domenica 28 dicembre 2008

"Caro, ma come respiri?"


Il respiro è l'elemento più vitale della vita organizzata. Dal respiro dipendono gli scambi gassosi con l'ambiente e dal regolare afflusso di ossigeno ai polmoni dipende la buona funzionalità della respirazione cellulare (in cui, si ricorda pleonasticamente, l'ossigeno viene assunto per lo sviluppo di importanti processi e metabolici e CO2 e CO vengono liberati dal'ambiente interno di ogni unità elementare del nostro corpo.
Per questo, sin dai primordi del genere umano, al respiro è stata associata la vitalità, e anche l'anima.
Ciò che ci rende viventi e pensanti, infatti, è il
"soffio vitale".
Il dio creatore ci ha infuso la vita con un soffio e con un "vento", una leggera brezza, si libererà, quando sarà il momento, la nostra anima dalle nostre spoglie mortali (quando si dice:
"esalare l'ultimo respiro", è sotteso proprio questo distacco dell'anima dal corpo).
Il respiro è ritmo, regolarità.
E' talmente connaturato in noi che nemmeno ci accorgiamo di respirare regolarmente.
Le filosofie orientali, per questo stesso motivo, danno ad esso un'estrema importanza, come base per la meditazione e la realizzazione d'una profonda unità nello psicosoma.
La sillaba sacra del Buddismo
"OM" si produce con una lunghissima e controllata espirazione che coinvolge radicalmente tutti i muscoli preposti all'espirazione.
Tante tecniche di rilassamento occidentali, ispirate alle filosofie orientali, insegnano l'arte del respiro come propedeutica ad esercizi più complessi.
Il respiro è anche alla base della voce, della parola e dell'eloquio, ma anche il fondamento della musicalità e di ogni emissione sonora che, poi, si tramuta in "musica".
Ciascuno ha un proprio modo di respirare, fatta salva regolarità e frequenza degli atti respiratori.
Molte malattie si manifestano con alterazione del respiro, che a volte sono patognomoniche di ciò che sta accadendo.
Alcuni fanno lunghe inspirazioni e altrettanto lunghe espirazioni.
Altri respirano con maggiore frequenza e più superficialmente.
Altri respirano con una respirazione articolata in tre tempi: inspirazione-pausa-espirazione che è applicata, per altro, in alune tecniche di rilassamento.
Dire a qualcuno
"Ma come respiri? Guarda è così che devi respirare!!!", significa attentare ad una funzione vitale dell'altro, che, il più delle volte, nemmeno accoglierà la sottesa critica al suo respirare, talmente questa funzione procede in automatico ed in maniera irriflessiva.
L'effetto potrebbe essere traumatico.
Come potrebbe fare a correggersi il malcapitato se non ha consapevolezza del suo respiro e delle sue supposte idiosincrasie?
Certo, non respirare più non è possibile...
Forse, il tizio in questione potrebbe andare più costruttivamente a scuola di solfeggio, oppure da un logopedista, oppure accostarsi ad una scuola di tecniche yoga.
Ma non vi nascondo, ragazzi, che di primo acchito, uno viene preso dal panico...
"Come respiri?"
Oppure:
"Mannaggia, il tuo modo di respirare, mi fa venire l'ansia"
Oppure:
"Sembri un mostro e un maniaco per come respiri..."
E, pensate, all'angoscia del malcapitato di turno...
"Dio mio, cosa c'è che non va in me!!!"

venerdì 26 dicembre 2008

The way we were: il Natale come momento d'elezione per uno sguardo nostalgico al passato


