giovedì 22 luglio 2010

Acqua e zammù. Paese che vai usanza che trovi...


Un tempo, a Palermo, gli acquaioli che andavano in giro per la città e i chioschi sparsi nelle vie del centro vendevano acqua e "zammù", cioè acqua addizionata con poche gocce di distillato di semi di anice (un po' simile al Pernod, ma utilizzato in concentrazioni di gran lunga inferiori).
Dalle mie parti un tempo (e penso un po' dovunque), per dissetarsi si beveva spesso della semplice acqua e, là dove - nei luoghi preposti - si serviva l'acqua (magari con un surplus di servizio, per esempio, nella variante estiva dell'acqua "gelata" - era sempre disponibile la classica bottiglietta di "Anice Tutone" ("Sin dal 1831") dalla quale spandere qualche goccia d'un un liquido trasparente dall'odore fortemente speziato che appena arrivava a contatto con l'acqua diveniva lattiginoso, conferendo alla limpidezza dell'acqua una leggera ombreggiatura biancastra.

L'acqua e"zammù" è fortemente dissetante...
Alcuni, a casa propria, conservano l'usanza di metterne un po' nella bottiglia dell'acqua tenuta in frigorifero, ma l'uso pubblico dell'acqua e zammù si è fortemente ridimensionato a favore di vini, birre, superalcoolici:
almeno per quanto concerne tale utilizzo, si tratta di un'abitudine dimenticata consegnata al buon tempo antico.
Ricordo che il mio nonno paterno, così come mio padre erano ghiotti di acqua e zammù.

Non mancava mai la bottiglietta di Anice Tutone e anch'io, memore delle abitudini familiari, ancora oggi - a casa mia - me ne tengo fornito.

Qualche giorno fa, trovandomi in Abruzzo, entrai in un bar del piccolo borgo di Castel del Monte per prendere un caffè e chiesi, come di consuetudine, anche un bicchier d'acqua.
Vidi sul bancone del bar una boccetta dalla strana foggia e chiesi: "Cos'è questa?"
"Anice" - rispose il gestore del bar.

Ed io, pieno di entusiasmo: "Ma guarda un po', anche dalle mie parti si usa l'anice!"

E, così dicendo, ne aspersi diverse gocce nel bicchiere d'acqua che mi accingevo a bere, intorbidandolo.
Vidi che il barista ed altri avventori mi guardavano strano, come se avessi fatto un'azione inconsueta o bizzara.
"Che c'è?" - dissi - "Qualcosa non va?"
"Ma, veramente noi... mettiamo l'anice nel caffé..."
Chiarito, dunque l'equivoco...
E' strano il fatto secondo cui noi trovandoci di fronte ad una stessa cosa siamo portati immediatamente ad applicare un nostro schema mentale che ne cataloga immediatamente modalità d'uso e consuetudini correlate (sulla base del principio Tutto il mondo è paese").
Mentre, invece, non tutto è necessariamente così scontato.
Come è vero il detto: "Paese che vai, usanze che trovi"!
Trovo che quest'episodio sia particolarmente bello. Innanzitutto, perchè mi ha consentito di ricordare la bella tradizione dell'acqua e zammù nostrana, ma soprattutto perchè mi ha messo di fronte al fatto che la "diversità" culturale è, fortunatamente, una pianta difficile da estirpare e che, malgrado i mille tentativi di omologare, appiattire, uniformare propri della (in)civiltà dei consumi contemporanea, le piccole tradizioni locali persistono immutate.

1 commento:

  1. Da noi c’è la famosa moretta fanese (originaria dai marinai fanesi) che sarebbe una miscela di anice, rum e brandy di solito in parti uguali. Il tutto va scaldato con zucchero (che va fatto sciogliere) e una scorzetta di limone. Poi si aggiunge il caffè espresso ben caldo, facendolo scendere delicatamente in modo da non mescolarlo con il liquore.
    E’ quasi un’opera d’arte in quanto viene servita in piccoli bicchieri trasparenti di forma semplice, in modo da consentire di vedere i tipici tre strati: schiumetta, caffè, liquore.
    Prima di berlo si può mescolare e vedrai che l’effetto è immediato, rinvigorisce !!!!

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