giovedì 29 gennaio 2009

L'omaggio di Luhrmann alle "generazioni perdute" degli aborigeni australiani


"Australia" potrà non piacere ad alcuni: ma sinceramente ho i miei dubbi. E' un film assolutamente godibile dall'inizio alla fine. Il suo pregio sta nel fatto che, oltre a farci conoscere una realtà ambientale poco nota (sono ben pochi i film australiani ambientati proprio in Australia che giungnon nel grande circuito di distribuzione), ci fornisce una miriade di cose che sono al tempo stesso causa di intrattenimento e fonte di curiosità e di desideri di approfondimenti.
C'è la saga in cui si mescolano elementi storici, quali il transito da un mondo all'altro, determinato dallo scoppio della II Guerra Mondiale, lo scontro tra la piccola oligarchia di aristocratici inglesi e una masnada di avventurieri e profittatori che cercano di accaparrarsi con inganni e violenza la proprietà delle terre e dei pascoli, ma anche il controllo assoluto dei commerci, lo scontro tra culture diverse (che, in alcuni momenti, è anche incontro, le cui conseguenze devono essere tuttavia occultate se non addirittura megate, separando i figli meticci dalle madri per evitare di far crescere una generazione che possa ambire ad occupare i posti dei "bianchi".
Ma c'è anche il sorgere di un amore che va contro la sensibilità e le ipocrisie della classe dominante (la storia che nasce tra Sarah Ashley (Nicole Kidman) e il mandriano brusco di modi, ma giusto e leale (Hugh Jackman) e in esso s'identifica - non in ultima posizione, perchè quest'aspetto pervade l'intero film - un omaggio al fascino selvaggio del Nord-Est dell'Australia (dove è appunto ambientata la vicenda), dai territori desertici che rifioriscono al giungere di grandi pioggie monsoniche alle sue coste dense di rigogliosa vegetazione, al suo mare, ai suoi cieli e ai suoi deserti.
A far da filo conduttore parallello, c'è la rappresentazione del modo di vivere degli aborigeni australiani che, per tutto il XIX secolo continuarono ad essere sottoposti a discrimazioni e persecuzioni che soprattutto li violentavano perchè tentavano di spezzare le loro secolari consuetudini, convinzioni cosmogoniche e necessità culturali.
Quest'aspetto è presentato dal regista in modo discreto, come parte essenziale del plot, senza alcuna sbavatura o eccedenza didascalica.
Lo spettatore ha la facoltà di apprendere di queste vicende nel corso del film stesso e di farsi gradatamente le sue idee, osservando il confronto tra i bianchi "predatori" e gli aborigeni che tentavano di conservare la libertà delle proprie "vie dei canti".
Alla fine del film, il giudizio dello spettatore non può che essere severo proprio nei confronti di "quei" bianchi spietati ed insensibili, con un apprezzamento per quelli che, invece, comprendendo la grande "ricchezza" e la saggezza d'un popolo apparentemente primitivo e povero di ogni tecnologia, cercavano di garantirgli un minimo di libertà e protezione dal deliberato "etnocidio", perpetrato con lo sfruttamento, la violenza, le deportazioni forzate e anche con la liberale distribuzione di alcool.
Luhrmann, Australiano doc, di origini umili e proveniente dall'interno dell'Australia, successivamente formatosi nel teatro ma letteralmente "esploso" al cinema, fornisce in definitiva, con questo film, un magnifico omaggio alla "sua" Australia, intinto di alcuni degli elementi western "visionari" di Sergio Leone (si vedano le sequenze dell'arrivo alla farm di Lady Ashley oppure quelle - epiche ed avventurose assieme - della conduzione della mandria dall'interno desertico sino alla costa), e un omaggio a quelle che furono definite le "generazioni perdute" degli aborigeni.

