Le stazioni possiedono delle qualità particolari. Sono dei luoghi di transito, dove tutto è costantemente in movimento.
Momenti convulsi in cui si creano flussi monodirezionali di grandi masse alternati ad intervalli di stasi e relativa quiete.
Chi si ferma, uscendo fuori dai vettori del movimento lineare rappresenta l'anonalia, in quanto - anche se per pochi istanti soltanto - trasforma il non-luogo in luogo, in un piccolo angolo confortevole dove vengono collocati alcuni ancoraggi.
E' come se in una stazione dominassero su tutto i vettori del tempo lineare.
Se questi si inceppano gli utenti si sentono perduti quasi fossero costretti in una deriva che viene sentita come inquietante (destrutturante): da qui le manifestazioni di intolleranza ed impazienza che, in alcuni casi, sconfinano nell'ansia e nel panico. La virtù è quella di saper stare, accettando l'arrotolarsi del tempo lineare in una dimensione sospesa, nella quale tutto può accadere e nel cui contesto qualsiasi cosa si faccia può prendere il sapore magico di ciò che non è previsto o pianificato.
Sedersi su di una panchina, fermarsi in un bar per sorbire un caffè, leggere da un libro, osservare ciò che accade tutt'intorno a te, percepire suoni, colori, odori. Avere il privilegio di stare fermi, mentre tutti quelli che si muovono attorno a te sembrano trasportati da un tapis roulant o immessi in un'enorme centrifuga che produce frullati di corpi e di vite amalgamate, spogliate di qualsiasi individualità.
Al movimento convulso di grandi masse di persone, ciascuna immessa in una sua traiettoria, fanno da contraltare l'immobilità e il silenzio, che per esempio si possono riscontrare in orari marginali, quando le banchine si fanno deserte.
Le luci si affievoliscono e soltanto pochi e sparuti passeggeri vi indugiano in attesa, non si sa di cosa.
Oppure semplicemente stanno... come se avessero dimenticato quale sia la loro meta.
Momenti convulsi in cui si creano flussi monodirezionali di grandi masse alternati ad intervalli di stasi e relativa quiete.
Chi si ferma, uscendo fuori dai vettori del movimento lineare rappresenta l'anonalia, in quanto - anche se per pochi istanti soltanto - trasforma il non-luogo in luogo, in un piccolo angolo confortevole dove vengono collocati alcuni ancoraggi.
E' come se in una stazione dominassero su tutto i vettori del tempo lineare.
Se questi si inceppano gli utenti si sentono perduti quasi fossero costretti in una deriva che viene sentita come inquietante (destrutturante): da qui le manifestazioni di intolleranza ed impazienza che, in alcuni casi, sconfinano nell'ansia e nel panico. La virtù è quella di saper stare, accettando l'arrotolarsi del tempo lineare in una dimensione sospesa, nella quale tutto può accadere e nel cui contesto qualsiasi cosa si faccia può prendere il sapore magico di ciò che non è previsto o pianificato.
Sedersi su di una panchina, fermarsi in un bar per sorbire un caffè, leggere da un libro, osservare ciò che accade tutt'intorno a te, percepire suoni, colori, odori. Avere il privilegio di stare fermi, mentre tutti quelli che si muovono attorno a te sembrano trasportati da un tapis roulant o immessi in un'enorme centrifuga che produce frullati di corpi e di vite amalgamate, spogliate di qualsiasi individualità.
Al movimento convulso di grandi masse di persone, ciascuna immessa in una sua traiettoria, fanno da contraltare l'immobilità e il silenzio, che per esempio si possono riscontrare in orari marginali, quando le banchine si fanno deserte.
Le luci si affievoliscono e soltanto pochi e sparuti passeggeri vi indugiano in attesa, non si sa di cosa.
Oppure semplicemente stanno... come se avessero dimenticato quale sia la loro meta.
La leggerezza di Italo Calvino
"… è la mia peculiare malinconia composta da elementi diversi, quintessenza di varie sostanze, e più precisamente di... tante differenti esperienze di viaggi durante i quali quel perpetuo ruminare mi
ha sprofondato in una capricciosissima tristezza.Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle minutissime d’umori e sensazioni, un pulviscolo d’atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima sostanza della molteplicità delle cose.” (Italo Calvino, Lezioni americane)
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