Varney il vampiro, che l’editore Gargoyle sta meritoriamente pubblicando per la prima volta in italiano in forma integrale (con traduzione unica e omogenea di Chiara Vatteroni), giunge al secondo capitolo della sua saga con il titolo “L’inafferrabile”.
Il primo volume della saga-affresco dei britannici Thomas Preskett Prest e James Malcolm Rymer, dal titolo “Il banchetto di sangue”, era, infatti, uscito nelle librerie il 25 marzo scorso, con un’introduzione del professor Carlo Pagetti, il terzo “All’ombra del Vesuvio”, arriverà in libreria il 25 novembre 2010, con l’arricchimento di un intervento di Mauro Boselli.
Si tratta certamente di un progetto editoriale ambizioso e d’indubbio interesse filologico, oltre che di un importante approfondimento della conoscenza delle fonti letterarie che hanno portato alla costruzione del vampiro e come personaggio letterario e come icona che vive nell’immaginario dei popoli del mondo occidentale - e non esclusivamente lettori appassionati del genere - dal momento che la figura del vampiro si è anche riversata pienamente nell’iconografia cinematografica.
Com’è noto, si tratta di un’opera che uscì per due anni di seguito – dal 1845 al 1847 – in dispense settimanali illustrate di otto pagine ciascuna, successivamente pubblicata in tre volumi dall’editore londinese Edward Lloyd.
Tali fascicoli erano denominati penny dreadful (terrori da un penny) perché, per la modica cifra di un 1 penny, era assicurata una bella dose di paura, con piena soddisfazione dell’attitudine morbosa dei lettori vittoriani per i quali il forzato pudore nei confronti di alcuni aspetti della vita (tutto ciò che era attinente alla corporeità e al sesso) e la messa al bando d’una serie di altri, ritenuti vergognosi e disdicevoli, comportava che quegli importi energetici che non potevano essere esplicitamente orientati in modo corretto e “naturale” venissero direzionati verso altri campi, in cui il sesso e l’erotismo c’entravano pure, ma in maniera implicita, poco evidente e soprattutto distorta (per una serie di spostamenti e mascheramenti). Non è un caso che in tale periodo andassero a ruba delle macchinette a “gettoni”, nelle quali introducendo una monetina si attivavano delle scene macabre come, ad esempio, l’esecuzione capitale mediante impiccagione.
La diffusione dei penny dreadful fu parte di un più ampio interesse della narrativa come mezzo di acculturazione e intrattenimento in un momento in cui – grazie alla rivoluzione industriale, alle maggiori possibilità lavorative e alla qualità di istruzione superiore più universalmente estesa – era favorita la diffusione della lettura anche a strati sociali cui era prima preclusa, sia in termini di possibilità sia di voglia a cimentarsi con essa.
La forma della narrativa popolare a dispense periodiche venne a costituire in quel periodo un efficace strumento per la crescita d’una cultura di massa, ancora allo stato embrionale: ricordiamo che, proprio in questi stessi anni, veniva pubblicato – sempre in dispense settimanali – il romanzo di Charles Dickens, Dombey e Figlio.
Pur non essendo ancora arrivati al feuilleton vero e proprio (la narrazione a puntate giornaliere) che prende piede, con il rinforzarsi dei quotidiani, come strumento per sollecitare i lettori all’acquisto del giornale, di certo ci stiamo avvicinando a quel tipo di narrativa popolare: basti pensare a I Misteri di Parigi di Eugène Sue, o a I Beati Paoli di William Galt e ai successivi loro cascami, arricchiti dal gusto primo-novecentesco per il macabro, quali le avventure di Fantomas o Rocambole che, spesso storie di mistero e di intrigo, conducono nei sotterranei più cupi di Parigi o di altre città d’Europa (dal mistero puro e semplice, alle bravure ladresche di un Rocambole sino alle efferatezze e alla malvagità di un Fantomas), atte a sollecitare l’interesse morboso e la voglia di brivido dei lettori.
