mercoledì 23 settembre 2009

La gang dei sogni: un grande affresco che sarebbe piaciuto a Sergio Leone


"La gang dei sogni" (Luca Di Fulvio, Mondadori, 2008) è un romanzo che si legge avidamente sino alla fine, senza un attimo di cedimento del desiderio di andare avanti.
Ha una struttura narrativa particolare, perchè dopo un inizio unitario con la storia di Cetta, del suo arrivo in America e dei suoi difficili inizi nel "nuovo mondo", la trama si faben più complessa. In questa prima parte, con l'affresco di Little Italy e del mondo brulicante degli immigrati che lottano per diventare "americani", il romanzo ricorda molto
"C'era una volta in America" e, sicuramente, sarebbe molto piaciuto a Sergio Leone.
Poi, la struttura narrativa si suddivide in tre filoni principali che riguardano i tre veri protagonisti di più di due terzi della storia, mentre Cetta - pur mantenendo la sua importanza - recede più sullo sfondo: è come se ci fosse il passaggio di una generazione, con il farsi grande del figlio di Cetta, Christmas che lotta per diventare "americano", secondo gli insegnamenti della mamma, ma nello stesso tempo impara a vivere ai margini, creando tuttavia una sua banda (tutto sommato benevola e fondata sulla fantasia più che sulla dura realtà); poi compare Ruth che, rappresentando la "buona società" scaturita da una prima ondata di immigrati, deve guarire - nel corpo e nella mente - da una violenta aggressione; ed infine Bill Cochrann, lo stupratore di Ruth, che si pone come una sorta di alter ego malvagio di Christmas.
Le storie dei tre stanno a contatto, divergono, tornano a intrecciarsi: e il piacere della lettura si fonda proprio sulla mutevolezza di questi tre percorsi di vita che, mentre si dipanano, portano il lettore a viaggiare attraverso gli States sino alla California, a Los Angeles e ai nascenti
studios hollywoodiani.
In queste pagine c'è tratteggiata anche tutta la storia dell'intrattenimento mediatico di quegli anni: i primi passi della cinematografia sia di quella "ufficiale", sia di quella clandestina (con la rappresentazione dell'oscuro mondo del porno e del suo filone sadico che preconizza i cosiddetti "stuff movies"), l'avventura dei grandi fotografi (come si vede nel percorso di Ruth che, attraverso la fotografia, ritrova una via di salvezza dal tunnel della depressione e dell'assenza di speranza, e che, con il suo interesse per i volti dominati dall'assenza di sorriso, ricorda molto Diane Arbus, anche lei di origine ebraica i cui genitori appartenenti ad una famiglia di pellicciai newyorkesi avevano fatto fortuna grazie all'intraprendenza del nonno), ma anche l'avventura della nascita delle grandi emittenti radio e del broadcasting.
Molto rappresentative le pagine sull'emittente radio clandestina - la KCK - fondata da Christmas e dai suoi amici, che ha all'inizio si basa su di un'unica trasmissione che è quella gestita spavaldamente da Christmas ("Buonantotte, New York..."). Christmas in questa avventura radiofonica riesce alla grande. I suoi podcast (come verrebbero chiamati oggi) sono avvincenti perchè, in essi, egli riversa la sua rabbia e le sue aspirazioni, mettendoci tutte quei racconti che ha raccolto di prima mano dalla strada, direttamente dalla viva voce dei protagonisti, oppure che ha avuto modo di osservare direttamente, vivendo una vita ai margini e di difficoltà in cui nulla è mai gratuito o dato per scontato.
Il podcast di Christmas ha successo perchè tutti gli ascoltatori s'identificano in esso: i diseredati, le prostitute, i piccoli delinquenti di strada, perfino i mafiosi, ma anche "the straight people" che, quel mondo di cui racconta Christmas, non lo hanno mai conosciuto direttamente.
E' il fascino del raccontar storie che viene esaltato in questa parte del romanzo... Ed è il fascino della sua capacità di raccontare storie che molti di coloro che Christmas incontra subiscono. Christmas, attraverso l'etere, diviene il cantastorie di New York ed è così che si compie il processo del suo farsi "americano", secondo i suoi desideri, ma anchea coronamento del sogno di mamma Cetta.
Se è vero che i personaggi dei romanzi rappresentano sempre qualcosa dell'autore, allora la parabola di Christmas fa in qualche modo riferimento all'essere narratore di storie e affabulatore, perchè c'è il passaggio dalla parola parlata e detta alla frase scritta, dalla condizione di "contastorie" a quella di scrittore di sceneggiature e forse - un giorno - anche di romanzi.
Insomma: c'è anche (forse in una rappresentazione velatamente autobiografica) la parabola del farsi scrittore che - per riuscire - dev'essere in primo luogo un formidabile narratore di storie.
Come, peraltro, Bill Cochrann rappresenta l'animaccia nera di Luca Di Fulvio, quel che rimane del suo gusto per il thriller, ai cui clichè - coraggiosamente - il nostro scrittore non ha voluto rimanere confinato.
Insomma, "La gang dei sogni" è avvincente, molto ben scritto, con una prosa attenta ed esenziale, curatissima, senza una sbavatura. L'intreccio è magistrale, anche per tutte le sottostorie di cui è composto che confluiscono in un grande affresco capace di generare momenti di autentica commozione.
Per quanto riguarda il titolo, riporto qui una piccola notazione che mi ha trasmesso lo stesso Luca Di Fulvio - del quale ho l'onore di reputarmi amico (anche se non ci siamo mai incontrati di persona) - quando gli ho inoltrato una mia mail per dirgli delle mie impressioni alla lettura del suo romanzo e scusandomi se ancora non avevo scritto un mio commento su di esso:
Grazie per la Gang, che io continuo a chiamare Diamond Dogs perché quel brutto titolo mi è stato imposto e non farò mai più la sciocchezza di accettarlo. Non c'è mai ritardo con i libri; per fortuna sono merce senza data di scadenza. Sono i nostri critici che li trattano così, visto che non fanno più i critici ma i giornalisti di cronaca editoriale; sono loro che ti recensiscono nel primo mese e mezzo e poi mai più, tradendo il loro mestiere. Noi lettori, per fortuna, leggiamo quando ci va.
Sì, Bill è quel che resta della mia anima nera di scrittore.



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