domenica 13 giugno 2010

Cacciatori e pescatori nelle convulsioni della notte

La notte

Un'antica tonnara.

Dopo aver superato un piccolo ponte di pietra a dorso di mulo, ci si entra attraverso un portone monumentale.

A cui segue, dopo aver percorso un ampio passaggio dalla volta a botte, una grande corte interna, il fondo di sottile polvere di pietra d'aspra macinata che imbianca le scarpe e copre di un velo di talco impalpabile i piedi calzati di sandali delle donne.

Torme di avventori arrivano di continuo: sembra quasi che vengano vomitati nella grande corte, sparsa di tavoli, di sedie e, ai margini gazebo addobbati con divanetti.

Il grande portone spalancato è la bocca che vomita uomini e donne.

Oppure si potrebbe, egualmente, immaginare che la corte interna sia una grande stomaco dove le persone che arrivano attraverso la grande bocca-esofago vengono miscelate e opportunamente digerite, trasformate in una sorta di impasto indifferenziato che finisce con lo spalmare mura e addobbi del vasto cortile.

L'amalgama che funge da succo gastrico facilitante la digestione di questo insieme eterogeneo è la musica che promana da una postazione allestita pure all'esterno, dove l'alchimista musicale-DJ governa con abili variazioni dei flussi sonori l'umore dei partecipanti all'happening (techno con delle variazioni hip hop, jungle, ripetizioni e iterazioni ossessive degli stessi fraseggi musicali e di riff che paiono sempre eguali ed ipnotizzanti.

Molto omologazione di comportamenti e di posture.

Domina l'esibizione di sé e la ricerca affannosa: sguardi che vagano senza fissarsi mai da nessuna parte, sguardi predatori, sguardi affamati.

Non si parla molto, ci si guarda molto, ci si studia, si cercano approcci facili.

Uomini che arrivano da soli.

Donne che si presentano in coppia con un'amica, piccoli gruppetti monosex che rapidamente si disperdono, amalgamandosi nella calca indifferenziata, ognuno alla ricerca del suo aggancio per concludere la serata con un "acchiappo" veloce e disimpegnato.

Uomini e donne si sfiorano, volteggiano, si osservano.

Abbigliamento di tutti i tipi e per tutti i gusti.

Gli uomini più tendenti al casual, alcuni magari con capi di valore ma sobri, le donne più in tiro dagli abiti più fantasiosi a quelli attillati in nero.

Tre donne più avanzate d'età stanno al centro della corte, sedute indolentemente attorno ad un tavolino: una posizione che sembra bizzarra, perché le colloca al centro dell'attenzione quasi nel punto focale dell'arrivugghio. Sembra che si siano volutamente posizionate lì, per poter osservare senza parere chiunque passi e, del pari ricevere debitamente omaggio da chiunque passi di lì.

Il passaggio è obbligato peraltro: proprio per quel punto la folla s’incanala per accedere ad un grande locale dal soffitto di possenti travature lignee, dove nel vasto spazio sostenuto da pilastri di pietra sono strategicamente disposti divanetti, poltrone e puffi; dove, ad una parete è allineata la mescita delle bevande alcooliche e non, e dove si aprono le porte che immettono nei servizi igienici.

Questo spazio è un'autentica oasi di pace, molto riparata anche dalle ondate sonore che invece inquinano di decibel la corte affollata e densa di folla inquieta: sembra essere adibito al riposo e alla disintossicazione, ma è anche possibile condurvi delle conversazioni pacate, senza alzare eccessivamente il tono della voce per farsi sentire dai propri interlocutori e, proprio per questo, preferito dalle comitive miste preferendo quest’atmosfera raccolta al dispersivo spazio esterno.

I gruppetti che non vogliono diluirsi nella folla irrequieta sembrano composti da esseri alieni, fuori posto in un universo mobile che sembra essere perennemente in caccia, di cui non condividono i codici

In effetti, al passaggio, molti si fermano ad ossequiare le tre donne in nero, tra le quali una palesemente anziana, con una zazzera crespa e biondastra, addobbato con un abito nero fasciante e sandali dai tacchi alti, è una nota organizzatrice di eventi di cui non ricordo il nome.

