Per i tipi di Meridiano Zero e nella traduzione di Giovanni Zucca, ha visto la luce in edizione italiana Il seme della colpa del francese Christian Lehmann, inquadrato all'interno di una collana di noir, anche se - a mio avviso - ha poco del noir in senso stretto e sembra possedere piuttosto le qualità del romanzo-denuncia che, in questo caso, tocca i temi scottanti dei diversi volti della Medicina contemporanea divisa tra aspetti umanitari e pratiche di potere e violenza che ben poco hanno a cuore la salute del paziente, se non per "vetrina".
La storia di Lehmann, egli stesso medico (pediatra) oltre che scrittore, mostra infatti il conflitto tra mondi diversi ed incompatibili nella pratica della Medicina odierna.
Da un lato, vi è lo zoccolo duro del lavoro silenzioso, senza gloria e con molti oneri, dei medici di famiglia che, se non si lasciano prendere dalla semplice burocratizzazione del proprio ruolo, sono costretti spesso a farsi carico di situazioni difficili e disperate, specie nel campo delle malattie degenerative di stadio avanzato e in quelle terminali.
Dall'altro, si riconosce in modo inequivoco la pratica della medicina come esercizio di potere, tipica di certi cattedratici e dei primari ospedalieri (almeno, di alcuni di essi), in cui ciò che conta è la salvaguardia del proprio ruolo (tutelarsi sempre le spalle e il c***), e la possibilità di mietere riconoscimenti e benefit vari, mentre i loro collaboratori sono spesso gettati allo sbaraglio, costretti ad assistere impotenti a situazioni difficili o a dover fare salti mortali per sopperire a gravi carenze strutturali.
Infine, la terza realtà è quella scintillante della Medicina mediatica, dei palinsesti che si occupano di problematiche mediche, di tutela della salute e/o di prevenzione, oppure di "casi" di malasanità.
E' questo un mondo scintillante (in cui ciò che si presenta è sempre perfetto e all'avanguardia), ma nello stesso tempo crudele e spietato, quando va alla ricerca dei "casi" da esporre al grande pubblico (il battàge mediatico attorno al caso Englaro ne è la prova).
Spesso i paladini di queste trasmissioni sono medici (specialisti e non) che hanno abbbandonato - o significativamente ridotto - la loro pratica professionale per entrare nell'universo mediatico.
E spesso si tratta di personaggi pronti a piombare come avvoltoi (o squali) sulla loro preda, che viene considerata cadavere ancora prima di esserlo, esibendo per far ciò una falsa umanità.
Spesso le apparenze ingannano e, in tali contesti, i processi mediatici vengono celebrati, prima che un un legittimo verdetto di colpevolezza sia emesso e provocando, a volte, degli effetti di linciaggio morale.
Prendendo spunto da un "presunto" caso di eutanasia, il romanzo di Lehmann ci mostra appunto questi intrecci in tutto il loro turpe squallore, gettando luce - tuttavia - sulla generosità e l'agire disinteressato di alcuni altri.
Questa la trama
La storia di Lehmann, egli stesso medico (pediatra) oltre che scrittore, mostra infatti il conflitto tra mondi diversi ed incompatibili nella pratica della Medicina odierna.
Da un lato, vi è lo zoccolo duro del lavoro silenzioso, senza gloria e con molti oneri, dei medici di famiglia che, se non si lasciano prendere dalla semplice burocratizzazione del proprio ruolo, sono costretti spesso a farsi carico di situazioni difficili e disperate, specie nel campo delle malattie degenerative di stadio avanzato e in quelle terminali.
Dall'altro, si riconosce in modo inequivoco la pratica della medicina come esercizio di potere, tipica di certi cattedratici e dei primari ospedalieri (almeno, di alcuni di essi), in cui ciò che conta è la salvaguardia del proprio ruolo (tutelarsi sempre le spalle e il c***), e la possibilità di mietere riconoscimenti e benefit vari, mentre i loro collaboratori sono spesso gettati allo sbaraglio, costretti ad assistere impotenti a situazioni difficili o a dover fare salti mortali per sopperire a gravi carenze strutturali.
Infine, la terza realtà è quella scintillante della Medicina mediatica, dei palinsesti che si occupano di problematiche mediche, di tutela della salute e/o di prevenzione, oppure di "casi" di malasanità.
