lunedì 21 settembre 2009

Le nuvole tra scienza ed arte: un oggetto sempre mutevole ed inafferrabile



Mexico e nuvole, il tempo passa sull'America,
il vento suona la sua armonica,
che voglia di piangere ho.
Mexico e nuvole la faccia triste dell'America
il vento insiste con l'armonica,
che voglia di piangere ho.
Mexico e nuvole, il tempo passa con l'armonica,
il vento insiste sull'America,
che voglia di ridere ho
(Jannacci)

In origine le montagne avevano grandi ali.
Volavano per il cielo e si fermavano sulla terra, seguendo il loro piacere.
Allora la terra tremava e vacillava.
Indra recise le ali alle montagne.
Fissò le montagne alla terra per renderla stabile.
Le ali diventarono nubi.
Da allora le nubi si raccolgono attorno alle cime.
(Un’antica leggenda, citata da Roberto Calasso, in “La rovina di Katsch”)



Mi piacerebbe scrivere un articolo sulle nuvole.
Lo dico sempre e non lo faccio mai.
Nel tempo, ho raccolto diverso materiale: ma ancora non sono riuscito ad organizzarlo bene come vorrei.
Quello che segue è semplicemente il primo assemblaggio dei miei appunti sparsi.
Che propongo qui, lasciandoli fluidi, così come li ho buttati giù, ancora con una struttura di tipo libero-associativa.
Le molteplici sensazioni che si generano, quando si osservano galleggiare alte sopra le nostre teste danno compagnia al viandante e suggeriscono forme, fogge, figure di animali viventi ed estinti, personaggi mitologici, oggetti inquietanti e dalla foggia misteriosa cui è difficile dare un nome: eppure, forse, da qualche parte si potrà pur trovare un giro di aggettivi, verbi, frasi per poterle descrivere.
Ci sono, nei giorni di scirocco lunghe nuvole dai bordi lisci, isolate l'una dall'altra e immote (a differenza di quelle che nei giorni di vento mutano di continua forma e contorni): siccome hanno un'estensione gigantesca (a volte una lunghezza di diverse centinaia di metri), un osservatore dalla fantasia fervida potrebbe pensare che si tratti di astronavi aliene mascherate da nuvole in attesa di uno sbarco alla maniera di quella descritta dalla penna di Wells ne "La guerra dei mondi"
È straordinario vedere le nuvole dell'alba che, man mano che sorge il sole dalla linea dell’orizzonte, vanno trascolorando da una sfumatura di colore ad un altra; oppure - al tramonto - quando dal basso sono illuminate da un chiarore abbagliante che accende il bordo di cumuli grigi e rigonfi di pioggia, minacciosi per via della loro massa che - tuttavia - vengono impreziositi ed ingentiliti da questi merletti di luce.
Da bambini, era comune il gioco di stare a guardare per ore le trasformazioni delle nuvole, le metamorfosi da una foggia all'altra, vinceva chi - al suo turno - riusciva più rapidamente ad identificare una nuova forma. Abbiamo perso l'attitudine ad osservare e a contemplare ciò ci circonda: come se - schiavi del mezzo televisivo o dei videogiochi - dovesse venire - prima - in termini di valore di realtà - ciò che è dentro il tubo catodico (e nella percezione immediata, dietro il vetro dello schermo) p nel display del gioco elettronico.
Ciò che, al confronto con la realtà, non è poi tanto reale.
Eppure le nuvole con la loro mutevolezza hanno a che vedere con il sogno e con la fantasia: con il loro esserci ci danno compagnia, ma suggeriscono anche l'idea che siano creature appartenenti ad un mondo altro.
Ricordo che, da piccolo, fui molto colpito dalla storia di Topolino e l'uomo Nuvola, pur con le sue sobrie tavole disegnate, ma non colorate.