Natale e Santo Stefano possono anche essere i momenti in cui si aprono i cassetti dei ricordi e si guardano antiche foto di famiglia. Quelle magari di quaranta o cinquant'anni fa, quando c'erano ancora nonni e vecchie prozie, rigorosamente in gramaglie.
S'attiva una contemplazione dal forte sapore di nostalgia che ti invade il cuore d'un filo sottile di melanconia.
Alcuni sorridono da quelle foto: guardando il loro volto, si comprende che ancora, mentre fissavano il fotografo, non c'era nube che ne oscurasse lo sguardo, perchè non potevano vedere nel proprio futuro.
Noi, soggetti di quelle foto, vivevamo pienamente il momento presente che - malgrado le inevitabili ombre - era bello e soddisfacente.
Negli anni della mia infanzia, si viveva bene con poco, anche se gli stipendi dei nostri genitori non erano granché. Avevamo la nostra macchinetta e spesso facevamo le gite domenicali a Piano Zucchi e sulle Madonie, ma anche altrove.
Sino ai 12-13 anni,d'estate,facevo un viaggio di 15 giorni con mia madre, mentre mio padre e mio fratello rimanevano a casa. Poi, partiva mio padre per i suoi giri spesso connessi con le sue attvità giornalistiche, mentre noi stavamo a casa, andando ogni giorno al mare, perchè avevamo la "classica" capanna a Mondello.
Più tardi, arrivava il tempo degli esami di riparazione; mia madre tornava alla sua scuola ed io spesso la accompagnavo, portando con me giochi e letture (allora: solo e rigorosamente Salgàri e Verne). A Natale e a Pasqua formavamo grandi gruppi familiari e ci davamo a festosi banchetti che si prolungavano con interminabili riunioni in cui si alternavano giochi e conversazioni.
Nel 1961, da un suo viaggio di lavoro in Germania ovest mio padre portò una macchina fotografica (una Zeiss reflex, 24 X 36mm, la prima "seria" che ebbi tra le mani: da allora, facevamo foto in tutte le circostanze, foto di documentazione, senza alcuna pretesa, che qualche volta venivano involontariamente buffe.
Ecco là mio padre che mangia dell'uva, serissimo come sempre con il volto austero ma con le guance deformate dal chicco che sta appena iniziando a masticare. E in quell'altra: io, in abiti da neve, come si usavano a quel tempo, e sembro il reduce da una catastrofe (di lì a poco accadeva il terribile terremoto del Belice). Ecco mio fratelo che con la testa fa capolino dal finestrino del passeggero della vecchia Millecento FIAT: sorride e ha il volto disteso, non ancora appesantito dagli anni.
Io che scio, io che con il mio amico Augusto mi accingo ad una discesa in slittino.
Ci sono anche i miei cugini, compreso il piccolo Gabriele che ora non c'è più.
Io sorrido spesso, e lo faccio soprattutto negli anni dell'adolescenza, mentre prima nell'infanzia avevo sempre con un'espressione cupa e buia.


Non sono solo io a sorridere, sorridiamo tutti.
A volte, ridiamo.
I volti sono distesi.
A volte, siamo davvero buffi.
Ancora non se ne era andato nessuno, anche i nonni c'erano tutti (quasi).
Non dico che non ci fossero i problemi: c'erano eccome! Ciascuno aveva i suoi. Eppure quando eravamo assieme ci ritrovavamo allegri e sorridenti.
Niente faccie da lupucuvio.
Poi, le cose sono cambiate.
Sono venute le morti, alcune improvise. Altre, invece, come parte ineludibile del copione della vita.
Le disgrazie hanno creato grandi avvicinamenti, ma poi repentini - e, a volte,
inspiegabili cambiamenti.
Dal nulla sono nati grandi rancori fluttuanti.
Le comitive familiari si sono disgregate.
Alcuni, nel volto, si sono intristiti, appesantiti, incupiti.
Forse perchè il peso del Male che accadeva era troppo da sopportare.
Forse perchè, per alcuni, man mano che si andava avanti, la forza della speranza s'attenuava.
Certo è che in quel periodo era come se tutte le cose belle dovessero ancora accadere ed erano,lì, proprio dentro l'angolo.
C'erano freschezza e slancio.
Tutto appariva roseo e ciascuno di noi aspettava il suo Godot.
Poi, ancora, sono arrivate le disillusioni, i disinvestimenti,la perdita della capacità di giocare e del gioire afinalistico nascente dall'oscura intuizione che, comunque sia, "La vita è bella", la riduzione significativa dello spazio del sogno, l'invasione della mente di seriosità "professionale", irrigidimenti, corazze varie.
Fa bene dunque vedere quello foto fresche e spontanee quando la vita era per tutti un coacervo di potenzialità e, per alcuni, i più giovani di noi, ancora tutta da da vivere...
Come eravamo...!
Mi stupisco nel vedere i nostri volti acerbi di allora.
A volte, poi, succede che il processo della vita non è solo un "levare" e un "perdere" che lasciano soltanto una statua sofferente e scavata, ma accade che improvvisamente si ricominci a "mettere" e a "riempire", come accade nella pittura: allora, la tavolozza della vita si riempie di colori e cromatismi, facendosi piena e rutilante.
Quando questo miracolo accade (solo poche volte, in verità), si torna a sorridere, proprio come in quelle foto, quando ciascuno aveva la certezza - non ancora intaccata - che la vita gli avrebbe dispensato grandi doni.