E' questo un mondo scintillante (in cui ciò che si presenta è sempre perfetto e all'avanguardia), ma nello stesso tempo crudele e spietato, quando va alla ricerca dei "casi" da esporre al grande pubblico (il battàge mediatico attorno al caso Englaro ne è la prova).
Spesso i paladini di queste trasmissioni sono medici (specialisti e non) che hanno abbbandonato - o significativamente ridotto - la loro pratica professionale per entrare nell'universo mediatico.
E spesso si tratta di personaggi pronti a piombare come avvoltoi (o squali) sulla loro preda, che viene considerata cadavere ancora prima di esserlo, esibendo per far ciò una falsa umanità.
Spesso le apparenze ingannano e, in tali contesti, i processi mediatici vengono celebrati, prima che un un legittimo verdetto di colpevolezza sia emesso e provocando, a volte, degli effetti di linciaggio morale.
Prendendo spunto da un "presunto" caso di eutanasia, il romanzo di Lehmann ci mostra appunto questi intrecci in tutto il loro turpe squallore, gettando luce - tuttavia - sulla generosità e l'agire disinteressato di alcuni altri.
Questa la trama
Il dottor Laurent Scheller credeva nel suo lavoro, aveva a cuore i suoi pazienti e amava profondamente sua moglie. Una vita fa. Ora è uno scrittore di best seller e un'acclamata star televisiva. La vita di tredici anni prima è un ricordo che il successo ha soffiato via. Finché una notte, al telefono, una donna, la voce rotta dal pianto, chiede il suo aiuto. Il suo vecchio amico Thierry Salvaing è finito in prigione con l'accusa di aver ucciso una paziente. Ma il Thierry che ricorda lui è un puro, forse anche troppo ingenuo, che del mondo ha ritagliato solo lo spazio di un piccolo nido per sé e la sua famiglia. L'uomo che lo accusa è invece un arrogante barone della medicina, un intoccabile ipocrita le cui molestie sui pazienti e sui sottoposti sembrano essere al di sopra della legge. Per un divo della tv sembra così facile commuovere il pubblico, lottare per Thierry, ribaltare l'esito scontato di un processo in un trionfo che vada contro ogni previsione e aspettativa possibili. Ma la ricerca della verità, il faccia a faccia con gli affetti a cui ha rinunciato, porterà Laurent sotto i riflettori di un'intera nazione, dove la troppa luce non risparmia in nessuno i germi del male. E ciò che emergerà non farà piacere a molte persone, a cominciare da Laurent.
Breve nota biografica sull'autore
Christian Lehmann nasce a Parigi nel 1958. Diventa medico generico nel 1985. Da allora affianca la sua professione con quella di scrittore e giornalista. Oltre a essere autore di gialli e noir è un apprezzato scrittore per bambini.
Mi scrive Marco Visentini di Meridiano Zero, cui ho inoltrato il link sull mio commento:
RispondiEliminaGrazie molto, molto bello.
Anche se io penso che il noir sia proprio questo, o meglio 'anche' questo, cioe' l'indagare sui lati piu' scuri della natura umana, e non solo sparatorie e omicidi. Sto cercando da tempo di far capire che il noir e' anche un gioco di atmosfere e non solo di violenza, con le scelte dei libri da pubblicare: ad es. "Lucidi corpi" e "La fiera dei serpenti" di Harry Crews, oppure "Atti privati in luoghi pubblici" e "Gli inquilini di Dirt Street" di Derek Raymond.
Cordiali saluti
Marco Vicentini
Mi sento perfettamente d'accordo su questa notazione. Il noir, in un'accezione più vasta, è un genere che indaga sui punti oscuri dell'animo umano e sulle violenze che, frequentemente mascherate con altro, vengono perpretate da "lupi" ai danni di "agnelli", tenendo conto che, oggi, non vi sono ruoli pre-costituiti e che non si aderisce sempre ad uno stesso "copione", e che i diversi ruoli, di conseguenza, sono intercambiabili.
RispondiEliminaChi è buono oggi, sara cattivo domani.
Chi è vittima, prima o poi sarà persecutore. Il noir di contemporanea declinazione parla proprio di questo, a partire dal neo-noir cruentissimo di alcuni autori americani, tra i quali Elroy ha fatto scuola.