lunedì 19 gennaio 2009

Luci ed ombre sul delitto di Perugia

Proprio in questi giorni in cui s'è avviato il procedimento penale d'appello contro Amanda Knox e Raffaele Sollecito è uscito tempestivamente in libreria, per i tipi di Armando Editore, una riflessione criminologica sul delitto di Perugia, ad opera di Vincenzo Mmaria Mastronardi (docente in Criminologia e Psicopatologia Forense) e di Giuseppe Castellini (Direttore Responsabile del quotidiano "Il giornale dell'Umbria").
Il volume, alla luce del materiale processuale già disponibile, quello scaturente dal procedimento con rito abbreviato a carico di Rudy Degue, cerca di fare il punto della situazione, con oggettività e senza propendere a favore di nessuno degli "attori", proponendo in maniera non esplicita (e dunque discreta) la tesi secondo cui "i fatti parlano da sé".
Il titolo del volume è un tributo alla "vittima": "Meredith. Luci e ombre su Perugia"(2009).
Una scelta significativa questa, poichè esprime il desiderio di rappresentare, in qualche modo, la vittima di questa vicenda, Meredith Kercher, in un'epoca in cui attorno ad alcuni delitti, enfatizzati dai media, si accendono polemiche infinite tra "innocentisti" e "colpevolisti", e gli autori del delitto (indiziati come tali) diventano dei veri e propri protagonisti, mentre della/e vittima/e ci si scorda fin troppo rapidamente.
Raramente le voci delle vittime hanno voce in capitolo. Esse cadono rapidamente nell'oblio, perchè - nell'epoca del potere dei media e della televisione del dolore - gli uccisi sono il più delle volte "i sommersi": vengono trascurati soprattutto perchè sono stati definitivamente privati del potere della parola.
Il volume è arricchito da un'appendice che riporta alcuni materiali processuali, tra i quali - molto interessanti - i report "psico-grafologici" effettuati su Amanda Knox, Raffaele Sollecito e Rudy Guede, con tanto di profili di personalità ed ipotesi diagnostiche.
In più, al volume è allegato un DVD che presenta la ricostruzione in 3D della scena del delitto e riporta alcuni documenti-chiave della vicenda, mettendo in luce i suoi molti aspetti non ancora risolti e problematizzandoli.
L'operazione sembra corretta e non di parte, come altra pubblicistica "istantanea" su Amanda Knox e Raffalele Sollecito, di dubbio valore epistemologico.
All'avvio del procedimento in Corte d'Appello, non può che dare compiacimento la decisione presa dai giudici del Tribunale di Perugia di celebrare il processo d'appello a "porte chiuse" per le telecamere, allo scopo di evitare spettacolarizzazioni deleterie e utilizzazioni successive delle riprese per dar vita a processi "para-giudiziari" nei media.
Ciò nonostante, di già, non sono mancate delle trasmissioni, alla presenza di alcuni legali delle parti, in cui si è discusso in toni accesi e polemici dell'innocenza e della colpevolezza dei due attualmente sotto giudizio, con la proposta di profili, foto d'archivio e altri simili corredi iconografici.
E' certo che la tentazione di portare avanti un processo nei media, dimenticando la vittima e "umanizzando" gli eventuali carnefici, è troppo forte e sicuramente "pagherà" in termini di audience, anche perchè - in tutta la vicenda - c'è anche lo scontro di paesi e di mentalità diversi (Meredith era inglese, Amanda Knox è statunitense, Rudi Guedè africano, Raffaele Sollecito italiano), il confronto di sistemi giudiziari diversi (quello americano, quello inglese e quello italiano, messi a confronto anche con pesanti giudizi di merito), ma anche l'attivazione di forti movimenti "innocentisti" a favore di Amanda Knox con la creazione da parte dei genitori e dei familiari di un "fondo" a suo favore (sostenuto da un'Associazione di supporter), cui chi vuole può aderire, per facilitare ad essi - i genitori - l'assistenza, i viaggi, il supporto.
Secondo la mia modesta opinione, come in tante analoghe vicende, sarebbe più opportuno il silenzio mediatico, lasciando che la giustizia abbia il suo corso.
Un delitto è stato commesso, delle indagini sono state effettuate, i giudici valuteranno ed emetteranno una sentenza.
Le notizie sull'andamento della vicenda giudiziaria andrebbero date con ponderatezza e distacco, senza lasciarsi andare alle seduzioni del processo collaterale celebrato da presunti esperti e frequentatori di sitcom.
Il rischio è quello di ritrovarsi poi con dei "colpevoli" per sentenza giudiziaria che, nel frattempo, sono divenuto personaggi celebrati nei media, pur anche nella loro qualità di eroi negativi e che del loro gesti - in un futuro non troppo lontano - potranno fare fonte di guadagni e di notorietà (libri, film, interviste etc).
E tutto ciò, a pensarci bene, non sarebbe affatto etico.
In ogni modo, bisognerebbe cercare di ridimensionare la non eticità del Moloch dei mass media.

