto, Jesús Carroza, Félix Cubero, Manolo Solo, Joxean Bengoetxea, Juan Carlos Mangas, David Selvas, Patxi Bisquert, Xosé Manuel Olveira 'Pico', Hilario Pino, Antonio Durán 'Morris', Jesus Del Caso, Pedro Piqueras, Suso Lista, Xavier Estévez;
Titolo originale: Celda 211;
Genere: Azione;
Ratings: Kids+16;
Durata: 110 minuti;
Origine: Francia, Spagna 2009. - Bolero
Uscita nelle sale cinematografiche in Italia: venerdì 16 aprile 2010.

mercoledì 14 aprile 2010

L'uomo nell'ombra: un bel thriller spionistico


"L'uomo nell'ombra" di Roman Polanski, tratto dall'omonimo romanzo di Robert Harris, é un bel thriller spionistico nella migliore tradizione hitchcockiana.
Il titolo originale "The ghost Writer" è indubbiamente più pertinente, perchè lo scrittore-ombra (che è la traduzione appropriata) è un professionista (il più delle volte scrittore o giornalista) che mette le sue capacità ed attitudini al servizio di un uomo politico o di un personaggio pubblico e che, rimanendo invisibile, scrive per suo conto discorsi, relazioni o, come nel caso della vicenda narrata nel film, autobiografie o memoriali.
Adam Lang (Pierce Brosnan), ex-premier britannico, si è ritirato dalla vita politica attiva e vive adesso in una grande casa prospiciente il mare e le dune su di un'isola al largo della costa USA (che è poi la celebre Martha's Vineyard). Si è ripromesso di dare alle stampe una corposa autobiografia, molto attesa e temuta da alcuni, perché potrebbe rivelare alcuni retroscena compromettenti della sua vita politica che è stata particolarmente longeva. Viene assunto dalla casa editrice, con un ricco contratto, uno scrittore-giornalista (Ewan McGregor) con il compito di aiutare Adam Lang a rifinire la sua opera e a renderla commercialmente appetibile. Lo scrittore-ombra, di cui mai verrà detto il nome, subentra al suo predecessore, McAra, morto in circostanze misteriose e presto, essendosi imbattuto in una serie di indizi lasciati da quest'ultimo, si lancia in un'indagine indipendente che lo porta a pochi passi da alcune verità scomode.
L'uomo nell'ombra è un film di mistero e di suspense, qualità che si ritrovano nelle atmosfere sempre gravide di un'implicita minaccia, nella fondamentale solitudine dei personaggi, nella grande casa inespugnabile e ostile come un fortino, ma arredata con tutti i comfort per quanto rispondenti ad un gusto algido e rarefatto, nel fatto che tutti si mostrano agli altri con una fondamentale cifra di ambiguità.
Lo spettatore è tenuto in sospeso sino all'ultima sequenza che riserva un finale a sorpresa che non va rovinato, a cui tuttavia - essendo sufficientemente sagace - può arrivare da sè.
Una parte cameo se la é ritagliata Roman Polanski in persona, come bartender del Fisherman's Cove il piccolo albergo dove si trova ad alloggiare "l'ombra".
Roman Polanski, per quanto chiacchierato e nell'occhio del ciclone per pesanti vicende giudiziarie, riesce a catturare lo spettatore, specie quando in un film come questo riesce a lavorare con maestria sulle atmosfere di suspense senza sconfinare nella rappresentazione di parti "malate" del suo Sè che, specie in taluni dei suoi film (come ad esempio Frantic), emergono con prepotenza.

Per vedere il trailer, clicca qui.

La copertina dell'omonimo romanzo
Scheda film
Regia: Roman Polanski;
Interpreti principali: Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Kim Cattrall, Olivia Williams, James Belushi. Timothy Hutton, Eli Wallach, Tom Wilkinson, Robert Pugh, Jaymes Butler, Daphne Alexander, Marianne Graffam, Nyasha Hatendi, Angelique Fernandez, Glenn Conroy, Kate Copeland, Tim Preece, Anna Botting, Yvonne Tomlinson, Milton Welch, Tim Faraday, Jon Bernthal;
Titolo originale: The Ghost Writer;
Genere: Thriller;
Ratings: Kids+16;
Durata: 131 minuti;
Origine: USA, Germania, Francia 2010. - 01 Distribution;
Uscita nelle sale italiane: venerdì 9 aprile 2010

.

lunedì 5 aprile 2010

Leggero il suono dei miei passi


Strade vuote e silenti
tubare di piccioni

scorie e resti di bagordi del popolo della notte


E ora, alle prime luci dell'alba,

non c'è più nessuno


Tutti andati!


Scomparsi!


Mentre cammino sui marciapiedi di nudo cemento,
fogli di giornale sparsi

mossi qua e là dal vento,

un cielo corruscato incombente,

potrei essere l'ultimo uomo sopravvissuto


Non so se considerare questo evento

una condanna oppure un sollievo:

la condanna della solitudine,

il sollievo della liberazione

da troppo rumore
molesto ed intollerabile

E intanto cammino.

Leggero il suono dei miei passi

mi accompagna

domenica 4 aprile 2010

Rondini

Ali sul mare in un giorno di vento
(foto di Alice Ferretti)
Sprofondato nel canyon della strada angusta
osservo il cielo del tramonto

Rondini isolate
- prime sentinelle dello stormo che verrà -
intrecciano voli
s'innalzano
scivolano in basso
riprendono quota

In un gioco incessante,
fantasmagorico

Ogni tanto un'ala inclinata
cattura un raggio di sole.

Ma é solo per un attimo.

Le rondini
sagome nere
nitide
affondano in un mare di luce

E di questa luce
io posso vedere
solo pallidi barbagli.


 
Creative Commons License
Pensieri sparsi by Maurizio Crispi is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at mauriziocrispi.blogspot.com.