mercoledì 21 aprile 2010

Scontro tra titani: la mitologia greca in salsa americana


Il film di Leterrier è un libero rafacimento con l'aggiunte di alcune delle attrattive del 3-D, di un film del 1981, realizzato dal regista Desmond Davis con l'ausilio di un cast di attori eccezionali (tra i quali si annoveravano Alec Guinness e Ursula Andress). Il film del 1981 si intitolava "Scontro di Titani".
L'uno e l'altro sono centrati su di una libera interpretazione della mitologia greca e il remake recente presenta delle lievi differenze rispetto al primo.
Se uno spettatore che abbia anche soltanto un'infarinatura della mitologia greca, spera di trovare in questi due film una narrazione corrispondente a ciò che già conosce, si sbaglia di grosso.
Diciamo pure che la mitologia greca è soltanto un pretesto narrativo per offrire un pout-pourri di elementi delle narrazioni mitiche, infilati a casaccio e senza alcun rispetto dei testi originari, e shakerati sapientemente con l'aggiunta di elementi eterologhi provenienti da narrazioni mitologiche proprie di altre culture (quali ad esempio il "kraken").
Questa è la storia originaria (quella presentata nel film del 1981), tutta incentrata sulle battaglie che il semidio Perseo deve intraprendere contro mostri mitologici per salvare la bella principessa Andromeda da morte certa. Dapprima la libera dalla crudele influenza del suo antico promesso sposo (Calibos, figlio della dea marina Teti) tramutato da Zeus in un abominevole mostro in quanto responsabile della morte di quasi tutti i suoi stalloni alati, poi, quando Andromeda deve essere sacrificata a un crudele mostro marino chiamato Kraken per volere della dea Teti che è madre del Kraken, si reca da tre indovine cieche (le Graie, chiamate nel film "streghe dello Stige") per scoprire come sconfiggere il titanico nemico.
Le strege dello Stige gli rivelano che solo il potere pietrificante della testa di Medusa potrà uccidere il mostro e quindi, giunto con la barca di Caronte (che non fa parte della mitologia greca) nell'isola dei Morti, Perseo uccide Medusa e, dopo molte peripezie, può salvare l'amata Andromeda pietrificando il Kraken con lo sguardo della testa della Gorgone (mentre, nella mitologia, l'eroe uccideva il mostro che insidiava Andromeda a fil di spada).

Il film attuale presenta delle lievi differenze.
La storia prende le mosse dal salvataggio del piccolo Perseo dal mare e della sua adozione da parte di una famiglia di pescatori in un mondo in cui gli uomini stoltamente si arrogano il diritto di essere "dei di se stessi", non mostrando alcun rispetto degli dei in un crescendo di iconosclastia aggressiva che porta - al suo culmine - all'abbattimento di una gigantesca statua di Zeus, collocata su di una rupe all'ingresso del porto di Argo.
A causa di quest'evento si scatena l'ira di Zeus (Liam Neeson) che, consigliato da Ade (Ralph Fiennes) che - come nel cartoon della Walt Disney (Heracles) - persegue le sue perfide trame di dominio sul mondo e di prevaricazione su divino fratello, si lascia convincere a liberare il temibile Kraken per distruggere Argo con tutti i suoi abitanti, a meno che la bella Andromeda non venga offerta in sacrificio al possente mostro marino.
Solo Perseo potrà salvare Argo e contemporaneamente Andromeda che si è innamorata di lui, per quanto rifiutata.

Mentre nel film precedente, Perseo se ne partiva da solo in una spedizione che gli avrebbe consentito di apprendere cosa fare per sconfiggere il Kraken, con l'ausilio di una civetta meccanica che gli era stata inviata da Athena perchè lo protegesse, qui invece si forma una vera e propria compagnia di guerrieri (che fa l'occhiolino alla Compagnia dell'anello di Tolkien), mentre la civetta meccanica merita soltanto un'ironica citazione, che è questa.
Mentre i guerrieri scelgono gli armamenti da portarsi appresso, uno tira fuori il robo-civetta e il capo della spedizione dice, stizzito
:"No, questa lasciamola stare! Non ci serve!".
Il viaggio si svolge con una sequenza un po' diverse, mentre la compagnia di guerrieri viene a poco a poco decimata, attraverso il cimento con una serie di prove successive tra cui quella con una frotta di giganteschi scorpioni scaturiti dalla mano recisa e dal sangue di Acrisio che ha ricevuto da Ade dei poteri sovrannaturali e che ha dei motivi più che validi per volere la morte di Perseo.