giovedì 8 gennaio 2009

Vacanze sulla neve è bello

Sulla neve è bello...
Sepolti sotto di essa, di meno.
Sono in una nota località sciistica.
La più famosa, forse, perchè ha ospitato pochi anni fa i giochi olimpici invernali.
E' Sestrière con le sue famose torri.
Siamo qui in vacanza con un nutrito gruppo, costituito da genti provenienti da tutte le parti d'Italia. Siamo i soddisfatti ospiti del villaggio Valtur. Tanti, tanti, tanti.
Viviamo in un regime alimentare, che è un po' da caserma, ma attorno a noi c'è lo splendido paesaggio dell'Alta Val di Susa e tantissima neve.
Unico inconveniente, a partire dal secondo giorno, dopo appena un assaggio di sole e di cielo azzurro e di campi di neve scintillanti. è arrivata la temuta perturbazione: ha cominciato a fioccare come dio la manda, per tre giorni.
Visibilità zero, neve a falde, cumuli bianchi che aumentano in altezza a vista d'occhio.
La montagna è infida e mutevole.
All'improvviso, diventa oscura e temibile.
Ma anche così è bello.
Se si dimentica la folla dei vacanzieri, allora si rimane colpiti dal silenzio e dall'ovattamento dei suoni, dalla discrezione di rumori soffici e attutiti, lo scricchiolio dei passi sulla strada ghiacciata. Ogni tanto, si può intravedere un corvo solitario che se ne sta appollaito sui rami più alti degli alberi innevati.
Uscendo dall'albergo per qualche piccola (o grande) sciata sulla neve fresca, ci si rende conto che, in fondo, non fa poi così freddo.
Basta essere rivestiti adeguatamente di indumenti tecnici e si sta bene al caldo...
Solo gli occhiali si appannano un po': ma cosa importa?
L'acqua nel bicchiere messo fuori, sul balconcino della stanza, la mattina s'era trasformata in un blocco compatto di ghiaccio.
La neve sulla balaustra e farinosa e scintillante quando è colpita dai raggi solari.
Anche questa è la magia della montagna...
I meteorologi e la gente del posto sostengono che, dopo l'abbuffata di neve, tornerà il buon tempo e che cieli sereni si dischiuderanno sulle nostre teste...
Staremo a vedere, ma il vento e la neve che fiocca fuori dalle finestre creano un'impagabile magia.

domenica 4 gennaio 2009

La piaga della violenza oggi: la forza dei "lupi", il silenzio (e l'oblio) per gli innocenti