Topolino e il mistero dell'uomo nuvola
(Island in the sky) è una storia a strisce della Walt Disney realizzata da Floyd Gottfredson (soggetto e disegni), Ted Osborne (sceneggiatura) e Ted Thwaites (ripasso a china), pubblicata sui quotidiani statunitensi dal 30 novembre 1936 al 3 aprile 1937. In Italia è comparsa per la prima volta sui numeri dal 223 al 255 di Topolino giornale, nel periodo che va dal 1º aprile all'11 novembre 1937 ed è stata successivamente resa disponibile in successive edizioni anastatiche.
Nella storia, Topolino e Pippo hanno acquistato un aeroplano con la ricompensa che hanno ricevuto per aver risolto il mistero della villa del signor Bassett (nella storia del 1936 “Topolino nella casa dei fantasmi”), grazie al quale, volando nel cielo, si imbattono nell'isola volante del professor Enigm, scopritore dell'energia atomica e dissimulata appunto da alcune nuvole generate per mezzo dei potenti macchinari di cui Enigm dispone.
Una citazione della storia è presente all'inizio dell'avventura Topolino e il gorilla Spettro del 1937, suo sequel. Quindi stare con l'occhio incollato al cielo ad osservare le nubi che si formano , si rincorrono, spariscono era per l'uomo antico un modo per stare a contatto con un mondo metafisico, che lo metteva in connessione con forze potenti.
Non è un caso che la lettura del movimento delle nubi potesse essere utilizzata dagli antichi a scopo divinatorio, quasi che le nubi appartenessero ad un mondo sovrannaturale ed ultraterreno.
L'uomo di oggi non è più capace di cogliere nelle cose la molteplicità e la ricchezza dei significati.
Si ferma il più delle volte soltanto alla superficie e all'apparenza.
Non cerca più di cogliere la complessità e la molteplicità: che di per se sono perturbanti perché creano conflitti e movimentazioni interiori.
In particolar modo, le nuvole che sono fluide e mutevoli possiedono proprio queste potenzialità.
Per esempio, in Giovanna d’Arco di Luc Besson, l’approssimarsi di uno stato alterato di coscienza estatica in Giovanna è segnalato da una veloce movimentazione delle nubi in cielo e da una iper-definizione dei loro contorni, che generano nello spettatore un forte senso di straniamento.


In più, anche se esiste una terminologia specifica, ci manca spesso il linguaggio appropriato per descriverle.
Perchè?
Paul Auster, grande scrittore nordamericano dalla sensibilità profondamente europea, racconta in Moon Palace (Einaudi, 1997) questa sotto-storia che coinvolge il protagonista (che è anche l'io narrante).
Marco Stanley Fogg, ad un certo punto della vicenda, per sbarcare il lunario, accetta di mettersi al servizio di Mr Effing, un anziano
stravagante ed eccentrico, ma alquanto danaroso, cieco e ridotto in sedia a rotelle.
I compiti di Fogg, come egli stesso apprenderà in corso d'opera, sono molteplici: intrattenere il suo datore di lavoro, leggergli il giornale, leggergli dei libri, portarlo in giro in lunghe passeggiate newyorchesi e, spingendo la carrozzina, descrivergli ciò che vede.
Su questa “funzione” Effing è particolarmente intransigente.
Richiede – anzi pretende – che Fogg sia sempre molto circostanziato e preciso. Non vede e pretende di vedere con gli occhi di Fogg, ma perché questa visione vicaria sia realizzabile, occorre una traduzione in parole di ciò che Fogg vede precisa e circostanziata, con le giuste scelte linguistiche e relative aggettivazioni.
Questo compito per Fogg diventa una vera e propria sfida: e man mano che passa il tempo e si moltiplicano le loro passeggiate va diventando sempre più sofisticato ed esauriente nelle sue traduzioni verbali del percetto.
In fondo, così facendo, applica uno sforzo che siamo chiamati a fare, quando – avendo osservato il complesso e mutevole universo delle nuvole – ci sforziamo di descriverlo ad altri con la stessa ricchezza sensoriale e percettiva con cui è entrato in noi.
Ecco alcuni passaggi delle riflessioni di Fogg, impegnato in uno sforzo che - metaforicamente - rimanda al compito dello scrittore, quando si sforza di trasmettere agli altri ciò che ha visto, partendo dal presupposto che nulla deve essere mai dato per scontato, facendo ricorso a spiegazioni stereotipe, e che – in ogni caso – ogni cosa va osservata e descritta, come se fosse vista per la prima volta.