Questo secondo volume di Varney il vampiro – che contiene i capitoli 66-126 della saga – si apre con un’accurata introduzione di Fabio Giovannini – uno dei maggiori esperti italiani di horror e “vampirologia” – dal titolo “Varney il contaminatore”.
Giovannini illustra come l’opera abbia influenzato in modo determinante tutto il successivo immaginario vampirico, di cui traccia l’evoluzione attraverso alcune fondamentali tappe, mostrando come la figura di Sir Francis Varney si ponga come punto di snodo essenziale tra Lord Ruthven (The Vampyre di John W. Polidori, 1819) e il Dracula stokeriano (pubblicato nel 1897) e fornendo agli autori successivi alcuni elementi iconici fondamentali che rimarranno poi come tratti permanenti del personaggio letterario.
Dalla creazione del primo vampiro letterario al Dracula di Bram Stoker decorrono quasi 80 anni, tanto il tempo necessario per il costituirsi d’un robusto immaginario collettivo nel quale potrà innestarsi con facilità – suscitando subito ampio consenso – il personaggio stokeriano, nel quale confluiscono – a rafforzarlo – antiche leggende più antiche e aspetti del folklore mitteleuropeo e transilvano, nonché il fenomeno tutto settecentesco delle “epidemie” vampiriche”.
La diffusione capillare e “popolare” di Varney il vampiro ha dunque un ruolo fondamentale nell’assicurare l’innesto dell’icona del succhiasangue nell’immaginario popolare.
Il saggio di Giovannini, inoltre, è di particolare interesse poiché individua due aspetti più prettamente sociologici sia dell’opera di Prest e Rymer sia, più in generale, dell’iconografia del vampiro, entrambi presenti peraltro nel personaggio delineato nella saga. Innanzitutto, il vampiro letterario con Varney (attraverso la distribuzione di dispense settimanali a basso prezzo e, successivamente, in volume, attraverso le biblioteche itineranti) giunge alle masse uscendo dal fenomeno cult di passatempo per aristocratici annoiati e diventando, invece, prodotto di "consumo" e di intenso interesse per le moltitudini benché proprio esse, nel romanzo, fossero oggetto di strali e rappresentate in modo decisamente poco onorevole, preda di bassi istinti, di scarso controllo e dominate dalle superstizioni.
Il vampiro, in realtà – come fa notare Giovannini – si pone quale insidia per le classi abbienti, con particolare riferimento a una middle class che emergeva proprio allora, fatta di artigiani e commercianti, e che, con il lavoro industrioso era riuscita a distinguersi dalle masse indifferenziate e amorfe, accedendo, per la prima volta, agli strumenti della cultura.
Questo nuovo - e fiero - ceto medio era dunque determinato a dimenticare il passato da cui proveniva, vivendo nello stesso tempo nel costante timore di essere depredato di ciò che aveva faticosamente acquisito: una minaccia proveniente, da un lato, dal volgo (anche se, nella forte gerarchizzazione dei ruoli della società di quel tempo, ciò restava assai improbabile), dall’altro lato, dagli aristocratici, strenui difensori dei propri privilegi, che nutrivano verso gli operosi ceti emergenti invidia malevola, se non disprezzo.
In un certo senso, l’epopea di Varney il vampiro potrebbe leggersi anche come quella dell’aristocratico che vuole acquisire possessi in terra d’Inghilterra e che succhia il sangue alla classe emergente, asservendola ai suoi scopi.
Con Varney, il vampiro diventa anche il “mostro” coltivato dalle masse (per il tramite degli strumenti allora disponibili della narrativa popolare). Così al riguardo Giovannini: Il vampiro… diventa prodotto di massa e per le masse, ma nello stesso tempo aumenta il suo fascino fino ad indurre una vera identificazione da parte dello spettatore-lettore (p. 16).
