Dopo le parole distensive sull’amore che vince sull’odio, sui toni da abbassare, Silvio Berlusconi ha fatto la dichiarazione plateale: "Ha perdonato" Massimo Tartaglia.
Ma, sin dall'inizio, Massimo Tartaglia è stato dichiarato dai media, sulla base di fondate informazioni, un soggetto sofferente di problemi psichici, per i quali è stato da anni in trattamento presso strutture psichiatriche.
Siccome, nello stesso tempo, Berlusconi chiede alla giustizia di non fare eccessivi sconti all’aggressore di piazza Duomo perché altrimenti il rischio sarebbe quello di far passare il messaggio che chiunque può colpire liberamente un'istituzione, si attiva una contraddizione in termini.
Il perdono può essere erogato soltanto a chi manifesta consapevolezza della colpa per un gesto lesivo compiuto.
Laddove, per via di un'infermità psichica, non vi sia consapevolezza alcuna del gesto appena compiuto in modi che abbiano causato nocumento ad altri non vi può essere pentimento nè tantomeno dall'offeso può essere elargito un perdono.
Le dichiarazioni di Berlusconi, in questo senso sono state premature, poichè egli ha espresso il suo perdono a Tartaglia d'emblée, come dichiarazione plateale ed ostentata.
Evidentemente, considerandolo consapevole del suo gesto (non il gesto di un folle, ma quello portato avanti con lucida determinazione), contestualmente, afferma tuttavia che i magistrati non dovranno fare a Tartaglia eccessivi sconti di pena.
Allora, Tartaglia è perdonato o non è perdonato?
Se è perdonato, non dovrebbe essere perseguito, né penalmente, né civilmente, mentre - indubbiamente - i legali di Berlusconi intraprenderanno contro di lui anche un contenzioso civile per il risarcimento del danno subito dal Premier (sia somatico sia esistenziale).
Ma se Tartaglia è un disabile psichico che, per via delle sue manifestazioni psicopatologiche, presenta una semi-infermità di mente, che ha gravemente menomato la sua capacità di intendere e di volere, o una totale infermità di mente che tali capacità ha abolito del tutto, allora - per definizione - non è consapevole di ciò che ha fatto, non può fare alcun esercizio di auto-critica e non ha la possibilità di valutare la gravità degli effetti della sua azione; di conseguenza, non può nemmeno esprimere pentimento, né tantomeno essere perdonato.
Giustamente, la vedova del poliziotto di scorta ucciso dalla mafia, grido in chiesa, durante la cerimonia funebre per le vittime di quella strage: "Mafiosi, inginocchiatevi! Ed io vi perdono.", quasi dire. Venite allo scoperto, riconoscete la vostra colpa inginocchiandovi ed io vi potrò perdonare". E si badi il perdono "umano" del singolo non necessariamente coincide con il decorso della Giustizia, nel senso che il perdono in sè non esenta dall'azione penale. Anzi, il corretto decorso dellìazione penale è un requisito fondamentale perchè si possano attuare tutte quelle condizioni che favoriscano l'intimo riconoscimento della colpa, il pentimento e, eventualmente, il generarsi del perdono da parte dell'offeso.
Il perdono di Berlusconi, invece, è stato affrettato, mostrandosi con una sua qualità plateale e, indubbiamente, istrionica,ed è stato lanciato più per l'immagine che nella sostanza.
Che Berlusconi perdoni così precipitosamente - prima che sia perfezionato un reale accertamento delle cose, compresa una specifica perizia psichiatrica su Tartaglia che consenta di legare in qualche misura le sue condizioni psicopatologiche al gesto compiuto - è quanto meno prematuro, avventato, superficiale.
Ma, considerando le qualità del nostro premier e della particolare tipologia di società dello spettacolo che egli ha generato, il singolo gesto per essere spettacolare non necessita nè di profondità nè di sostanza, ma deve soltanto colpire lo spettatore per la sua gratuita spettacolarità: il perdono, dunque,è stato un gesto da guitto - più che altro - attento a soddisfare le esigenze del suo pubblico.
Appare evidente che Tartaglia, correttamente, debba essere prima giudicato e che, laddove dichiarato colpevole (quindi con una pena erogata), solo allora e, a condizione, che egli esprima pentimento, Berlusconi possa - umanamente, solo umanamente - perdonarlo.
Ma c'è da dubitare che, a percorso processuale compiuto e nella riservatezza di uno spazio privato, Berlusconi possa aver voglia ancora di perdonare Massimo Tartaglia.
Ben diversamente si è comportato il Papa dopo l'aggressione in Vaticano, alla vigilia di Natale, da parte di Iva Majoli. Dopo l'interruzione concitata della processione e la sua caduta, il Papa si è ripreso e, con la ieraticità richiesta, ha continuato a celebrare la cerimonia in cui era intento.
Non ha pronunciato una sola parola in merito all'accaduto, né subito dopo il fatto (a caldo), né dopo (a Messa conclusa o nei giorni successivi).
Vorrei ricordare che Papa Giovanni Paolo II, a distanza di anni, andò a visitare il suo attentatore che, chiuso in una cella, scontava la sua pena, e - soltanto dopo che Alì Agca ebbe modo di esprimere pentimento per il gesto compiuto - il Papa lo perdonò, nel senso cristiano del termine, cioè gli remise la sua colpa, come per effetto di una confessione.
