Piccole feste, riunioni di paese: si sta seduti tutti assieme in una sera d’estate calda, l’aria immobile, una lunga attesa prima che arrivino le portate – il pasto è eguale per tutti – e, intanto, la musica governata da un DJ va avanti a tutto volume con l’immancabile corredo di luci stroboscopiche.
Della quarantina di persone presenti molti se ne stanno seduti ai tavoli a conversare, mentre pochi si lanciano in danze improvvisate.
Queste riunioni sociali, soprattutto quando vanno le note dei più celebri “lisci”, ma in versione techno, lasciano un’impressione di grande malinconia, facilitando– associativamente - la rievocazione di tempi andati che, per pochi istanti, ritornano a vivere nella nostra era di identità fluide in cui ciò che conta è l’apparire piuttosto che l’essere.
Sono momenti di sano divertimento in cui ciascuno fa che vuole.
Due dei danzatori sembrano spuntati da una realtà manicomiale e ci danno sotto con le evoluzioni ballerine che appaiono un po’ goffe e stralunate, mentre un ragazzetto li perseguita con la macchina fotografica digitale per cogliere i momenti più significativi dei loro balli e poi, inevitabilmente, si scatenano gustosi teatrini in cui la signora con l’abito a fiori su sfondo blu reiteraratamente insegue il molestatore per dissuaderlo dallo scattare altre foto (e queste sono autentiche scene da comica finale).
Si sta assieme, si chiacchiera, ed intanto si consumano i riti segreti d’una società prevalentemente di paese con le sue regole, le sue alleanze e le sue piccole esibizioni di potere.
Eppure, ciò nonostante, la sensazione che se ne trae è quella di un buon tempo antico e fermo in cui consuetudini antiche si ripetono immutate.
Della quarantina di persone presenti molti se ne stanno seduti ai tavoli a conversare, mentre pochi si lanciano in danze improvvisate.
Queste riunioni sociali, soprattutto quando vanno le note dei più celebri “lisci”, ma in versione techno, lasciano un’impressione di grande malinconia, facilitando– associativamente - la rievocazione di tempi andati che, per pochi istanti, ritornano a vivere nella nostra era di identità fluide in cui ciò che conta è l’apparire piuttosto che l’essere.
Sono momenti di sano divertimento in cui ciascuno fa che vuole.
Due dei danzatori sembrano spuntati da una realtà manicomiale e ci danno sotto con le evoluzioni ballerine che appaiono un po’ goffe e stralunate, mentre un ragazzetto li perseguita con la macchina fotografica digitale per cogliere i momenti più significativi dei loro balli e poi, inevitabilmente, si scatenano gustosi teatrini in cui la signora con l’abito a fiori su sfondo blu reiteraratamente insegue il molestatore per dissuaderlo dallo scattare altre foto (e queste sono autentiche scene da comica finale).
Si sta assieme, si chiacchiera, ed intanto si consumano i riti segreti d’una società prevalentemente di paese con le sue regole, le sue alleanze e le sue piccole esibizioni di potere.
Eppure, ciò nonostante, la sensazione che se ne trae è quella di un buon tempo antico e fermo in cui consuetudini antiche si ripetono immutate.
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