Leggendo delle sue vicissitudini, il lettore ha la possibilità di venire a contatto, in modo sempre più spinto, con i pensieri e le sensazioni di Varney, compresi gli stati d’animo da lui sperimentati, subito dopo essere diventato vampiro. E qui, l’opera anticipa una serie di rappresentazioni del vampiro nella letteratura e nella cinematografia: dalla superba scena in cui il Nosferatu di Werner Herzog parla della sua stanchezza e della prigione esistenziale in cui da “non morto” è costretto a vivere, all’umanità tormentata di Lestat e dei vampiri “buoni” e conflittuali, dotati di un residuo di coscienza morale, creati da Anne Rice.
Tali elementi sembrerebbero generare in alcuni momenti un atteggiamento quasi compassionevole verso il vampiro, inducendo ad accantonare il giudizio severo che si potrebbe dare delle pratiche amorali dei succhiasangue. Ciò con il supportato della considerazione che chi è diventato tale contro la sua volontà, avrebbe pur sempre la possibilità di esercitare il libero arbitrio per uscire dalla prigione in cui si trova vincolato e dalle sue pratiche coatte, rifiutando la sua intrinseca natura, non nutrendosi del tutto oppure ricorrendo al “male minore”, adottato da alcuni degli epigoni, cioè di bere il sangue di animali (con l’implicito pensiero, tuttavia riprovevole, che questi siano delle forme di vita inferiori e, dunque, sacrificabili).
Questo sentire pietistico ha facilitato nelle generazioni dei lettori più moderni delle avventure dei succhiasangue (il Lestat di Anne Rice, ma anche i vampiri della Meyer) più che sentimenti di ribrezzo e timore, un movimento d’identificazione empatica con quella parte residua di umanità che ancora si evidenzia nei vampiri.
Varney, che contiene in nuce questo aspetto, lo si può considerare, dunque, un precursore.
Il passaggio ulteriore che si riscontra ai giorni nostri è quello di trarre piacere dall’identificarsi con il vampiro in quanto “mostro” (evidente nella voglia di travestirsi o “truccarsi” da vampiro) con il gusto aggiuntivo di fare ciò in un gruppo con il quale si condividono riti e idiosincrasie cult.
E, del resto, sempre di più si passa dalla rappresentazione del vampiro come individuo isolato, condannato a uno stato di eterna “non-morte” e di solitudine estrema, a quella di vampiri che aderiscono a una congrega, a una setta, a un gruppo nel quale si condividono amori, odi, riti sociali e conviviali.
Ed ancora, sottolinea Giovannini, la passione per il vampiro – in alcuni casi la “moda” – subisce nel tempo corsi e ricorsi, passando da fasi di “chiusura” e di “contrazione” a fasi di espansione culturale e grande interesse mediatico: per adesso siamo nella fase del dilagare della moda cult per il vampiro tra i giovani, grazie alla tetralogia di Stephenie Meyer e ad altri epigoni, siamo - in altri termini - alla fase del vampiro idolatrato da certe fasce di giovani e assunto ad oggetto di identificazione, anche se si affaccia di nuovo con prepotenza l’icona del vampiro-mostro, assolutamente “cattivo”, dall’aspetto terrorizzante quando sugge il sangue, più incubus che oggetto di sviscerata idolatria, aspetto peraltro già adombrato nell’opera di Prest e Rymer (che hanno consegnato ai posteri l’iconografia del vampiro che altera le sue sembianze nel momento in cui esercita le sue prerogative).
Prest e Rymer – assieme agli altri poligrafi da essi presumibilmente coordinati impegnati a far procedere la gigantesca narrazione – diedero vita a una fase di forte espansione della rappresentazione pubblica del vampiro, sia letterariamente sia attraverso riduzioni teatrali.
Insomma, come ha scritto l’anglista Roberto Bertinetti sull’inserto culturale “Domenica” del Sole 24 ore, Varney è proprio “il papà di tutti i vampiri”... In ogni caso, è in assoluto il primo vampiro che è stato “donato” alle masse, ma pur sempre all’interno del canone del byronic type, cioè del “diverso”, “…dell’uomo eccezionale che si distingue dagli altri per alcune caratteristiche straordinarie” (Giovannini, p. 17), quindi fondamentalmente solitario, ancora ben distante dal prototipo del “vampiro-moltitudine” e del vampiro oggetto di identificazione oppure personaggio di un gioco di ruolo dei giorni nostri.