Nel confronto tra i due fatti recenti, entrambi connotati da un'azione aggressiva per quanto calibrata in modo diverso, si ravvisa immediatamente la differenza di statura tra i due personaggi: istrionico il nostro premier, pronto a fare una dichiarazione avventata e non fondata (perchè le circostanze ed il clima psicologico del gesto di Tartaglia devono ancora essere indagate e giudicate) e assolutamente carismatico ed ieratico il Papa che, nemmeno per un istante, ha tradito la compostezza rituale richiesta al suo ruolo di rappresentante del Dio dei Cristiani in terra.
Alla luce delle riflessioni sulle diverse categorie del perdono esposte sotto, appare evidente che, con il suo perdono, Berlusconi sia sia collocato in una posizione di preminenza rispetto al Papa. Mentre quest'ultimo, infatti, ha mantenuto un composto silenzio sull'aggressione subita, Berlusconi si è immediatamente pronunciato, a caldo, con il volto lacerato e sanguinante, ad accrescere il pathos della sua dichiarazione. Viene da pensare alle parole - tramandate dai Vangeli - che Gesù Cristo pronunciòcrocifisso ed agonizzante:"Padre, perdona loro, perchè non sanno quel che fanno" e al fatto che lo stesso Gesù Cristo rimette il perdono al padre. Lui, mentre è crocifisso e soffre per quello che gli uomini gli stanno facendo, non è in condizione di perdonare.
Psicologicamente, quando si subisce un male, è difficile - se non impossibile - perdonare il proprio carnefice.
Ebbene, Berlusconi ha perdonato, assumendo contemporaneamente il ruolo del Figlio, come vittima sacrificale, e del Padre a cui si rimette il perdono.
Resta da capire se le parole del nostro Premier siano state dettate da ingenua buona fede, o da megalomania e delirio di onnipotenza, oppure infine da un'esigenza tattica che decisa a tavolino ripropone in modo ossessivo - anche se metamorfico - una rappresentazione di Sè come potentissimo dittatore oppure come un monarca assoluto. Ricordiamo che alcuni, analizzando la figura di Berlusconi, hanno chiamato in campo la figura dei "re taumaturghi" (di cui i sovrani francesi, sino alla Rivoluzione furono un paradigmatico esempio) che. come avevano il potere di guarire, così avevano il potere di perdonare.
La parola perdono deriva dal verbo perdonare che ha origine da condonare con cambio di prefisso e come forma rafforzativa (dal latino medievale, documentato nel secolo X).
1. Il perdono è un gesto umanitario con cui, vincendo rancori e risentimenti, si rinuncia a ogni forma di rivalsa di punizione o di vendetta nei confronti di un offensore. Per estensione ha il valore d'indulgenza verso le debolezze o le difficoltà altrui, oppure di commiserazione o di benevolenza. Un'altra estensione è la forma di cortesia: Chiedo, domando perdono....
2. Il perdono è anche un atto di clemenza di una pubblica autorità, un atto di grazia, la sospensione della persecuzione per varie categorie di reati. Nel passato, in linguaggio desueto, per perdono della vita s'intendeva l'esenzione della pena di morte o la grazia della vita. Nel diritto penale il perdono giudiziale è il beneficio applicato in particolari condizioni, secondo quanto previsto dagli articoli del Codice Penale.
3. Il perdono in senso ecclesiastico è la remissione dei peccati, l'assoluzione delle colpe contro Dio e contro la Chiesa. Può assumere la veste d'indulgenza plenaria o parziale, temporanea o perpetua concessa dalla Chiesa in relazione a una ricorrenza (giubileo) o un luogo importante, o collegato a un insieme di pratiche collettive o a un pellegrinaggio.
4. Il perdono in senso cristiano è la remissione dei peccati che Dio accorda quando il peccatore pentito riconosce, confessa e abbandona il suo peccato. I peccati sono perdonati da Dio grazie all'opera perfetta compiuta da Gesù Cristo che, morendo sulla croce e risuscitando il terzo giorno, ha pagato il prezzo che nessun uomo poteva pagare.Il perdono cristiano è strettamente legato alla penitenza, in greco metamelomai (avere rimorso rimpianto e pentimento, cambiare opinione e giudizio su qualcuno) e metanoeo (cambiare mentalità, mutare pensiero, convertirsi).
Gesù invita alla penitenza in (Lc 13). San Paolo scrive: - Benedetti (makarioi) e felici e degni di invidia coloro a cui le iniquità sono perdonate e i cui peccati sono sepolti - (Romani 4, 7-8).
Negli ultimi decenni, il perdono ha ricevuto l'attenzione di quanti studiano la psicologia sociale. Sebbene non vi sia ancora una definizione da un punto di vista psicologico di questo concetto che raggiunga un sufficiente consenso nella letteratura relativa alla ricerca in tale campo, molti ricercatori assumono che il perdono sia correlato ad un cambiamento verso la socialità nelle motivazioni interpersonali nei confronti di un'altra persona che ha commesso un torto o un danno. Nello specifico, tre cambiamenti nelle motivazioni sembrano avvenire quando si perdona qualcuno:
1. Un aumento nella motivazione ad agire in un modo che beneficia colui che ci ha offeso o la relazione con tale persona;
2. Un calo nella motivazione di rivalersi nei confronti di colui che ha commesso il torto;
3. Un calo nella motivazione di evitare la persona che ha commesso il torto.
Nessun commento:
Posta un commento