domenica 21 dicembre 2008

Il Natale come transito ciclico tra stati diversi della vita


Natale: come ogni anno si avvicina a grandi passi.
Quando ormai la ricorrenza incombe, ti accorgi che non hai fatto nulla per predispoore quei minimi festeggiamenti familiari. Ancora devi acquistare gli ultimi doni e sbrigare faccende che sono rimaste in sospeso.
Nell'attesa del Natale, ci sono due fondamentali diverse attitudini.
Ci sono i previdenti che cominciano a "lavorare" al Natale, annessi e connessi, con molto anticipo e solerzia. Nulla sfugge loro nel corso dei preparativi e tutto è già pronto con molti giorni di anticipo.
Ci sono, invece, gli oziosi che senpre attendono l'ultimo minuto per darsi una smossa.
Non esito ad ammettere di appartenere a questa seconda categoria di individui, così come preparo la valigia la mattina stessa d'una mia partenza con il risultato che, giunto trafelato in aeroporto mi accorgo di avere dimenticato inelluttabilmente qualcosa, più frequentemente le mutande ed altri indispensabili accessori piuttosto che macchina fotografica, libri, PC portatile.
L'essere lenti, poco previdenti o il non essere portati a giocare d'anticipo all'avvicinarsi di importanti scadenze sono tutti tratti distintivi di un attitudine nei confronti della vita, in definitiva.
In realtà, ciò che ci distoglie dal prepararci in anticipo, dal "prevenire" in definitiva, è la paura della ricorrenza in sé (che, nel caso del Natale, possiede alcune delle caratteristiche della partenza o del transito da una condizione umana ad un altra).
Ricorrenze e partenze sono come delle "soglie" che si attraversano, soglie che preludono a trasformazioni esteriori ed interiori.
Non prepararsi in anticipo è un modo per non guardare la soglia che ci aspetta e per non lasciarsi coinvolgere nel cambiamento (per quanto piccolo) che ci troveremo ad affrontare.
Anche il Natale, che pure propone una tradizione ricorrente in maniera costante (con eguale divisione tra presepe, albero di natale, scambio rituale di doni e potlach vari) prelude al transito dall'anno vecchio a quello nuovo e, quindi, al rinnovarsi della vita, dopo la lunga notte dell'inverno.
Bisogna anche pensare, infatti, che ben prima del Natale cristiano questa festività corrispondeva al Solstizio d'Inverno, cioè al giorno con il maggiore numero di ore di buio dell'anno e che l'uomo antico (preistorico) soleva evocare in tale circostanza, in modi apotropaici, il ritorno della luce e, dunque, anche della vita, dopo il freddo e l'assenza di vita dell'inverno.
Quindi il Natale rappresenta la fine di un ciclo e l'approssimarsi dell'inizio del nuovo ciclo.
Un'inizio che può fare paura o ingenerare stanchezza o stimolare inquietanti interrogativi
E se la ruota del mondo dovesse fermarsi?
E se le tenebre del lungo inverno che sta per giungere al termine non fossero più scalzate dal tepore della primavera e dell'estate?
Pur nella ricorrenza di un ciclo c'è un fattore ignoto, l'imprevisto dietro l'angolo, che può rendere pauroso il transito da una condizione all'altra.
E, allora, meglio non prepararsi, e piuttosto fronteggiare il cambiamento, senza averlo prima "contemplato"!