Indubbiamente, il vampiro letterario ha fatto molta strada e sicuramente ne farà ancora di altra, in un percorso che, come già accaduto, vedrà ulteriori corsi e ricorsi, periodici affievolimenti d’interesse alternati a improvvise revival. Questo perché, in definitiva, il vampiro si radica profondamente nella fantasia di tutti – non solo dei lettori amanti del genere - come “modo di essere” multivalente e mutevole in relazione alle epoche e alle mode culturali, e come prototipo del perturbante che periodicamente – come accade nel corso del primo decennio del XXI secolo – si tenta di “addomesticare” con iniezioni di buonismo, di simpatia, di psicologismo a basso costo che ne vorrebbe edulcorare i moventi, ma che - altrettanto periodicamente - riaffiora con un volto crudelissimo e mostruoso, come è – ad esempio – nel vampiro (o meglio nei vampiri modenesi) preconizzati da Claudio Vergnani (uno dei più promettenti scrittori horror italiani della nuova generazione).
Il primo volume della saga-affresco dei britannici Thomas Preskett Prest e James Malcolm Rymer, dal titolo “Il banchetto di sangue”, era, infatti, uscito nelle librerie il 25 marzo scorso, con un’introduzione del professor Carlo Pagetti, il terzo “All’ombra del Vesuvio”, arriverà in libreria il 25 novembre 2010, con l’arricchimento di un intervento di Mauro Boselli.
Si tratta certamente di un progetto editoriale ambizioso e d’indubbio interesse filologico, oltre che di un importante approfondimento della conoscenza delle fonti letterarie che hanno portato alla costruzione del vampiro e come personaggio letterario e come icona che vive nell’immaginario dei popoli del mondo occidentale - e non esclusivamente lettori appassionati del genere - dal momento che la figura del vampiro si è anche riversata pienamente nell’iconografia cinematografica.
Com’è noto, si tratta di un’opera che uscì per due anni di seguito – dal 1845 al 1847 – in dispense settimanali illustrate di otto pagine ciascuna, successivamente pubblicata in tre volumi dall’editore londinese Edward Lloyd.
Tali fascicoli erano denominati penny dreadful (terrori da un penny) perché, per la modica cifra di un 1 penny, era assicurata una bella dose di paura, con piena soddisfazione dell’attitudine morbosa dei lettori vittoriani per i quali il forzato pudore nei confronti di alcuni aspetti della vita (tutto ciò che era attinente alla corporeità e al sesso) e la messa al bando d’una serie di altri, ritenuti vergognosi e disdicevoli, comportava che quegli importi energetici che non potevano essere esplicitamente orientati in modo corretto e “naturale” venissero direzionati verso altri campi, in cui il sesso e l’erotismo c’entravano pure, ma in maniera implicita, poco evidente e soprattutto distorta (per una serie di spostamenti e mascheramenti). Non è un caso che in tale periodo andassero a ruba delle macchinette a “gettoni”, nelle quali introducendo una monetina si attivavano delle scene macabre come, ad esempio, l’esecuzione capitale mediante impiccagione.
La diffusione dei penny dreadful fu parte di un più ampio interesse della narrativa come mezzo di acculturazione e intrattenimento in un momento in cui – grazie alla rivoluzione industriale, alle maggiori possibilità lavorative e alla qualità di istruzione superiore più universalmente estesa – era favorita la diffusione della lettura anche a strati sociali cui era prima preclusa, sia in termini di possibilità sia di voglia a cimentarsi con essa.
La forma della narrativa popolare a dispense periodiche venne a costituire in quel periodo un efficace strumento per la crescita d’una cultura di massa, ancora allo stato embrionale: ricordiamo che, proprio in questi stessi anni, veniva pubblicato – sempre in dispense settimanali – il romanzo di Charles Dickens, Dombey e Figlio.