Questo evento ha suscitato in me una forte emozione e lo voglio commentare
Il fatto è avvenuto il 29 dicembre dell'anno appena trascorso.
Questa, in sintesi, la notizia
Pesta involontariamente il piede a uno sconosciuto mentre balla in discoteca e, per tutta risposta, viene aggredito, picchiato e ridotto in fin di vita. Vittima del pestaggio, avvenuto a Gela, è un giovane di 25 anni, Saverio D., che ora si trova ricoverato nella divisione di Neurochirurgia dell'ospedale Garibaldi di Catania in coma farmacologico. Il primo diverbio - continua la notizia -era avvenuto all'interno del locale, il 'Tanguera', ma la lite era stata sedata dal personale di vigilanza. Fuori, però, si sono radunati presto gli amici del ventenne che stava litigando con la vittima: quando il 'branco' è stato al completo, è iniziato il pestaggio. La vittima è stata lasciata a terra esanime. Al pronto soccorso dell'ospedale di Gela gli hanno riscontrato trauma cranico, contusioni, escoriazioni e diverse fratture. Il paziente è poi stato trasferito al Garibaldi di Catania. Sull'episodio stanno indagando i carabinieri

Volendo ricercare in internet questa notizia, ho messo nel motore di di ricerca, tra le altre parole, la frase "ammazzato di botte".
Sorprendente per me constatare quanti link il motore di ricerca ha subito spiattellato: un paio di migliaia.
E' un dato che fa riflettere: la violenza è sempre più frequente, dovunque. Non solo nei contesti "istituzionali" (guerre più o meno locali), ma come fatto capillare e diffuso nella vita di tutti i giorni e nei contesti più quotidiani.
Alcuni dicono, minimizzando: la violenza c'è sempre stata, solo che prima non aveva una così rapida e capillare visibilità, come ai tempi di internet e dei mezzi di comunicazione di massa.
Forse, è così.
E' certo che l'Uomo sia intrinsecamente violento e aggressivo - unico tra gli animali - contro i rapppesentanti del proprio stesso genere (secoli, se non millenni, di guerre ce lo dimostrano). Il detto "Homo homini lupus", di tale assunto (la vita come perenne condizione di attacco che ha come suo contraltare la fuga), è un'ottima sintesi.
Quel che è certo è che scorrendo anche soltanto alcune delle molteplici notizie reperibili su internet con "ammazzato di botte" viene fuori che l'esercizio della violenza il più delle volte nasce da motivi futili e banali, o che, in alcuni casi, è addirittura gratuito con motivazioni il più delle volte pretestuose.
Ricordiamoci del sempreverde apologo di Fedro sul lupo e l'agnello...
Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, si ritrovarono a bere nello stesso ruscello. Il lupo era più a monte, mentre l'agnello beveva a una certa distanza, verso valle. La fame però spinse il lupo ad attaccar briga e allora disse: "Perché osi intorbidarmi l'acqua?"
L'agnello tremando rispose: "Come posso fare questo se l'acqua scorre da te a me?"
"E' vero, ma tu sei mesi fa mi hai insultato con brutte parole".
"Impossibile, sei mesi fa non ero ancora nato".
"Allora" riprese il lupo "fu certamente tuo padre a rivolgermi tutte quelle villanie". Quindi saltò addosso all'agnello e se lo mangiò.
Questo racconto è rivolto a tutti coloro che opprimono i giusti nascondendosi dietro falsi pretesti.

