Gianni Canova, alla sua prima opera narrativa, ci regala con il suo "Palpebre" (Garzanti, 2010) un thriller estremo, sconfinante nel genere fanta-horror, attraversando il territorio oscuro e nebuloso dela fabbrica dei porno spinti e degli snuff movies. Il racconto di Canova potrà piacere o non piacere: in quest'ultimo caso, soprattutto, il rifiuto potrebbe essere causato dalle tinte forti che della seconda metà della narrazione. Ma, certamente, a prescindere dal gradimento che potrà suscitare nel lettore,, Gianni Canova riesce a costruire un'interessante elaborazione metaforica della società contemporanea, combattuta tra il rifiuto del diverso (il mondo sotterraneo della clandestinità e dei lavoratori irregolari) e tra una vernice di normalità che apre la porta di servizio al gusto segreto per le peggiori nefandezze, alimentato dalle mafie subito pronte a conquistare fette di un fiorente mercato.
Credo, peraltro, che un romanzo per essere efficace debba essere provocatorio e dissacrante, mai ammiccante e compiacente rispetto al desiderio di alcuni lettori di non essere turbati: in questo senso "Palpebre" è decisamente d'impatto e induce alla riflessione, anche se alcuni suoi elementi sono decisamente non realistici, ma proprio per questo efficace a creare le premesse per un salto verso il mondo della metafora.
"Palpebre" è tutto incentrato sulla perversione dello sguardo e dell'occhio, con una serie di ampi riferimenti a Dante Alighieri e al contrapasso riservato agli invidiosi con la pratica della "cigliatura".
Peraltro, Canova - critico cinematografico di rilievo e professore ordinario di Storia e critica del cinema presso l'Università IULM di Milan travasa nel suo racconto proprio quella prevalenza dell'immagine che ritroviamo nella cultura filmografica, utilizzando ritmo e stilemi narrativi tipicamente cinematografici, quali la molteplicità dei punti di vista di soggettivi.
Sono ovviamente presenti, sparsi nel flusso narrativo numerosi riferimenti cnematografici tra i quali ha una parte di rilievo Kill Bill di Quentin Tarantino, ma anche la scena in diretta della decapitazione dell'americano Nick Berg negli anni del post-11 settembre.
Non c'è salvezza nella sua storia: carnefici e vittime sono tutti dannati, condannati ad un destino terribile e crudele.
La metafora proposta è quella della società che genera mostri per immetterli in un suo circo visuale, al quale si può accedere con biglietti esclusivi da pagare a peso d'oro. Ma l'aspetto più atroce è che anche i terrificanti mostri ibridi creati (è immediato e naturale il rimando a quelli wellsiani di cui si racconta ne "L'Isola del dottor Moreau"), dopo essersi ribellati agli aguzzini da cui sono stati creati mostrano di essere dipendenti da quelle stesse immagini a cui hanno contribuito a dare vita.
Non c'è risoluzione per il protagonista Giovanni Vigo, studioso di Dante ed anche, occasionalmente, giornalista di cronaca nera, ma solo la possibilità di farsi narratore "claustrale" della storia che lo ha visto protagonista, ma rinuunciando per sempre all'uso dello sguardo (nel suo doppio scambio del guardare e dell'essere guardato).
La "cigliatura" è una pratica che originariamente faceva parte dell'addestramento dei falconi per la caccia, poi superata dall'introduzione del cappuccio ad opera di Federico II, grande esperto di Falconeria e autore di un trattato su questa pratica venatoria, ai tempi considerata "nobile" (De Arti Venandi cum Avibus).
Questa la presentazione del romanzo nel risguardo di copertina
Credo, peraltro, che un romanzo per essere efficace debba essere provocatorio e dissacrante, mai ammiccante e compiacente rispetto al desiderio di alcuni lettori di non essere turbati: in questo senso "Palpebre" è decisamente d'impatto e induce alla riflessione, anche se alcuni suoi elementi sono decisamente non realistici, ma proprio per questo efficace a creare le premesse per un salto verso il mondo della metafora.
"Palpebre" è tutto incentrato sulla perversione dello sguardo e dell'occhio, con una serie di ampi riferimenti a Dante Alighieri e al contrapasso riservato agli invidiosi con la pratica della "cigliatura".
Peraltro, Canova - critico cinematografico di rilievo e professore ordinario di Storia e critica del cinema presso l'Università IULM di Milan travasa nel suo racconto proprio quella prevalenza dell'immagine che ritroviamo nella cultura filmografica, utilizzando ritmo e stilemi narrativi tipicamente cinematografici, quali la molteplicità dei punti di vista di soggettivi.
Sono ovviamente presenti, sparsi nel flusso narrativo numerosi riferimenti cnematografici tra i quali ha una parte di rilievo Kill Bill di Quentin Tarantino, ma anche la scena in diretta della decapitazione dell'americano Nick Berg negli anni del post-11 settembre.
Non c'è salvezza nella sua storia: carnefici e vittime sono tutti dannati, condannati ad un destino terribile e crudele.
La metafora proposta è quella della società che genera mostri per immetterli in un suo circo visuale, al quale si può accedere con biglietti esclusivi da pagare a peso d'oro. Ma l'aspetto più atroce è che anche i terrificanti mostri ibridi creati (è immediato e naturale il rimando a quelli wellsiani di cui si racconta ne "L'Isola del dottor Moreau"), dopo essersi ribellati agli aguzzini da cui sono stati creati mostrano di essere dipendenti da quelle stesse immagini a cui hanno contribuito a dare vita.
Non c'è risoluzione per il protagonista Giovanni Vigo, studioso di Dante ed anche, occasionalmente, giornalista di cronaca nera, ma solo la possibilità di farsi narratore "claustrale" della storia che lo ha visto protagonista, ma rinuunciando per sempre all'uso dello sguardo (nel suo doppio scambio del guardare e dell'essere guardato).
La "cigliatura" è una pratica che originariamente faceva parte dell'addestramento dei falconi per la caccia, poi superata dall'introduzione del cappuccio ad opera di Federico II, grande esperto di Falconeria e autore di un trattato su questa pratica venatoria, ai tempi considerata "nobile" (De Arti Venandi cum Avibus).
Non si deve dimenticare che Federico II, oltre ad introdurre e diffondere l'arte della Falconeria in Italia, fece proprio l'uso orientale del cappuccio durante il periodo di addestramento per tranquillizzare il falco, rendendo questa fase di approccio con l'animale meno crudele: tradizionalmente si usava infatti "cigliare", o, come suggerisce l'imperatore "bloire" il falco.
L'operazione consisteva nel cucire le palpebre dell'animale per poi allentare gradualmente la chiusura della sutura con l'avanzare del livello di addestramento.
Questa la presentazione del romanzo nel risguardo di copertina
A volte per cambiare un destino basta uno sguardo. Uno sguardo come quello che Giovanni Vigo posa su una donna giovane e troppo bella. Uno sguardo che lo spinge a seguirla in uno dei bagni dell'Università Statale di Milano, dove lei entra con un uomo. È così che Giovanni Vigo, studioso delle pene che Dante infligge alle anime dei peccatori nel Purgatorio, si trova a essere l'unico testimone di un omicidio che non lascia tracce. Quel delitto diventa un'ossessione, soprattutto quando viene ritrovato il cadavere dell'uomo, orrendamente mutilato. Per rintracciare Mia, la giovane donna sfuggente e misteriosa, Vigo chiede aiuto all'amico Simmel, cronista di nera. Ben presto Vigo e Simmel si trovano alle prese con una pericolosa organizzazione, che promette di soddisfare le richieste più estreme.
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