Pur non essendo ancora arrivati al feuilleton vero e proprio (la narrazione a puntate giornaliere) che prende piede, con il rinforzarsi dei quotidiani, come strumento per sollecitare i lettori all’acquisto del giornale, di certo ci stiamo avvicinando a quel tipo di narrativa popolare: basti pensare a I Misteri di Parigi di Eugène Sue, o a I Beati Paoli di William Galt e ai successivi loro cascami, arricchiti dal gusto primo-novecentesco per il macabro, quali le avventure di Fantomas o Rocambole che, spesso storie di mistero e di intrigo, conducono nei sotterranei più cupi di Parigi o di altre città d’Europa (dal mistero puro e semplice, alle bravure ladresche di un Rocambole sino alle efferatezze e alla malvagità di un Fantomas), atte a sollecitare l’interesse morboso e la voglia di brivido dei lettori.
Questo secondo volume di Varney il vampiro – che contiene i capitoli 66-126 della saga – si apre con un’accurata introduzione di Fabio Giovannini – uno dei maggiori esperti italiani di horror e “vampirologia” – dal titolo “Varney il contaminatore”.
Giovannini illustra come l’opera abbia influenzato in modo determinante tutto il successivo immaginario vampirico, di cui traccia l’evoluzione attraverso alcune fondamentali tappe, mostrando come la figura di Sir Francis Varney si ponga come punto di snodo essenziale tra Lord Ruthven (The Vampyre di John W. Polidori, 1819) e il Dracula stokeriano (pubblicato nel 1897) e fornendo agli autori successivi alcuni elementi iconici fondamentali che rimarranno poi come tratti permanenti del personaggio letterario.
Dalla creazione del primo vampiro letterario al Dracula di Bram Stoker decorrono quasi 80 anni, tanto il tempo necessario per il costituirsi d’un robusto immaginario collettivo nel quale potrà innestarsi con facilità – suscitando subito ampio consenso – il personaggio stokeriano, nel quale confluiscono – a rafforzarlo – antiche leggende più antiche e aspetti del folklore mitteleuropeo e transilvano, nonché il fenomeno tutto settecentesco delle “epidemie” vampiriche”.
La diffusione capillare e “popolare” di Varney il vampiro ha dunque un ruolo fondamentale nell’assicurare l’innesto dell’icona del succhiasangue nell’immaginario popolare.
Il saggio di Giovannini, inoltre, è di particolare interesse poiché individua due aspetti più prettamente sociologici sia dell’opera di Prest e Rymer sia, più in generale, dell’iconografia del vampiro, entrambi presenti peraltro nel personaggio delineato nella saga. Innanzitutto, il vampiro letterario con Varney (attraverso la distribuzione di dispense settimanali a basso prezzo e, successivamente, in volume, attraverso le biblioteche itineranti) giunge alle masse uscendo dal fenomeno cult di passatempo per aristocratici annoiati e diventando, invece, prodotto di "consumo" e di intenso interesse per le moltitudini benché proprio esse, nel romanzo, fossero oggetto di strali e rappresentate in modo decisamente poco onorevole, preda di bassi istinti, di scarso controllo e dominate dalle superstizioni.
Il vampiro, in realtà – come fa notare Giovannini – si pone quale insidia per le classi abbienti, con particolare riferimento a una middle class che emergeva proprio allora, fatta di artigiani e commercianti, e che, con il lavoro industrioso era riuscita a distinguersi dalle masse indifferenziate e amorfe, accedendo, per la prima volta, agli strumenti della cultura.
Questo nuovo - e fiero - ceto medio era dunque determinato a dimenticare il passato da cui proveniva, vivendo nello stesso tempo nel costante timore di essere depredato di ciò che aveva faticosamente acquisito: una minaccia proveniente, da un lato, dal volgo (anche se, nella forte gerarchizzazione dei ruoli della società di quel tempo, ciò restava assai improbabile), dall’altro lato, dagli aristocratici, strenui difensori dei propri privilegi, che nutrivano verso gli operosi ceti emergenti invidia malevola, se non disprezzo.