Mai questo apologo fu più attuale.
La sua versione più moderna è forse quella in cui vi è una continua interscambiabilità dei ruoli.
Il lupo si fa agnello e gli agnelli, in funzione delle circostanze, si fanno lupi.
Le vittime delle violenza si fanno a loro volta lupi.
"Il gregge alza la testa" era titolato un inquietante apologo fantascientico degli anni '70 che ipotizzava che tutti gli animali addomesticati diventavano improvvisamente aggressivi nei confronti dell'uomo. Forse una rivalsa, dopo millenni di vessazioni?
La cosa che più preoccupa, senza volermi tuttavia addentrare in analisi sociologiche complesse, è spesso l'assenza di motivazioni e la mancanza (o la scarsa incidenza) di freni inibitori.
Prima, c'era forse - a fare da freno - la certezza della pena che poteva essere quella terrena o, peggio, ultraterrena.
La lezione scaturente da un'assiduità di lettura e di meditazione dei testi della Bibbia e del Vangelo aveva sicuramente il suo peso.
A far da filtro preliminare, al repentino passaggio all'azione aggressiva e/o destruente, c'erano una serie di dispositivi morali scaturenti da un superiore apparato etico che governava le vite di tutti gli uomini.
E' come se, oggi, il dilagare della violenza spicciola (il fertile terreno su cui alligna quella ben più grande sino alla scala planetaria) sia il frutto di uno sfilacciamento sempre più accentuato del necessario rigore morale (si badi, non rigidità) che dovrebbe governare i rapporti sociali e il modo di porsi dell'individuo nei confronti dell'Altro da sé.
A questa deriva, si aggiunge l'effetto deleterio dell'amplificazione mediatica.
Si veda per esempio il seguente abbinamento di eventi cui i notiziari televisivi hanno dato molto risalto nei commenti sugli "incidenti" di Capodanno.
Attorno a mezzanotte, proprio al culmine dell'imperversare di botti e scoppi, un giovane si affaccia al balcone di casa e viene colpito da un proiettile vagante esploso poco prima da mani ignote.
Nello stesso notiziario, tre "scapestrati" vengono intercettati dalla troupe televisiva di quell'emittente nelle vie della stessa città.
Il volto dei tre è oscurato per garantire la privacy.
I tre vengono intervistati.
Sono in preda ad una palese eccitazione e si esprimono con poche parole rotte e concitate.
Improvvisamente, uno dei tre tira fuori una pistola, esibendola, ed esplode, in rapida sequenza, tre colpi.
PUM! PUM! PUM!
I tre girano le spalle e corrono via.
L'intervistatore sobbalza.
Ma commenta, comunque: "Era un colpo di pistola... per festeggiare!".
Dal punto di vista giornalistico lo si potrebbe considerare un piccolo scoop.
Tuttavia, commento sciocco quello del giornalista in campo, anche perché accompagnato da un sorriso che, per quanto d'imbarazzo, ai più, potrebbe sembrare compiacente e di complicità su un'azione che - come viene lasciato trapelare - è soltanto una bravata...
E, poi, qualcuno fuori campo commenta: "Certo, non sappiamo se la pistola fosse caricata a salve...".
E se l'incontro apparentemente casuale con i tre giovani non fosse stato tutta una montatura per creare la "notizia"?
Legittima domanda!
Certo è che del povero cristo, morto in un modo tanto stupido nella notte di Capodanno, presto non se ne ricorderà più nessuno: sarà per sempre un perdente.
Anzi, molti - anzichè mettere in moto la pietas e l'empatia - potrebbero alimentare pensieri del tipo:
Lui: un povero fesso, un imprudente, un temerario...
Perchè mai è andato là fuori?
Ha avuto quel che si meritava...

La sua imprudenza è stata ripagata...
Rimarrà anonimo tra tanti altri come lui vittima di soprusi.
Invece, dei tre armati di pistola, pronti a mostrarla in un vano e protervo esibizionismo rimarrà traccia, eccome: sia negli innumerevoli blob (o trasmissioni simili) sia in youtube dove il piccolo stralcio video sarà presto caricato da qualche buon "samaritano" e reso visibile per sempre.
La notizia del pestaggio da cui parte il presente commento e quella sui tre giovinastri che sparacchiano hanno un comune denominatore: ai pestatori e ai tre con pistola viene data una "potente" visibilità mediatica che, anziché disincentivare dalla pratica della violenza (pestare e sparare sono in fondo la stessa cosa), funge da rinforzo, funzionando come volano propulsore sia per i protagonisti degli eventi oggetto delle notizie, sia per altri potenziali imitatori.
Se l'etica del giornalismo prevede la massima libertà dell'informazione e la circolazione delle notizie senza censure, andrebbe detto che in alcuni casi una così grande visibilità accordata a certi eventi si trasforma in un perverso dispositivo di amplificazione di fatti che, pur presentati con l'etichetta della riprovazione e "condannati" a parole, in realtà sono oggetto d'una comunicazione che, essendo sempre ambigua (si dà sempre risalto al fatto violento perchè porta audience), può ricevere molteplici chiavi di lettura.
E' chiaro che chi è incline ai comportamenti violenti seleziona quella decodificazione dell'evento che sia maggiormente idonea a fornirgli una conferma del proprio sistema di riferimento.
Essere in televisione e sulle pagine dei giornali, sia pure come eroi "negativi" è una grande vittoria: è quellla che possono celebrare la ventina di componenti del branco di pestatori di Gela o i tre giovani con la pistola dei vicoli di Napoli.
A loro la perpetua visibilità mediatica, mentre alle vittime restano solo il "silenzio degli innocenti" e l'oblio.
Se questa è giustizia...
Soprattutto, guardando a simili eventi, sul versante del loro impatto educativo, c'è da chiedersi se questa è una maniera di diffondere notizie "etica"...

