Questa foto ha una sua storia.
Mi sono fermato a fotografare quella bici parcheggiata sul balconcino, nella calura del primo pomeriggio.
Dopo lo scatto, mi son girato e, dietro di me, c'era uno che mi guardava con aria minacciosa.
"Preco!?" - mi fa.
Io, facendo la parte di non capire: "Che?"
"Preco?" - ripete il tipo, monocorde, quasi che, in definitiva, la sua presenza fisica e lo sguardo dicessero già tutto.
"Che?" - replico io.
"E che... fotografavi... Guardavi... C'è cosas?" (con fare indagator-sospettoso)...
Io: indico la bici posteggiata sul balconcino.
Sguardo interrogativo dall'altra parte...
"Faccio la collezione di foto di bici in città" - replico in modo conclusivo.
Il tipo se ne va, muovendosi con lentezza assertiva verso la porta di casa tutta sbarrata.
"Ma se vuoi te le faccio vedere!" - gli grido dietro.
Quello: "No, no, non c'è bisogno..."
Grazie della magnanimità...
In effetti, il dialogo (o non dialogo, a seconda dei punti di vista), aveva avuto una sua ragion d'essere nel fatto che io, estraneo, dovessi sottostare ad una sorta di preventiva autorizzazione a star dentro il territorio di cui il mio interlocutore si sentiva investito del ruolo sacrale di custode.
A quel punto il messaggio era stato passato e le puntualizzazioni necessarie erano state fatte.
L'implicito: "Non pensare qui di poter fare quello che vuoi.. Io ti tengo d'occhio!".
Il piccolo episodio la dice lunga sull'animo dell'uomo palermitano di poca cultura, stretto tra un'atavica sospettosità, le necessità del controllo mafioso del suo territorio, un'altrettanto atavica diffidenza nei confronti dello "straniero" (ed io in questo caso ero lo straniero), e quel codice di comportamenti rigidamente organizzati e considerati fortemente appropriati per il maschio nostrano che l'etnologo Franco La Cecla ha così brillantemente descritto nel suo piccolo saggio, Modi bruschi. Antropologia del maschio (Eleuthera riedito nel 2010).
Mi sono fermato a fotografare quella bici parcheggiata sul balconcino, nella calura del primo pomeriggio.
Dopo lo scatto, mi son girato e, dietro di me, c'era uno che mi guardava con aria minacciosa.
"Preco!?" - mi fa.
Io, facendo la parte di non capire: "Che?"
"Preco?" - ripete il tipo, monocorde, quasi che, in definitiva, la sua presenza fisica e lo sguardo dicessero già tutto.
"Che?" - replico io.
"E che... fotografavi... Guardavi... C'è cosas?" (con fare indagator-sospettoso)...
Io: indico la bici posteggiata sul balconcino.
Sguardo interrogativo dall'altra parte...
"Faccio la collezione di foto di bici in città" - replico in modo conclusivo.
Il tipo se ne va, muovendosi con lentezza assertiva verso la porta di casa tutta sbarrata.
"Ma se vuoi te le faccio vedere!" - gli grido dietro.
Quello: "No, no, non c'è bisogno..."
Grazie della magnanimità...
In effetti, il dialogo (o non dialogo, a seconda dei punti di vista), aveva avuto una sua ragion d'essere nel fatto che io, estraneo, dovessi sottostare ad una sorta di preventiva autorizzazione a star dentro il territorio di cui il mio interlocutore si sentiva investito del ruolo sacrale di custode.
A quel punto il messaggio era stato passato e le puntualizzazioni necessarie erano state fatte.
L'implicito: "Non pensare qui di poter fare quello che vuoi.. Io ti tengo d'occhio!".
Il piccolo episodio la dice lunga sull'animo dell'uomo palermitano di poca cultura, stretto tra un'atavica sospettosità, le necessità del controllo mafioso del suo territorio, un'altrettanto atavica diffidenza nei confronti dello "straniero" (ed io in questo caso ero lo straniero), e quel codice di comportamenti rigidamente organizzati e considerati fortemente appropriati per il maschio nostrano che l'etnologo Franco La Cecla ha così brillantemente descritto nel suo piccolo saggio, Modi bruschi. Antropologia del maschio (Eleuthera riedito nel 2010).
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