In un certo senso, l’epopea di Varney il vampiro potrebbe leggersi anche come quella dell’aristocratico che vuole acquisire possessi in terra d’Inghilterra e che succhia il sangue alla classe emergente, asservendola ai suoi scopi.
Con Varney, il vampiro diventa anche il “mostro” coltivato dalle masse (per il tramite degli strumenti allora disponibili della narrativa popolare). Così al riguardo Giovannini: Il vampiro… diventa prodotto di massa e per le masse, ma nello stesso tempo aumenta il suo fascino fino ad indurre una vera identificazione da parte dello spettatore-lettore (p. 16).
Leggendo delle sue vicissitudini, il lettore ha la possibilità di venire a contatto, in modo sempre più spinto, con i pensieri e le sensazioni di Varney, compresi gli stati d’animo da lui sperimentati, subito dopo essere diventato vampiro. E qui, l’opera anticipa una serie di rappresentazioni del vampiro nella letteratura e nella cinematografia: dalla superba scena in cui il Nosferatu di Werner Herzog parla della sua stanchezza e della prigione esistenziale in cui da “non morto” è costretto a vivere, all’umanità tormentata di Lestat e dei vampiri “buoni” e conflittuali, dotati di un residuo di coscienza morale, creati da Anne Rice.
Tali elementi sembrerebbero generare in alcuni momenti un atteggiamento quasi compassionevole verso il vampiro, inducendo ad accantonare il giudizio severo che si potrebbe dare delle pratiche amorali dei succhiasangue. Ciò con il supportato della considerazione che chi è diventato tale contro la sua volontà, avrebbe pur sempre la possibilità di esercitare il libero arbitrio per uscire dalla prigione in cui si trova vincolato e dalle sue pratiche coatte, rifiutando la sua intrinseca natura, non nutrendosi del tutto oppure ricorrendo al “male minore”, adottato da alcuni degli epigoni, cioè di bere il sangue di animali (con l’implicito pensiero, tuttavia riprovevole, che questi siano delle forme di vita inferiori e, dunque, sacrificabili).
Questo sentire pietistico ha facilitato nelle generazioni dei lettori più moderni delle avventure dei succhiasangue (il Lestat di Anne Rice, ma anche i vampiri della Meyer) più che sentimenti di ribrezzo e timore, un movimento d’identificazione empatica con quella parte residua di umanità che ancora si evidenzia nei vampiri.
Varney, che contiene in nuce questo aspetto, lo si può considerare, dunque, un precursore.
Il passaggio ulteriore che si riscontra ai giorni nostri è quello di trarre piacere dall’identificarsi con il vampiro in quanto “mostro” (evidente nella voglia di travestirsi o “truccarsi” da vampiro) con il gusto aggiuntivo di fare ciò in un gruppo con il quale si condividono riti e idiosincrasie cult.
E, del resto, sempre di più si passa dalla rappresentazione del vampiro come individuo isolato, condannato a uno stato di eterna “non-morte” e di solitudine estrema, a quella di vampiri che aderiscono a una congrega, a una setta, a un gruppo nel quale si condividono amori, odi, riti sociali e conviviali.
Ed ancora, sottolinea Giovannini, la passione per il vampiro – in alcuni casi la “moda” – subisce nel tempo corsi e ricorsi, passando da fasi di “chiusura” e di “contrazione” a fasi di espansione culturale e grande interesse mediatico: per adesso siamo nella fase del dilagare della moda cult per il vampiro tra i giovani, grazie alla tetralogia di Stephenie Meyer e ad altri epigoni, siamo - in altri termini - alla fase del vampiro idolatrato da certe fasce di giovani e assunto ad oggetto di identificazione, anche se si affaccia di nuovo con prepotenza l’icona del vampiro-mostro, assolutamente “cattivo”, dall’aspetto terrorizzante quando sugge il sangue, più incubus che oggetto di sviscerata idolatria, aspetto peraltro già adombrato nell’opera di Prest e Rymer (che hanno consegnato ai posteri l’iconografia del vampiro che altera le sue sembianze nel momento in cui esercita le sue prerogative).