“Che cosa vedi? E, se vedi qualcosa, come puoi trasformarlo in parole? Il mondo penetra in noi per il tramite degli occhi, tuttavia noi non siamo in grado di dargli un senso finchè esso non scende alla bocca: Presi a calcolare quanto lungo fosse questo percorso, a capire quale itinerario dovesse coprire una cosaal fine di trasferirsi da uno di tali punti all’altro.. In termini effettivi non si tratta di più di cinque centimetri, ma se si considerano tutti gli incidenti e le perdita che possono avere luogo strada facendo, potrebbe benissimo equivalere ad un viaggio dalla terra alla luna.
(…)
Sono tutte cose che ho già visto, mi dicevo, come può essere che mi risulti difficile descriverle? Un idrante antincendio, un taxi, un fiotto di vapore che emerge dal selciato: tutte cose che mi erano profondamente familiari, che pensavo di conoscere a memoria: Invece non mettevo in conto la mutevolezza di simili cose, il modo in cui esse cambiano con l’angolazione della luce, come il loro aspetto può venire alterato dagli eventi circostanti: il passaggio di una persona, un’improvvisa folata di vento, un riflesso strano. Tutto è in costante flusso…” (op.cit., pp.133-134).

Per molti le nuvole “sono” semplicemente, cioè si dà la loro esistenza per scontata.
Ma non è affatto così: le nuvole sono – come il cielo ed altri fenomeni naturali – un oggetto di osservazione mutevole in massimo grado.
Occorre una specifica competenza per poterle descrivere. Si tratta di un problema semantico tale da rilevare persino le più sotili sfumature, così come gli Inuit hanno, nel loro lessico, almeno venti parole diverse per dire la parola "neve" che per noi è solo e semplicemente "neve", ma nello stesso, occorre anche fantasia descrittiva, all’occorenza con un pizzico di approccio “visionario”.
Scienza e arte assieme: due diversi percorsi che sono stati seguiti per descrivere e fissare le nuvole in certe tipologie descrittive.
La scienza e l'arte di descrivere le nuvole nascono, tuttavia, alla fine del XVIII secolo con Luke Howard che coniò una terminologia descrittiva che venne successivamente ripresa da Goethe (in una delle sue mirabili sintesi tra scienza e cultura). Successivamente all'esposizione di Luke Howard (che rimane tuttora insuperata) venne fondata una società (Società Askesiana di Londra) per la descrizione delle nuvole che produsse uno specifico trattato, al quale si ispirò Goethe nella stesura del suo libricino.
La descrizione sistematica delle nuvole, peraltro, è divenuta la base della moderna meteorologia, quando dopo quasi un secolo dalla prima esposizione pubblica di Luke Howard, nella Conferenza meteorologica del 1896 la sua classificazione delle nuvole venne accettata come sistema di classificazione universale.
E, in effetti, ciascuno di noi ricorderà - come retaggio dei suoi studi liceali (oggi, scuole superiori) nello studio della geografia il capitolo descrittivo sulla forma delle nuvole, presto finito - come tante altre cose - alla fine della scuola nel dimenticatoio.
Ai curiosi e a tutti quelli che siano desiderosi di ricominciare a stare con l'occhio incollato al cielo, a quelli che volessero costruirsi un archivio fotografico descrittivo delle nuvole, viene in soccorso un interessante "manuale" di pubblicazione abbastanza recente (in realtà ben più di un manuale) sulle nuvole, che contiene un po' di tutto dalla descrizione analitica delle singole tipologie di nuvole alle loro caratteristiche "meteorologiche" ai loro riferimenti simbologici (Gavin Pretor-Pinney, Cloudspotting. Una guida per i contemplatori di nuvole, Guanda 2006).
D'altra parte, per il fatto che, costituite come sono di una sostanza eterea, le nuvole, condividendo la materia stessa del mito e del sogno, hanno da sempre interessato letterati e scrittori, ma anche il sapere popolare (avete mai provato a pensare in quanti proverbi popolari compaiono le nuvole?).
Per questo nell’incipit, come epigrafe al testo, ho voluto inserire il refrain di Mexico e nuvole di Jannacci, come anche è un must la citazione de “Le nuvole” di De André.

Le nuvole
Fabrizio de André


Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore

Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai

Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.


Piccola bibliografia essenziale
  1. Stéphane Audeguy, La teoria delle nuvole, Fazi Editore
  2. J. W. Goethe, La forma delle nuvole, Archinto;
  3. Richard Hamblyn, L'invenzione delle nuvole. La storia affascinante della nascita della meteorologia, Rizzoli;
  4. Luca Mercalli, Filosofia delle nuvole, Rizzoli;
  5. Gavin Pretor-Pinney, Cloudspotting. Una guida per i contemplatori di nuvole

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