Come combattere il razzismo?
Come riuscire a capovolgere una mentalità fortemente radicata in abitudini e pregiudizi? E' questa la sfida con cui Nelson Mandela, poco dopo la vittoria elettorale, dovette confrontarsi.
Lo fece, proponendo scelte che andavano controcorrente rispetto a ciò che i suoi stessi supporter si sarebbero attese, anche correndo il rischio di compromettere la sua credibilità politica.
Le sue furono scelte di campo coraggiose, soprattutto nelle piccole cose quotidiane, guidato dal principio che l'apartheid non si sarebbe potuto superare con le stesse armi utilizzate per la discriminazione dalla minoranza bianca degli Afrikaneer.
Una lezione anche sul fatto che ciò che conta, in tempi bui e di sofferenza, è poter rimanere "indomito" (invictus, appunto), "capitano della propria anima": il profondo lascito spirituale agito e vissuto concretamente di un uomo che è stato insignito di un meritato Nobel alla Pace 1993, e non soltanto per le "intenzioni" manifestate, ma ancora non messe in atto (com'è stato nel caso del Presidente USA Barak Obama).
Il film di Clint Eastwood è davvero esemplare perchè - con delicatezza, con garbo e senza mai scivolare nella rappresentazione idealizzante - illustra proprio questo processo di trasromazione della Repubblica Sudafricana in una sola nazione, a partire da due comunità diverse e opposte, apparentemente inconciliabili, sotto la guida "saggia" e illuminata di Mandela, "Madiba" per i suoi più fedeli seguaci.
Quello di Nelson Mandela fu il progetto ambizioso di creare una nazione "arcobaleno", unita in un unico progetto ed in un unico empito di speranza.
Cosa rendeva temibile la squadra di Rugby della Nuova Zelanda, di cui si diceva che "...al 90% avesse già vinto prima del fischio d'inizio"?
Era il fatto che i 15 giocatori inscenavano (e inscenano tuttora, per quanto - a volte - siano contestati in ciò) la minacciosa danza maori, pur non essendo in maggioranza aborigeni: il fatto, dunque, che quella squadra si presentava unitaria, stretta in un unico progetto, espressione d'una "nazione" (un concetto che ha tuttora una sua validità, malgrado l'incultura dei particolarismi regionali di stampo leghista).
Mandela portò la maggioranza nera del Sudafrica a "tifare" con intensità e vigore per la squadra di Rugby prediletta dalla minoranza bianca, sino a quel momento aborrita e fischiata, e, simbolicamente, riuscì a condurla alla vittoria in occasione del Rugby World Cup, del 1995, che - per l'appunto - si svolse in Sudafrica e in cui la finale vide il confronto tra la squadra sudafricana (gli Springbok) e quella neozelandese.
Per il resto, c'è poco da dire sul film in termini di critiche: un film eccellente, quasi un classico del genere.
Una lezione ammirevole sullo sport e su come lo sport può anche diventare momento di crescita sociale, di rispetto reciproco, di solidarietà, incentivo ad alimentare - in maniera buona - una causa comune.
Un film che straccia in un colpo solo le meschinità e le abiezioni delle tifoserie di calcio e del calcio parlato.
Un Bravissimo! a Clint Eastwood che conferma di saper essere un grande regista, anche quando non riveste anche i panni dell'attore, come è stato - invece -nel suo precedente (e magistrale) Gran Torino.
Una magnifica interpretazione quella di Morgan Freman che si cala perfettamente nei panni del Presidente Mandela, con un ruolo privo di sentimentalismi e sbavature, ma impersonando il ruolo dell'uomo che nei 28 anni di ergastolo ha meditato e riflettuto sul fatto che le soluzioni all'odio non sono le vendette e gli antagonismi, ma il perdono e la ricerca di vie comuni che vadano bene per tutti e che, in tal senso, si adegua anche nelle piccole scelte quotidiane.
E' un film che possiede un elevato valore pedagogico, capace di trasmettere una lezione di storia e senso civico: in questo senso, bisognerebbe farlo vedere agli studenti delle scuole medie e delle superiori e discuterlo con loro.
Più efficace di qualsiasi discorso e di qualsiasi dissertazione, che - per una volta, tra l'altro - in un mondo che si sfascia, riesce a dare una visione di speranza e di ottimismo...
Va aggiunto che il racconto di Eastwood non è parto della fantasia di uno sceneggiatore, ma è ispirato dai fatti narrati nel libro di John Carlin "Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game That Made a Nation": in ogni caso, è reso intenso dal forte senso civico e dal vigore anti-razzista che pervade anche il precedente lavoro di Clint Eastwood, nei panni sia di regista sia di attore (Gran Torino).
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