venerdì 26 dicembre 2008

The way we were: il Natale come momento d'elezione per uno sguardo nostalgico al passato


Natale e Santo Stefano possono anche essere i momenti in cui si aprono i cassetti dei ricordi e si guardano antiche foto di famiglia. Quelle magari di quaranta o cinquant'anni fa, quando c'erano ancora nonni e vecchie prozie, rigorosamente in gramaglie.
S'attiva una contemplazione dal forte sapore di nostalgia che ti invade il cuore d'un filo sottile di melanconia.
Alcuni sorridono da quelle foto: guardando il loro volto, si comprende che ancora, mentre fissavano il fotografo, non c'era nube che ne oscurasse lo sguardo, perchè non potevano vedere nel proprio futuro.
Noi, soggetti di quelle foto, vivevamo pienamente il momento presente che - malgrado le inevitabili ombre - era bello e soddisfacente.
Negli anni della mia infanzia, si viveva bene con poco, anche se gli stipendi dei nostri genitori non erano granché. Avevamo la nostra macchinetta e spesso facevamo le gite domenicali a Piano Zucchi e sulle Madonie, ma anche altrove.
Sino ai 12-13 anni,d'estate,facevo un viaggio di 15 giorni con mia madre, mentre mio padre e mio fratello rimanevano a casa. Poi, partiva mio padre per i suoi giri spesso connessi con le sue attvità giornalistiche, mentre noi stavamo a casa, andando ogni giorno al mare, perchè avevamo la "classica" capanna a Mondello.
Più tardi, arrivava il tempo degli esami di riparazione; mia madre tornava alla sua scuola ed io spesso la accompagnavo, portando con me giochi e letture (allora: solo e rigorosamente Salgàri e Verne). A Natale e a Pasqua formavamo grandi gruppi familiari e ci davamo a festosi banchetti che si prolungavano con interminabili riunioni in cui si alternavano giochi e conversazioni.
Nel 1961, da un suo viaggio di lavoro in Germania ovest mio padre portò una macchina fotografica (una Zeiss reflex, 24 X 36mm, la prima "seria" che ebbi tra le mani: da allora, facevamo foto in tutte le circostanze, foto di documentazione, senza alcuna pretesa, che qualche volta venivano involontariamente buffe.
Ecco là mio padre che mangia dell'uva, serissimo come sempre con il volto austero ma con le guance deformate dal chicco che sta appena iniziando a masticare. E in quell'altra: io, in abiti da neve, come si usavano a quel tempo, e sembro il reduce da una catastrofe (di lì a poco accadeva il terribile terremoto del Belice). Ecco mio fratelo che con la testa fa capolino dal finestrino del passeggero della vecchia Millecento FIAT: sorride e ha il volto disteso, non ancora appesantito dagli anni.
Io che scio, io che con il mio amico Augusto mi accingo ad una discesa in slittino.
Ci sono anche i miei cugini, compreso il piccolo Gabriele che ora non c'è più.
Io sorrido spesso, e lo faccio soprattutto negli anni dell'adolescenza, mentre prima nell'infanzia avevo sempre con un'espressione cupa e buia.


Non sono solo io a sorridere, sorridiamo tutti.
A volte, ridiamo.
I volti sono distesi.
A volte, siamo davvero buffi.
Ancora non se ne era andato nessuno, anche i nonni c'erano tutti (quasi).
Non dico che non ci fossero i problemi: c'erano eccome! Ciascuno aveva i suoi. Eppure quando eravamo assieme ci ritrovavamo allegri e sorridenti.
Niente faccie da lupucuvio.
Poi, le cose sono cambiate.
Sono venute le morti, alcune improvise. Altre, invece, come parte ineludibile del copione della vita.
Le disgrazie hanno creato grandi avvicinamenti, ma poi repentini - e, a volte,
inspiegabili cambiamenti.
Dal nulla sono nati grandi rancori fluttuanti.
Le comitive familiari si sono disgregate.
Alcuni, nel volto, si sono intristiti, appesantiti, incupiti.
Forse perchè il peso del Male che accadeva era troppo da sopportare.
Forse perchè, per alcuni, man mano che si andava avanti, la forza della speranza s'attenuava.
Certo è che in quel periodo era come se tutte le cose belle dovessero ancora accadere ed erano,lì, proprio dentro l'angolo.
C'erano freschezza e slancio.
Tutto appariva roseo e ciascuno di noi aspettava il suo Godot.
Poi, ancora, sono arrivate le disillusioni, i disinvestimenti,la perdita della capacità di giocare e del gioire afinalistico nascente dall'oscura intuizione che, comunque sia, "La vita è bella", la riduzione significativa dello spazio del sogno, l'invasione della mente di seriosità "professionale", irrigidimenti, corazze varie.
Fa bene dunque vedere quello foto fresche e spontanee quando la vita era per tutti un coacervo di potenzialità e, per alcuni, i più giovani di noi, ancora tutta da da vivere...
Come eravamo...!
Mi stupisco nel vedere i nostri volti acerbi di allora.
A volte, poi, succede che il processo della vita non è solo un "levare" e un "perdere" che lasciano soltanto una statua sofferente e scavata, ma accade che improvvisamente si ricominci a "mettere" e a "riempire", come accade nella pittura: allora, la tavolozza della vita si riempie di colori e cromatismi, facendosi piena e rutilante.
Quando questo miracolo accade (solo poche volte, in verità), si torna a sorridere, proprio come in quelle foto, quando ciascuno aveva la certezza - non ancora intaccata - che la vita gli avrebbe dispensato grandi doni.

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