Quando la folla si fa troppo fitta e risulterebbe soffocante rimanere seduti, costei si alza in piedi e, dall'alto della sua statura accresciuta dai tacchi molti alti, si guarda in giro altera, ma senza guardare mai nessuno veramente, dando l'impressione d’un ragno che, dopo aver tessuto la sua tela, attende paziente la sua preda, sapendo che le prede arriveranno comunque sino a lei seguendo fili e percorsi che sono stati tracciati.

La musica investe tutti e li racchiude in un bozzolo, eccitando e accrescendo a dismisura la voglia di movimento, ma non c'è una reale volontà di danzare, abbandonandosi alla foga liberatoria del movimento al ritmo della musica cadenzata ed ipnotica in un corroborante tripudio psico-fisico del proprio sé: chi inizia a seguire con il corpo il ritmo imposto dalla musica, non si lascia mai andare, bensì mantiene un atteggiamento vigile, lo sguardo esplorativo per incrociare altri sguardi che veicolano solitudini e agganciarli per un fulmineo approccio.

D'altronde, in questa bailamme, la finta danza - più che altro una tumultuosa agitazione di corpi - serve a garantire una maggiore contiguità somatica tra potenziali partner e ad assicurare possibili accoppiamenti. Infatti, spesso, dal tumulto della folla si distaccano delle coppie neo-costituite - con il sapore dell'effimero e del provvisorio - alla ricerca di angoli più tranquilli dove parlottare e dove dare corso ad approcci fisici più diretti.

Nella danza non mancano coloro che - in modo più intraprendente - si lasciano andare a toccamenti oppure appiccicano il proprio bacino (anche se per pochi secondi soltanto) a quello d'un possibile partner. Appena un cenno di debordamento lascivo, ma è quanto basta, per lanciare un segnale...

Sembra di assistere ai mille modi di lancio e rilancio di un amo con l’ausilio di una lenza in attesa di capire quale pesce abboccherà. I lanci sono numerosi e molteplici. Vige il principio del “Chi piglio, ma piglio”, ma non mancano nemmeno quelli che puntano direttamente in una direzione, salvo poi a cambiare obiettivo con repentinità sulla base della convenienza…

Questo è l'interesse dominante della maggior parte dei frequentatori di questo locale, come - suppongo - di tanti altri consimili.

Dall'edificio in pietra di cui si è detto prima, antiche finestre si aprono aggettanti sul mare e su di un'ampia spiaggia che si è formata, dove anni prima c'era solo una distesa di acqua marina, a causa della continua deposizione di detriti con il mutevole gioco delle correnti marine.

Questa spiaggia, totalmente al buio, è percorsa da una fresca brezza.

Lontano sul limitare dell'acqua diversi pescatori con la canna attendono che le loro prede abbocchino.

Lì non c'è clamore, soltanto qualche bisbiglio, parole appena pronunciate, ma prevalentemente silenzi, qualche improvviso e transitorio barbaglio proveniente da una lampadina elettrica.

Al di là dei pescatori si scorge - o meglio si indovina - la massa nera ed imponente del mare, immobile questa sera come un’enorme bestia possente ed acquattata che respira con un suo ritmo secolare, disseminata delle luci sparse delle lampare di altri pescatori che, pazienti sulle proprie barche, anch'essi attendono la loro preda.

Uno scenario di grande pace che fa da contraltare all'atmosfera convulsa della tonnara.

Di questa scena nessuno si accorge, nessuno - o quasi - ha occhi per guardarla contemplativo ed esserne colpito.

Le contingenze della caccia inducono ad essere febbrili, convulsi ed eccitati.

E di tutto questo all’alba non rimarrà più nulla, se non confusi ricordi alcoolici e soltanto la compulsione a riprendere la sera successiva nel tentativo reiterato e angoscioso di annullare un vuoto incolmabile.

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