Si susseguono in una sarabanda, sino allo scontato finale, molti effetti speciali, molte battaglie, grida, schiamazzi, clangore di spade e mani mozzate, ma senza guizzi e senza causare alcun autentico spavento nello spettatore: tanto, si sa già come la storia andrà a finire.
Belle le sequenze di volo sul cavallo alato Pegaso che interviene a salvare Perseo quando sembra che tutto sia perduto: uno dei tanti "little helper" che
dall'alto dell'Olimpo gli manda il padre che, benchè sia determinato a punire gli uomini per la loro empietà, è altrettanto deciso a tutelare l'incolumità del figliolo (tra questi "aiutini", anche la bella semidea Io.
La sede degli dei sul monte Olimpo è rappresentata come un fantascientifico palazzo, una struttura metallica fatta di guglie e pinnacoli che evocano la foggia di un'astronave proveniente dallo spazio.
Ade, che nell'ombra ordisce trame, pare spuntato fuori da un film di vampiri.
A differenza che nel film del 1981, gli altri dei scompaiono quasi del tutto e la loro interazione si riduce riduttivamente al confronto ostile tra Zeus e Ade.

Insomma, sia il primo film, sia questo suo remake presentano la mitologia greca in salsa americana: un frullato di storie e di personaggi presentati con un impasto di grida, di schiamazzi e di effetti speciali.
Un film, a metà tra il genere peplum e il fantasy, buono per l'intrattenimento spensierato, anche se non mancano le lungaggini e i tempi morti.

Il Kraken

Il kraken è un mostro marino leggendario dalle dimensioni abnormi; il suo mito ha origini molto antiche, ma si è sviluppato soprattutto fra il Settecento e l'Ottocento, forse anche sulla base dei resoconti di reali avvistamenti di calamari giganti. Viene generalmente rappresentato come una gigantesca piovra, con tentacoli abbastanza grandi da avvolgere un'intera nave. In norvegese, krake indica un animale malsano o aberrante (in analogia alle forme inglesi crank e crook). In tedesco, Krake significa piovra.
Sebbene il nome kraken non appaia mai nei testi della mitologia norrena, le sue caratteristiche possono ricondursi a quelle dell'hafgufa, descritto nella Saga di Örvar-Odds e nel Konungs skuggsjá (1250). In questi testi si parla dell'hafgufa come di un mostro marino talmente grande da poter essere scambiato per un'isola quando si trovava in superficie. Questo tema (il mostro che sembra un'isola) è uno degli elementi ricorrenti principali nella tradizione sul Kraken, che si sviluppò principalmente nel Settecento.
Questo tema ha avuto anche sviluppi diversi, e in particolare accomuna il Kraken con lo Zaratan,
la balena-isola del mito di San Brendano di Clonfert. Alcuni elementi della tradizione relativa al Kraken (le bolle e gli spruzzi d'acqua dalle sue narici, le forti correnti e le violente onde provocate dai suoi spostamenti, il suo emergere come un'isola) fanno supporre ad alcuni studiosi che la versione originale del mito norreno possa essere correlata all'attività vulcanica sottomarina in Islanda.