Sogni



I sogni ci visitano ogni notte.
Qualcuno di essi lo ricordiamo e altri - il più delle volte - no.
Il sogno apre nela nostra mente uno scorcio di surreale e ci fa gettare uno sguardo di inquietudine sulle cose, talvolta ci fornisce visioni di grande bellezza.
Dopo più di un secolo di psicoanalisi, parrebbe quasi scontato e banale parlare di sogni.
Eppure, tralasciando tutte le notazioni tecniche ed ermeneneutiche sul sogno, rimane indubbio che, nella vita onirica, ci troviamo a percorrere privatissimi universi fantastici da cui alcuni scrittori traggono poi elementi per il loro scrivere (ricordiamo il caso di "Kubla Khan" di Coleridge).
I sogni ci rendono contenti, a volte.
Altre, invece, ci spaventano e c'incupiscono.
Alcuni di essi vorremmo che si prolungassero ancora a lungo, tanto ci piacciono e ci meravigliano e rimaniamo delusi, quando di colpo ci svegliamo, assaporando ancora i suoni, i colori, gli odori di quello specifico scenario nel quale ci aggiravamo sorpresi o stralunati o inquieti.
Per questo motivo, gli antichi Greci ritenevano che i sogni potessero avere una funzione profondamente terapeutica, portando l'individuo sofferente sulla via della guarigione. Ritenevano, infatti, che i "buoni" sogni potessero essere stimolati da una dieta salubre, dall'aver consumato cibi buoni, ma frugali, dall'essersi esposti al sopraggiungere del sonno in luoghi e scenari che stimolassero il senso del bello.
Sono benvenuti, dunque i sogni, quando ci aiutano a star meglio e ciò senza alcuna connessione con la teoria psicoanalitica sul sogno per la cui efficacia "teraeputica" e euristica ("Il sogno è la via regia per l'inconscio", disse Freud) occorre una ermeneutica del contenuto onirico le cui coordinate siano condivise in uno spazio comune nel quale interagiscono il sognatore ed il suo interprete.
Oggi, purtroppo, la nostra vita è talmente velocizzata e la quotidianità così infarcita di stimoli che assaltano sinergicamente i nostri sensi che spesso, nel sognare, compaiono affastellati i diversi e molteplici residui diurni.
Spesso, i più giovani, la cui mente è intossicata dagli scenari dei diversi videogiochi con i quali trascorrono ore e ore - scenari altrettanto onirici, ma iper-realisti, grazie ai software ad altissima definizione oggi disponibili - si ritrovano a riprodurre in sogno scene quasi del tutto identiche a quelle del videogioco con cui si sono cimentati poco prima. E' come se loro mente, durante la notte, secernesse - attraverso l'attività onirica - una serie di stimoli violenti, cruenti, sanguinosi, crudeli di cui spesso i più comuni giochi sono infarciti.
Anche in questo caso, il sognare potrebbe essere utile a disintossicare la mente da un sovraccarico sensoriale altrimenti non metabolizzabile. C'è da rammaricarsi, però, che il sogno anzichè mantenere la sua funzione primaria di produrre universi fantastici nei quali ci si cimenta in azioni nuove e mai tentate prima o in cui ci ritroviamo ad avere esauditi - in forma simbolica - i nostri desideri più risposti, diventi una sorta di "emuntorio" psichico con la funzione di disintossicare la mente da un eccesso di stimoli.

