mercoledì 17 marzo 2010

Vite da homeless e l'arte di arrangiarsi


L'altro giorno, in uno dei miei consueti giri di corsa sono passato nei pressi della Fiera del Mediterraneo di Palermo.
Davanti ad una delle due biglietterie ubicate in corrispondenza dell'ingresso principale e con il favore di una pensilina di profondità sufficiente a proteggere dalla pioggia e dalle intemperie, c'erano in bell'ordine le tracce del bivacco notturno di qualcuno senza fissa dimora, anche se l'evidente abitudinarietà dell'utilizzo del luogo
"sufficientemente" confortevole, lo autorizza sicuramente a considerarlo "suo", se così ci si può azzardare a dire.
Il posto era tenuto, nei limiti del possibile, pulito e in ordine, quasi fosse un ambiente domestico. C'era un materasso addossato alla parete per evitare che improvvisi piovaschi diurni potessero bagnarlo; poi, sui ripiani di marmo davanti alle finestrelle dei botteghino, si vedevano in bell'ordine: un fagotto di coperte e di panni, una bottiglia di vino (da quattro soldi), tre posate per consumare frugali pasti, un bel mucchietto di cotton fioc ancora non utilizzati - a giudicare dal loro biancore - e, per completare il tutto, un po' più discosto, un flacone di Maalox, per sopperire ai bruciori di stomaco notturni originati dai postumi delle bevute e da pasti consumati freddi.
Non male: l'osservazione di quest'ordine domestico ha generato in
me un sentimento di tenerezza, difficile da descrivere, assieme alla percezione di una fiducia di base nei confronti del mondo da parte dell'abitore di questo cantuccio, momentaneamente assente.
La disposizione ordinata - quasi amorevole - di questi oggetti scarni ed essenziali ci mostra con forza un fatto: chi è senza fissa dimora, il più delle volte non per propria scelta, tende comunque a realizzare un angolo dove possa stare in modo confortevole e che possa riconoscere come la propria casa, per quanto frugale, essenziale ed impermanente.



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