Nella prima opera di Carl von Linné, Systema Naturae (1735), il Kraken compare fra i cefalopodi, con il nome scientifico Microcosmus (in seguito, Linné rinunciò a menzionare questa ipotetica specie). Il riferimento settecentesco principale sul Kraken è la Storia naturale della Norvegia (1752) del danese Erik Pontoppidan, vescovo di Bergen. Pontoppidan riprende il tema del mostro-isola, sostenendo che alcune isole rappresentate erroneamente sulle mappe fossero in effetti da ricondursi ad avvistamenti del Kraken in emersione. Nella descrizione di Pontoppidan, il principale elemento di pericolosità del Kraken erano le sue stesse dimensioni, e le forti onde e i potenti gorghi che causava emergendo o inabissandosi. Il Kraken non viene quindi descritto come ostile, sebbene Pontoppidan precisò che, volendo, il Kraken avrebbe potuto afferrare e trascinare negli abissi anche la più grande nave da guerra. Sempre Pondoppidan sostiene che un giovane esemplare di Kraken, morto, fosse stato spinto dalle onde sulla spiagga presso Alstahaug. Il Kraken di Pontoppidan appare come "pesce-granchio" nell'opera dello svedese Jacob Wallenberg Min son på galejan ("Mio figlio sulla galera", 1781):
« Il Kraken, anche detto pesce-granchio, che non è (a quanto dicono i piloti norvegesi) così grande, non è più grande della larghezza della nostra Öland [ovvero meno di 16 km] ... Se ne sta sul fondo del mare, sempre circondato da molti piccoli pesci che gli servono come cibo e ricevono cibo da esso; perché il suo pasto, se ricordo bene ciò che scrive Pontoppidan, dura non meno di tre mesi, e altri tre servono per la digestione. In seguito, i suoi escrementi nutrono un esercito di pesci più piccoli, e per questo motivo i pescatori gettano i piombi dove esso giace ... Gradualmente, il Kraken sale alla superficie, e quando si trova a dodici o dieci braccia è bene che le barche si allontanino, perché di lì a poco esso emerge come un'isola, spruzzando acqua dalle sue terribili narici e creando anelli di onde attorno a sé, fino a distanze di molte miglia. Si può forse dubitare che questo sia proprio il Leviatano del Libro di Giobbe?»


L'idea che i pescatori si arrischiassero a pescare sopra il Kraken è menzionata da Pontoppidan; pare che i pescatori norvegesi, per complimentarsi per una pesca particolarmente abbondante, fossero soliti dire: "devi aver pescato sul Kraken".

Nel tardo Settecento iniziò a svilupparsi il mito del Kraken come creatura aggressiva. Alcune varianti del mito prevedevano che il Kraken affondasse le navi degli uomini corrotti (per esempio dei pirati), risparmiando quelle dei giusti. Sempre in questo periodo l'immagine del Kraken venne a coincidere in modo sempre più netto con quella di una piovra gigante, perdendo altre caratterizzazioni menzionate da alcune fonti più antiche (come la forma di granchio o certi altri elementi che potevano accomunare il Kraken alle balene).
Secondo alcuni studiosi, questa evoluzione del mito potrebbe essere legata agli avvistamenti di reali calamari giganti. Nel 1802, il malacologo francese Pierre Denys de Montfort incluse la descrizione di due specie di piovre giganti nel suo trattato enciclopedico sui molluschi, Histoire Naturelle Générale et Particulière des
Mollusques. La prima specie, per cui Montfort riprese il nome "kraken", era quella descritta dai marinai norvegesi (e, secondo Montfort, anche da Plinio il Vecchio). La seconda specie aveva dimensioni ancora più impressionanti; un esemplare aveva causato il naufragio di un vascello al largo dell'Angola. Montfort sostenne anche che le dieci navi da guerra inglesi scomparse nel 1782 fossero state affondate da piovre giganti. La sua tesi fu in seguito smentita, e la sua opera perse notevolmente di credibilità agli occhi dei suoi contemporanei.

La prima immagine è la riproduzione di un disegno di Pierre Denys de Montfort, dalle descrizioni di marinai francesi che sostenevano di essere stati aggrediti da questa creatura al largo dell'Angola (1801), mentre la seconda, pure una rappresentazione artistica, mostra l'enormità del kraken, in rapporto alla nave che lo sovrasta e che nel confronto appare delle dimensioni di un fuscello.



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