sabato 20 dicembre 2008

Tenersi per mano



In un giorno di pioggia, due anziani avanzano con passo lento e pacato.
Il marciapiedi è spazzato da folate di vento.
Foglie ingiallite si levano in piccoli mulinelli.
I due camminano, indifferenti alle condizioni inclementi del tempo, riparati come sono dalla bolla protettiva del paracqua.
Indubbiamente, tornano dall'aver fatto la spesa: ciascuno dei due, infatti, regge in mano sporte di plastica, non gigantesche. La loro è stata una spesa frugale.
Eppure, pur avendo entrambi le mani impegnate, con destrezza e levità si tengono per mano.
Con questo gesto semplice (eppure intenso) di intimità, discreto e per nulla esibito, sembra che non abbiano bisogno di niente altro, del tutto autosufficienti rispetto al mondo.
Fanno tenerezza.
Per questo semplice tenersi per mano, i due dimostrano che l'affetto reciproco l'uno per l'altro è ancora un virgulto tenero e verde, malgrado le vicissitudini della vita e gli anni trascorsi (ed lecito immaginare dall'età che dimostrano che abbiano trascorso molto, molto tempo insieme).
E' meraviglioso osservare tutto ciò...
Sono rimasto a lungo ad osservarli, seguendoli sinchè è stato possibile con lo sguardo.
Poi,mi sono girato e mi sono incamminato, con un pizzico di nostalgia.

giovedì 18 dicembre 2008

Litigiosità

All'interno di una coppia, capita di tanto in tanto di litigare per motivi futili. E' una cosa bizzarra e strana quando - in ciò che accade - si ha modo di osservare come il primus movens non abbia consistenza alcuna.
In questi casi le possibilità sono due.
Una è quella del litigio simmetrico in cui la parte "offesa" ci si mette d'impegno con il risentimento e la permalosità, rispondendo a ciò che ritiene una critica o un'attacco al proprio "narcisimo" con puntualità e acredine.
In questo caso, il rischio è che, partendo dal semplice scambio di pizzicotti leggeri e lievemente meno affettuosi del solito, si possa arrivare allo scambio di bombe atomiche sempre più potenti e devastanti.
L'altra è quella del sorriso e dell'ironia o della piena risata. In altri termini, il sapere stemperare le cose con questi mezzi, ridimensionandole a quello che sono: nulla.
Uno sfogo momentaneo, l'espressione di un'idiosincrasia temperamentale, l'emergere di un tratto del carattere: tutte cose che, passando veloci come nubi trasportate dal vento, non lasciano alcun segno visibile e duraturo nella sostanza degli affetti.
La strada da seguire è sempre la seconda. A condizione, naturalmente, che a legare le persone coinvolte nell'occasionale litigiosità ci sia un affetto duraturo e profondo.
Mancando questo, è facile che ogni occasione di dissenso/diverbio possa diventare una molla capace d'innescare derive di pericolosa e dolorosa distruttività.
Questa è una riflessione che è possibile trasferire dal privato delle relazioni di coppia a situazioni sociali ben più allargate.



Il messaggio trasmesso dai media peraltro è che, nel breve e nel lungo termine, la proterva litigiosità l'ha vinta su modelli più etici ed misercordiosi di relazione con il nostro prossimo.
Bisogna saper cambiare se stessi per cambiare la società, imparando ad essere giustamente sensibili e consapevoli dei propri punti di criticità, delle proprie debolezze e saperli vedere con il potere trasformativo dell'ironia e d'una sana risata.
Nello stesso tempo,non si può non ricordare qui che la litigiosità, intesa come "conflittualità", può essere funzionale alla crescita delle relazioni interpersonali, in quanto utile - se supportata dall'ironia - a promuovere un miglioramento e la crescita personale. In tal senso, il litigio lieve non va represso, ma deve poter avere la possibilità di dispiegarsi liberamente.
Un neurologo che ebbi moddo di incontrare negli anni della mia formazione professionale, era solito proporre alle coppie in crisi di frequentare dei corsi di arti marziali attraverso i quali potessero - in forma rituale - affrontarsi direttamente, canalizzando in forme più costruttive (ma liberatorie e catartiche) un naturale surplus di aggressività.

