L'altro giorno mi é capitato di rivedere, dopo tanto tempo (quasi trent'anni sono trascorsi dalla sua uscita nelle sale cinematografiche), "I Goonies" di franca ispirazione spielbergiana (Spielberg ne fu il produttore).
Un film sull'infanzia e sull'adolescenza desiderosa di riti di passaggio, di confronto con l'avventura vissuta e con quella tramandata dai racconti dei padri e filtrata attraverso la lettura dei romanzi di avventura (Stevenson e L'isola del tesoro, in primis, ma anche Robinson Crusoe, e le storie di pirati e corsari in genere).
Il film ha come protagonisti un gruppo di ragazzini che, rinvenuta casualmente la mappa del galeone del pirata Willie l'Orbo, invano cercata in passato dal padre di uno di loro, si mettono alla ricerca del tesoro che secondo la leggenda sarebbe stato nascosto dallo stesso Willie l'Orbo in antagonismo con la banda Fratelli, falsari ed evasi, temibili quanto sgangherati, capeggiati da Mamma.
Gli ingredienti dell'avventura ci sono tutti, a partire dal casuale rinvenimento della mappa: passaggi segreti, cunicoli, trappole mortali e a volte un po' beffarde.
Strepitosa l'ambientazione in una fantastica località costiera dell'Oregon, battuta da enormi frangenti e abbellita da enormi faraglioni incastonati nel mare in tempesta.
Il film non ha perso nulla del suo smalto originario che, anzi, mostra quanto la cultura del videogioco oggi abbia impoverito l'immaginario cinematografico ed anche l'immaginario tout court.
Un film, per di piú fondato non solo sull'azione, ma anche sulla parola e sul racconto.
Due, infatti, tra le tante cose che si potrebbero dire diesso, sono le cose più positive e altamente educative per i giovani di oggi.
A vederlo oggi, infatti, colpiscono due cose: innanzitutto nessuno muore, come del resto nessuno viene ferito o mutilato, né ci sono spargimenti di sangue. Ciò che dovrebbe rimandare al perturbante della morte (teschi sfondati, scheletri e così via) è stilema essenziale della storia di pirati. L'unico aspetto che potrebbe avere delle valenze più inquietanti è il morto che i fratelli Fratelli conservano chiuso in ghiacciaia e che è protagonista di una esilarante confronto con il ragazzino Mouth (una sequenza che evoca un film umoristico di poco successivo, Week-end con il morto)
I protagonisti "parlano" tra loro, si raccontano e ascoltano storie, fanno progetti non necessariamente realistici (più spesso visionari ed espressione del desiderio ancora non imbrigliato dalla razionalità quotidiana), sono ricchi di inventiva e animati da spirito d'avventura, per quanto stemperato dall'ironia e, in alcuni, da un certo gusto beffardo; è evidente che leggono e hanno degli interessi intellettuali variegati e delle curiosità, senza essere appiattiti da dosi massiccie del mezzo televisivo, come strumento della fantasia hanno ancora le illustrazioni dei libri di svago su cui si sono formate le menti dei loro padri.
Una TV accesa, negli interni del film, si vede soltanto di rado: è in particolare Sloth, il fratello malformato e deforme della banda, a nutrirsi di dosi massiccie di televisione perchè - temuto dai suoi stessi fratelli e da Mamma, è costretto a stare sedute in catene. Come a dire che la televisione, nel film sia associata alla prigionia e alla costrizione, in antitesi al libero spirito d'avventura e al desiderio di iniziazione: e per questo, per scelta, viene messa in sordina.
Ciascuno dei ragazzini che compongono il gruppo rappresenta una diversa sfaccettatura del modo in cui si poteva essere un ragazzo statunitense "borghese" negli anni Ottanta, ma ciascun modello è trasportabile - fatte le debite differenze - alla cultura euoropea "media" di quello stesso periodo.
Già, i Gonnies hanno modi molteplici (e fantasiosi) per trascorrere il loro tempo, quando sono in vacanza (il film si svolge nella pausa estiva) e - si può suppore - anche quando vanno a scuola: e nessuno di loro usa alcun tipo di videogioco o di PC, per il semplice fatto che a quel tempo i videogiochi - come oggi li conosciamo - non esistevano.
Insomma, I goonies presenta il mondo dei ragazzi com'era prima dell'avvento dei videogiochi che hanno portato ad una dimensione di vita molto più solipsistica e alla forte riduzione della relazionalità.
L'apertura sul mondo e la "passione" epistemologica, oggi, sono fortemente ridotti se non assenti.
Il desiderio di avventura, la voglia di liberare la fantasia e di lasciarla andare errabonda sono scomparsi: la mente dei giovani giocatori si proeitta all'interno della macchina dei cui meandri (virtuali) essi finiscono con il diventare fini conoscitori e dove si svolgono riti di passaggio e prove iniziatiche, ma la di fuori di qualsiasi aspetto cerimoniale e in assenza del transito alle regole del mondo adulto.