Prest e Rymer – assieme agli altri poligrafi da essi presumibilmente coordinati impegnati a far procedere la gigantesca narrazione – diedero vita a una fase di forte espansione della rappresentazione pubblica del vampiro, sia letterariamente sia attraverso riduzioni teatrali.
Insomma, come ha scritto l’anglista Roberto Bertinetti sull’inserto culturale “Domenica” del Sole 24 ore, Varney è proprio “il papà di tutti i vampiri”... In ogni caso, è in assoluto il primo vampiro che è stato “donato” alle masse, ma pur sempre all’interno del canone del byronic type, cioè del “diverso”, “…dell’uomo eccezionale che si distingue dagli altri per alcune caratteristiche straordinarie” (Giovannini, p. 17), quindi fondamentalmente solitario, ancora ben distante dal prototipo del “vampiro-moltitudine” e del vampiro oggetto di identificazione oppure personaggio di un gioco di ruolo dei giorni nostri.
Indubbiamente, il vampiro letterario ha fatto molta strada e sicuramente ne farà ancora di altra, in un percorso che, come già accaduto, vedrà ulteriori corsi e ricorsi, periodici affievolimenti d’interesse alternati a improvvise revival. Questo perché, in definitiva, il vampiro si radica profondamente nella fantasia di tutti – non solo dei lettori amanti del genere - come “modo di essere” multivalente e mutevole in relazione alle epoche e alle mode culturali, e come prototipo del perturbante che periodicamente – come accade nel corso del primo decennio del XXI secolo – si tenta di “addomesticare” con iniezioni di buonismo, di simpatia, di psicologismo a basso costo che ne vorrebbe edulcorare i moventi, ma che - altrettanto periodicamente - riaffiora con un volto crudelissimo e mostruoso, come è – ad esempio – nel vampiro (o meglio nei vampiri modenesi) preconizzati da Claudio Vergnani (uno dei più promettenti scrittori horror italiani della nuova generazione).
Sintesi in breve dal primo risguardo di copertina del 2° volumeLiberato da Varney, Charles Holland torna dalla fidanzata Flora Bannerworth e dallo zio ammiraglio Bell. Quando il dottor Chillingworth tenta di portare via il grande ritratto, somigliante allo stesso Varney, collocato nella camera da letto di Flora, viene aggredito e rapinato.
Il medico chirurgo rivelerà, inoltre, di avere già conosciuto il vampiro a Londra: alla ricerca, con l’ausilio di un boia, di cadaveri su cui compiere esperimenti, aveva avuto l’impressione di resuscitare un criminale appena impiccato, lo stesso Varney.
La testimonianza è confermata dall’arrivo in scena del boia, che ricatta Varney, e dal racconto fatto da quest’ultimo a Charles Holland, che è riuscito a rintracciarlo: assieme a Marmaduke Bannerworth, il pater familias morto suicida, egli aveva partecipato a un’azione criminosa per recuperare un’ingente somma di denaro persa al gioco, ed era stato poi catturato e condannato a morte. A Bannerworth Hall è nascosto probabilmente il denaro rubato, mai recuperato.
Varney si rifugia nel cottage dei Bannerworth, stabilendo con loro un rapporto di reciproco rispetto, ma torna a scomparire, mentre Charles e Flora possono finalmente sposarsi. Intanto, ad Anderbury, una cittadina di mare a circa venti miglia da Bannerworth Hall, fa la sua comparsa un misterioso e ricchissimo nobiluomo, il barone Stolmuyer di Salisburgo, che si prepara alle nozze con una bellezza del luogo, Helen, figlia dell’avida vedova Williams...
Nessun commento:
Posta un commento