giovedì 12 giugno 2008

Le meraviglie del "pani cunzatu" di Scopello

Ci sono delle tradizioni decisamente dure a morire (per fortuna).
L'altro giorno a Scopello ho fatto sosta in un angolo senza tempo nel quale amo immergermi di quando in quando, in corrispondenza del fondo d’una piccola stradella a cul de sac che s’imbocca poco oltre la suggestiva piazzetta del Baglio.
All'angolo, un'insegna di legno ossidato dalle intemperie, con i caratteri incisi a fuoco promette "Pane cunzatu". In fondo alla strada la cui suggestione è accresciuta dal selciato di rotondi sassi di spiaggia, si apre l'ingresso di un forno (ammodernato con tutti i crismi, a dire il vero) dove si può degustare – con l’esborso di una cifra davvero modesta (anche nel confronto con ciò che si deve spendere per mangiare scadenti panini di plastica) - un prelibato pani cunzatu, il cui gusto - nel corso degli anni - non è mai cambiato.
I "nostalgici" dei buoni sapori del tempo che fu possono essere certi che andando a far visita a questo antico forno di quando in quando potranno sperimentare ogni volta (anche a distanza di anni) stessa fragranza, identiche sensazioni gustative ed olfattive, Ovviamente è anche l'atmosfera a creare questo risultato così peculiare.
Un angolo fuori dal tempo, dicevo.
Davanti alla rustica bottega si apre una patio delimitato da un muro basso che delimitata questo spazio interno dai giardini circostanti e dall’infinito del cielo soprastante. Tale spazio è ingentilito da una rustica panchina di pietre a vivo che gli gira tutt'attorno (la magie delle panchine, dove si può sedere a”perdere tempo”, dunque a guadagnar tempo!!!) e ombreggiato da begli alberi da frutta (un paio di piedi di fico, un fronzuto albicocco e, forse, anche un gelso.
Rustici tavoli sono collocati ai piedi degli alberi.
Non c'è nessuna concessione alla modernità, se non nella plastica di tavoli e le sedie, peraltro rustici ed essenziali.
Un gruppo di "paesani” se ne sta seduto al centro della zona d'ombra più densa, chiacchierando fitto e raccontando delle storie riguardanti persone non presenti e, come è usanza, la storia viene narrata nei minimi dettagli - un bel lavoro di taglio e cucito con la rava e con la fava - con un intercalare di esposizione molto concreta di fatti minuti, di giudizi e valutazioni.
È appunto una narrazione senza tempo, fatta da chi non ha fretta di bruciare il tempo che ha a disposizione. I "paesani" devono essere amici del gestore del forno: dai resti posti al centro del tavolo è evidente che hanno appena finito di fare un'abbondante colazione (accanto ad una caffettiera Moka ci sono ancora alcune brioche parzialmente smangiucchiate e dei frutti di stagione).
È in quest'attmosfera che mi viene servito il pane cunzatu: il suo sapore è arricchito da questo contorno ambientale e dalla netta percezione che, sedendomi a questo tavolo, sono entrato in una dimensione di tempo "lento", a differenza di quanto avviene a meno di 100 metri in linea d'aria nella piazzetta del baglio, dove oggi - come espressione della modernità incalzante - ci sono diversi bar e luoghi di ristori chiassosi (dove pure servono il pane cunzatu, che però non è la stessa cosa di quello dell'antico forno).
Ma che cos’è questo pane di cunzatu di Scopello! Una perfetta combinazione di sapori, odori, fragranza e qualità del pane sia nel crocchiare della crosta sotto i denti sia nella morbidezza compatta della mollica!
Il piacere di degustarlo si fa ancora maggiore se lo si accompagna con un buon vinello rustico rigorosamente servito in caraffa, oppure con una "vastasissima" birra ben ghiacciata.

"Pani cunzatu" altro non significa che "pane condito" ed è un desinare "povero": per questo motivo a volte - in alcuni contesti - viene indicato anche come "pane alla disgraziata" o “pane della disgrazia”. In altri termini - così come il classico pane e panelle - è una di quelle formule dietetiche in cui, in assenza d’un companatico ricco di nutrienti nobili (proteine) si arrichisce il pane di sapori, di sollecitazioni olfattive con l'aggiunta di condimenti di poco costo. L'estremo, in tempi di penuria, era quello di comprare un pezzo di sarda per strofinarlo sul pane, prima di mangiarlo dopo averlo riscaldato, in modo da potere sentire quantomeno l'odore ed il sapore della sarda salata, anche se la sarda se ne rimaneva per così dire "a mare". Da questa usanza derivò l'espressione felice e pittoresca "leccare la sarda" o "far leccare la sarda" detta – quest’ultima di persone che, pur avendo i mezzi per essere un po' più generose, tengono i propri simili a stecchetto, imponendogli metaforicamente di mangiare il pane con il sapore di sarda.
Tornando al pani cunzato, va detto che, pur essendo tipico della Sicilia, con il variare delle zone geografiche presenta differenze sia nella forma (e nel gusto) del pane utilizzato, sia nel condimento, sino a moderne interpretazione che fanno a ricorso a “farciture” che sobrie non sono e sono decisamente all’opposto di ciò che sipuò definire come cibo “povero”.
Questi sono gli ingredienti di base del pane cunzatu più tradizionale, comuni alle varie zone: pane caldo preferibilmente casereccio (cotto a legna), olio extravergine di oliva, pomodorini freschi (o, in alternativa, secchi), pecorino o provola, origano.
Ai condimenti di base si aggiungono, a seconda dei contesti, olive nere, acciughe, sale, pepe e peperoncino. Le acciughe (o sardine sott'olio) vengono utilizzate in combinazione con il pecorino o come alternativa ad esso.
Come per tutte le ricette “povere”, nel pane cunzatu il risultato finale è direttamente proporzionato alla genuinità e freschezza degli ingredienti. E, in ogni caso, quello fatto a casa propria non potrà mai realizzare quell'unica combinazione di sapori ed odori che ha quello originale: ogni volta che tenteremo di farcelo da noi, non sarà mai esattamente quello che ricordiamo e quindi rimarremo in parte delusi.
In Sicilia, la tradizione del pane cunzatu è tuttora molto viva e ci sono numerose sagre dedicate proprio a questo mangiare povero tra le quali ricordiamo quella che ha luogo a Santa Ninfa (TP), in occasione della festa della Santa patrona, ricorrente il 10 novembre.
Oppure, quella di Selinunte, a ridosso del parco archeologico più grande d’Europa (Castelvetrano, in provincia di Trapani) che, in genere, si svolge a settembre nell'arco di tre giorni consecutivi. Qui in particolare, i pescatori della cooperativa “Selinunte Pesca” e i panificatori di Marinella di Selinunte, nel 2006, hanno stabilito un record da Guinness dei primati, predisponendo 1000 metri di "pani cunzatu", mentre nel 2007, in occasione della quarta edizione della sagra hanno “migliorato” il record precedente, realizzando 1.050 metri di pane, condito con sardine, pomodoro, olio e origano. In questa circostanza, location della kermesse è stata lo scalo di Bruca (u scaru), il piccolo porto della borgata e le vie Marco Polo, Pigafetta, che arriva sino a ridosso del parco archeologico. Il lungo pane è stato sistemato su un traliccio di legno, ad altezza d’uomo.

1 commento:

  1. Questa descrizione straordinaria, mi ha fatto sentire il profumo, ed il sapore di questo ottimo "pani cunzatu", oltre a farmi rivivere l'atmosfera di un posto pittoresco come Scopello !
    Benny Schiavo

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