Il paradosso vero è rappresentato dal fatto che negli successivi proprio I Goonies ha dato ispirazione ad alcuni popolari videogiochi.
Certo, l'era digitale e i videogiochi hanno decretato la fine di un'epoca in cui si cresceva in un modo diverso e in cui, pur con le inevitabili rotture e gap generazionali, vi era una maggiore continuità con i propri padri e in cui, insomma, vi erano tradizioni, credenze, bagagli culturali che venivano passati di mano: la televisione già esistente come fenomeno di massa sin dagli anni '60, fino agli anni '90 non ebbe il potere di impatto di cui godettero le tecnologie digitali sin dalla loro prima divulgazione al grande pubblico.
L'era digitale ha decretato l'avvento di nuove abilità, l'incremento di forme di coordinamento psicomotorio prima impensabili (per esempio nella fine regolazione occhio-percezione visiva-minuti movimenti della mano), ma certamente non lo sviluppo di nuovi saperi, nel senso che la maggior parte dei giovani sono soltanto degli utilizzatori del digitale, ma non dei veri conoscitori delle quelle tecnologie informatiche che rendono possibili i videogiochi: il loro know-how è solo ed esclusivamente finalizzato al poter essere dei bravi "consumatori".
Sono indubbiamente più soli e meno portati alla socializzazione con i propri pari.
Ed io, anche se sarò tacciato di essere un nostalgico (e la nostalgia in un mondo che deve andare sempre avanti può essere per altri ingombrante e fastidiosa), ammetto di preferire di gran lunga quel modo di essere.
Un film sull'infanzia e sull'adolescenza desiderosa di riti di passaggio, di confronto con l'avventura vissuta e con quella tramandata dai racconti dei padri e filtrata attraverso la lettura dei romanzi di avventura (Stevenson e L'isola del tesoro, in primis, ma anche Robinson Crusoe, e le storie di pirati e corsari in genere).
Il film ha come protagonisti un gruppo di ragazzini che, rinvenuta casualmente la mappa del galeone del pirata Willie l'Orbo, invano cercata in passato dal padre di uno di loro, si mettono alla ricerca del tesoro che secondo la leggenda sarebbe stato nascosto dallo stesso Willie l'Orbo in antagonismo con la banda Fratelli, falsari ed evasi, temibili quanto sgangherati, capeggiati da Mamma.
Gli ingredienti dell'avventura ci sono tutti, a partire dal casuale rinvenimento della mappa: passaggi segreti, cunicoli, trappole mortali e a volte un po' beffarde.
Strepitosa l'ambientazione in una fantastica località costiera dell'Oregon, battuta da enormi frangenti e abbellita da enormi faraglioni incastonati nel mare in tempesta.
Il film non ha perso nulla del suo smalto originario che, anzi, mostra quanto la cultura del videogioco oggi abbia impoverito l'immaginario cinematografico ed anche l'immaginario tout court.
Un film, per di piú fondato non solo sull'azione, ma anche sulla parola e sul racconto.
Due, infatti, tra le tante cose che si potrebbero dire diesso, sono le cose più positive e altamente educative per i giovani di oggi.
A vederlo oggi, infatti, colpiscono due cose: innanzitutto nessuno muore, come del resto nessuno viene ferito o mutilato, né ci sono spargimenti di sangue. Ciò che dovrebbe rimandare al perturbante della morte (teschi sfondati, scheletri e così via) è stilema essenziale della storia di pirati. L'unico aspetto che potrebbe avere delle valenze più inquietanti è il morto che i fratelli Fratelli conservano chiuso in ghiacciaia e che è protagonista di una esilarante confronto con il ragazzino Mouth (una sequenza che evoca un film umoristico di poco successivo, Week-end con il morto)
I protagonisti "parlano" tra loro, si raccontano e ascoltano storie, fanno progetti non necessariamente realistici (più spesso visionari ed espressione del desiderio ancora non imbrigliato dalla razionalità quotidiana), sono ricchi di inventiva e animati da spirito d'avventura, per quanto stemperato dall'ironia e, in alcuni, da un certo gusto beffardo; è evidente che leggono e hanno degli interessi intellettuali variegati e delle curiosità, senza essere appiattiti da dosi massiccie del mezzo televisivo, come strumento della fantasia hanno ancora le illustrazioni dei libri di svago su cui si sono formate le menti dei loro padri.
Una TV accesa, negli interni del film, si vede soltanto di rado: è in particolare Sloth, il fratello malformato e deforme della banda, a nutrirsi di dosi massiccie di televisione perchè - temuto dai suoi stessi fratelli e da Mamma, è costretto a stare sedute in catene. Come a dire che la televisione, nel film sia associata alla prigionia e alla costrizione, in antitesi al libero spirito d'avventura e al desiderio di iniziazione: e per questo, per scelta, viene messa in sordina.
