mercoledì 9 giugno 2010

Un elogio dell'illegalità


Palermo.
Via Sciuti.
Una caldo giornata di inizio giugno, mattino.
Si prospetta il seguente teatrino.
Il passante del momento può notare un autobus fermo persistentemente nella sua corsia preferenziale.
Ci si avvicina incuriositi.
Ci si chiede, con un filo di preoccupazione, se non sia accaduto un incidente e se non ci si debba trovare davanti al truce spettacolo di un passante o di un aspirante suicida stritolato sotto le ruote del pesante mezzo.
Si continua a procedere, avvicinandosi al piccolo scenario.
E ci si rende conto che non è accaduto niente di truculento...: con sollievo dei cittadini timorati e con delusione di quelli un po' perversi che amano essere spettatori da prima fila degli spargimenti di sangue.
Cosa succede allora?
Niente.
Semplice ed ordinaria amministrazione, piuttosto.
Ma sarà poi così?


Due auto di scorta ("autoblu") sono comodamente posteggiate nella corsia preferenziale, quella riservata ai bus e ai taxi, con la tracotanza del potere che ritiene che tutto sia lecito.
Il trasportato "illustre" (o "onorevole"?) ha dovuto fare una sosta per dare corso a qualche sua estemporanea necessità: o una visita alla farmacia o un passaggio dal barbiere per farsi barba e capelli oppure, più leziosamente, dal fiorista per inviare un omaggio floreale alla moglie o, perchè no?, all'amante.
L'autista del bus, trovando la sua corsia ostruita, deve avere avuto un moto di ribellione di fronte al sopruso e, con determinazione, desiderando evidentemente il rispetto della legalità, si è imposto di non fare nessuna manovra al di fuori di ciò che è previsto che faccia.
Con molta semplicità, vuole proseguire sulla sua corsia preferenziale.
Ha optato di non essere condiscendente e colluso e di richiedere con fermezza l'applicazione delle regole.
Con molta evidenza, s'è innescato un braccio di ferro tra il guidatore del bus e la scorta.
Tutti gli uomini della scorta fanno capanello sul marciapiedi e confabulano tra loro.
All'improvviso, se ne distaccano i due autisti che, a muso lungo, salgono sulle rispettive auto e cominciano con evidente malavoglia ad accendere il motore e fare le manovre necessarie.
Gli altri rimangono immobili a contemplare il loro operat, confabulando tra loro.
Gli sguardi che lanciano ai "colleghi" sono di disapprovazione.
Uno replica al discorso di uno degli altri: "Nemmeno io lo avrei fatto!", intendendo dire che il consenso unanime tra tutti loro rimasti in piedi sul marciapedi sarebbe stato quello di non spostare le auto e lasciare che l'autista dell'autobus si arrangiasse.
"Vada a farsi fottere" - l'implicito pensiero - "Che cosa pretende da noi?"
Dietro questo discorso in cui i non detti hanno uno spessore maggiore di ciò che è detto, si intravede la tracotanza del potere e l'idea che, se si è al servizio dell'"onorevole" o dell'"illustre" di turno, tutto sia lecito e che ci sia un passaporto di immunità per infrangere normative e divieti a cui i comuni cittadini, invece, devono adeguarsi.
"Noi siamo al di là della Legge" - sembrano dire i "buoni" custodi, rivelando piuttosto l'attitudine della guardia del corpo di un gangster.
L'amara riflessione di questo piccolo episodio è che il potere sia colluso con l'illegalità e che la battaglia per la legalità sia ardua e difficile, dal momento che proprio coloro che dovrebbero esserne i principali sostenitori sono i primi a contravvenire alle norme, partendo dal presupposto che tutto sia a loro permesso.
Al cittadino comune, come è il valoroso guidatore dell'AMAT, rimangono solo due alternative: o piegarsi, facendo la pecora del gregge e diventando così uno dei tanti tasselli che mantemgono in piedi i cerchi concentrici delle collusioni, oppure ribellarsi.
La via della ribellione, tuttavia, è dura e faticosa poichè implica il confronto con i rappresentanti della legalità sempre più tracotanti e sempre più simili ai "bravi" di manzoniana memoria.

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