venerdì 2 gennaio 2009

"Fallo il primo dell'anno e lo farai tutto l'anno"


Ieri era il primo dell'anno.
Nel primo giorno dell'anno, si dice, si fanno delle cose che poi si vorrebbe poter fare per tutto l'anno.
"Se lo fai il primo dell'anno, lo farai per tutto l'anno"
Sarà vero? Sarà falso?
Non so.
Per la prima volta dopo molto tempo (mesi e mesi di inattività podistica, a causa d'una fastidiosa fascite plantare) ho corso su un tapis roulant.
Ho fatto un'abbondante mezzora (prima camminando e poi correndo) e poi un bel defaticamento con ginnastica e pesetti.
Alla fine, la mia canottiera si poteva strizzare tanto era intrisa di sudore.
La prova è stata positiva: sul tapis roulant l'appoggio è morbido e ammortizzato. Quando ho terminato,il piede non era molto più dolente di quando avevo iniziato (di base, c'è sempre quel fastidioso dolorino; non parliamo, poi, di quando scendo dal letto al mattino e poggio per la prima volta il piede a terra!).
C'è da sperare bene e i propositi sono buoni: continuare, ogni giorno con regolarità sul tapis roulant, e rimettermi su.
Anche se pensare di correre una maratona o un'ultra è, al momento, una faccenda davvero fantascientifica.
Mi sono attestato su ritmi di vita più comodi e rilassanti, senza troppe fatiche o sacrifici troppo grandi.
Ho trovato molteplici gratificazioni in altri campi d'attività.
Mi sono "riciclato", per così dire: e non ne sono per nulla dispiaciuto.
Non mi "sono messo a lutto", come farebbero o hanno fatto molti di mia conoscenza in analoghe circostanze, anche se la propria "morte" podistica è una cosa ben difficile da sopportare, erchè nel giro di poco tempo tutto quello che si è costruito, in termini di allenamento, si dissolve, dando lidea perfetta della precarietà e dell'evanescenza.
In verità, sono felice e pimpante.
Il nuovo anno è cominciato bene, perchè - oltre alle meravigliose cose che ho costruito in questi mesi - ho anche potuto ri-sperimentarmi in una corsa soddisfacente, per quanto casalinga e domestica, sul tapis roulant.
Vedremo cosa porterà il nuovo anno: ho la certezza, tuttavia, che anche se non posso correre una maratona appresso all'altra (e, in efetti, non ho più voglia di farlo), ho tutte le cose che mi possono rendere felice.
Forse, l'era delle maratone "spasmodiche" (l'era delle "abbuffate" podistiche) è passata e ritornerò, se potrò farlo, ad un modo più quieto di correre, avendo sempre la piena consapevolezza che la prima regola cui uniformarsi sarà per me quella di saper gioire delle piccole e grandi cose della vita.

"Dio, dammi ila serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso cambiare e, sempre, la saggezza per poter vedere la differenza"
 
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