Uno strano avvistamento

Oggi, uno strano animale faceva delle evoluzioni nelle acque di Mondello, la nota località balneare di Palermo, proprio al di là del moletto del borgo marinaro.
Nella baia il mare era relativamente tranquillo, appena increspato, ma al largo la linea dll'orizzonte appariva tutta irregolare e rotta da onde, la cui furia non arrivava sino a noi.
Era davvero singolare e mai visto prima, almeno da me. All'inizio c'era quasi da chiedersi se nn fosse una pccola foca...
Si tuffava e, ogni volta dopo circa trenta secondi, riemergeva a una quindicina di metri più distante dal punto in cui s'era immerso. Quando ricompariva, si vedeva soltanto la testina, che poi quando si è avvicinato un po' di più è apparsa dotata d'un grande becco giallo.
Il corpo era a borraccia e lucente. Quando si tuffava il suo slancio era deciso ed balzava del tutto fuori dall'acqua, mostrando di possedere un'inusitata agilità.


All'estremità del corpo, nel tempo di volo, si scorgevano due zampe palmate.
Compulsivamente, s'immergeva e, con tutta evidenza, nella sua permanenza subacquea, "cacciava".
Non ha interrotto questa sequenza un solo istante, nè ha introdotto in essa alcuna variante significativa.
Più o meno, si è mantenuto sempre nello stesso punto, senza mai avvicinarsi alla scogliera, sì da farsi vedere meglio.
Io non sono uno zoologo e, quindi, non sono in condizione di pronunciarmi con certezza di quale animale si trattasse.
Certo è che la sua presenza era un'evenienza davvero insolita. Mai visto prima...
Ma anche, indubbiamente, il fatto che l'esserino fosse assolutamente isolato.
A ben pensarci, potrebbe essere il soggetto per una bella storia di animali.
Forse quella di un piccolo che, allontanato dal suo stormo dalla violenza dei venti e dalle tempeste, adesso, cerca di tirare avanti in solitudine, pieno di nostalgia ed in attesa fiduciosa di potersi ricongiungere con i suoi.
Ma questa è un'interpretazione antropomorfa e letteraria.
Piuttosto: da una ricerca fatta in internet e, osservando alcune immagini reperite nel web (per l'uno e l'altra cosa, tutto merito di Romina), sembrerebbe trattarsi d'un Marangone dal Ciuffo, diffuso in colonie nell'areale del Mediterraneo, presente in Sardegna e ora avvistato anche in Sicilia e a Lampedusa.

lunedì 1 dicembre 2008

Alla ricerca della felicità

Il fragore della risacca

La brezza lieve

Strida di gabbiani

Frullo d'ali

Movimentazione

Dinamismi

Stasi

Silenzi,
silenzi

Ancora pause

Improvvise accelerazioni percettive

Un momento
(quasi) perfetto

Corsi e ricorsi

Estasi e delirio

Felicità e disperazione

La perfezione non esiste

Ogni singolo momento perfetto
è un attimo di magico equilibrio
frammezzo ad un altalenare di disequilibri

Che noia sarebbe, se no
una totale perfezione,
un continuo e costante equilibrio!

Sarebbe l'immobilità della morte,
la fine dell'omeostasi

Nel disequilibrio
invece
c'è la vita

Quando si rinnova,
ogni volta diverso,
quel momento magico
di equilibrio e perfezione,
si può cogliere la differenza

Palermo, il 1.12.2008
 
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