Ciascuno dei ragazzini che compongono il gruppo rappresenta una diversa sfaccettatura del modo in cui si poteva essere un ragazzo statunitense "borghese" negli anni Ottanta, ma ciascun modello è trasportabile - fatte le debite differenze - alla cultura euoropea "media" di quello stesso periodo.
Già, i Gonnies hanno modi molteplici (e fantasiosi) per trascorrere il loro tempo, quando sono in vacanza (il film si svolge nella pausa estiva) e - si può suppore - anche quando vanno a scuola: e nessuno di loro usa alcun tipo di videogioco o di PC, per il semplice fatto che a quel tempo i videogiochi - come oggi li conosciamo - non esistevano.
Insomma, I goonies presenta il mondo dei ragazzi com'era prima dell'avvento dei videogiochi che hanno portato ad una dimensione di vita molto più solipsistica e alla forte riduzione della relazionalità.
L'apertura sul mondo e la "passione" epistemologica, oggi, sono fortemente ridotti se non assenti.
Il desiderio di avventura, la voglia di liberare la fantasia e di lasciarla andare errabonda sono scomparsi: la mente dei giovani giocatori si proeitta all'interno della macchina dei cui meandri (virtuali) essi finiscono con il diventare fini conoscitori e dove si svolgono riti di passaggio e prove iniziatiche, ma la di fuori di qualsiasi aspetto cerimoniale e in assenza del transito alle regole del mondo adulto.
Il paradosso vero è rappresentato dal fatto che negli successivi proprio I Goonies ha dato ispirazione ad alcuni popolari videogiochi.
Certo, l'era digitale e i videogiochi hanno decretato la fine di un'epoca in cui si cresceva in un modo diverso e in cui, pur con le inevitabili rotture e gap generazionali, vi era una maggiore continuità con i propri padri e in cui, insomma, vi erano tradizioni, credenze, bagagli culturali che venivano passati di mano: la televisione già esistente come fenomeno di massa sin dagli anni '60, fino agli anni '90 non ebbe il potere di impatto di cui godettero le tecnologie digitali sin dalla loro prima divulgazione al grande pubblico.
L'era digitale ha decretato l'avvento di nuove abilità, l'incremento di forme di coordinamento psicomotorio prima impensabili (per esempio nella fine regolazione occhio-percezione visiva-minuti movimenti della mano), ma certamente non lo sviluppo di nuovi saperi, nel senso che la maggior parte dei giovani sono soltanto degli utilizzatori del digitale, ma non dei veri conoscitori delle quelle tecnologie informatiche che rendono possibili i videogiochi: il loro know-how è solo ed esclusivamente finalizzato al poter essere dei bravi "consumatori".
Sono indubbiamente più soli e meno portati alla socializzazione con i propri pari.
Ed io, anche se sarò tacciato di essere un nostalgico (e la nostalgia in un mondo che deve andare sempre avanti può essere per altri ingombrante e fastidiosa), ammetto di preferire di gran lunga quel modo di essere.
Una piccola nota wikipediana
I Goonies è un film d'avventura del 1985, prodotto da Steven Spielberg e diretto da Richard Donner, per la sceneggiatura di Chris Columbus, ricavata dal soggetto dello stesso Spielberg. I protagonisti sono quattro ragazzi - una banda - cresciuta in una sezione di Astoria (Oregon) chiamata "Goon Docks"; proprio dal nome del loro quartiere, i ragazzi decidono di farsi chiamare col nome di 'Goonies'. Cyndi Lauper appare, per pochissimi secondi, in un cameo dove canta "The Goonies 'R' Good Enough", tema principale della colonna sonora. Nel tempo il film è diventato un vero cult per le generazioni degli anni ottanta, che ricordano la pellicola come uno dei quintessenziali del periodo.
I Goonies è un film d'avventura del 1985, prodotto da Steven Spielberg e diretto da Richard Donner, per la sceneggiatura di Chris Columbus, ricavata dal soggetto dello stesso Spielberg. I protagonisti sono quattro ragazzi - una banda - cresciuta in una sezione di Astoria (Oregon) chiamata "Goon Docks"; proprio dal nome del loro quartiere, i ragazzi decidono di farsi chiamare col nome di 'Goonies'. Cyndi Lauper appare, per pochissimi secondi, in un cameo dove canta "The Goonies 'R' Good Enough", tema principale della colonna sonora. Nel tempo il film è diventato un vero cult per le generazioni degli anni ottanta, che ricordano la pellicola come uno dei quintessenziali del periodo.
Dal film sono stati inoltre tratti alcuni videogiochi, prodotti dalla Konami:
- The Goonies, che nel 1986 fu prodotto dalla Konami per il computer MSX.
- The Goonies, prodotto sempre dalla Konami per Nintendo Famicom e mai importato in Europa.
- The Goonies II, del 1987 della Konami per NES.
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