martedì 7 settembre 2010

Un breve viaggio nel cuore della Sicilia


La Sicilia è una terra straordinaria, verde e densamente popolata nella gran parte dei suoi contorni, spoglia e desolata al suo interno. Basta abbandonare le strade costiere e piegare verso l'entroterra per avere l'impressione che si sta penetrando in un mondo arcaico e distante decine di anni dalla civilizzazione, come noi la concepiamo nel primo decennio del 2010.
Le suggestioni che si traggono da questo viaggio all’indietro nell’interiorità della Sicilia sono un po' simili a quelle raccontate da Carlo Levi in "Cristo si è fermato ad Eboli".
Esiste un profondo Sud della Sicilia ancora incontaminato e ciò è dipeso sia dalle barriere montuose che hanno isolato e protetto molte territori interni dalla urbanizzazione, ma anche dal fatto che tanto parte della Sicilia profonda - occidentale, soprattutto - è stata dominata dal latifondo che ha impedito l'emergere di un'intera classe di piccoli e medi coltivatori diretti, ma anche la mancanza d'acqua e l'inospitalità dei territori che facevano sì che i contadini preferissero vivere stretti nei centri abitati e affrontare ogni giorno lunghi spostamenti o a piedi o a dorso di mulo sino alle terre da lavorare.
Poi, nei tempi moderni arrivarono il Motom, la Lapa e, infine, i mezzi a quattro ruote che - ancora una volta - non facilitarono il decentramento abitativo.
Adesso, è cosa frequente vedere i pastori dei Nebrodi e delle Madonie, fare i pendolari da e per i luoghi di pascolo con moderni veicoli a quattro ruote motrici o con i Quad per arrivare nei terreni di pascolo più impervi: oggi non devono più confrontarsi con lunghi periodi di isolamento in luoghi impervi e distanti dal paesello, in cui si recavano con i grandi pani rotondi che dovevano durare loro per almeno una settimana con un pugno di olive e i prodotti della pastorizia a far da companatico.
Per capire questa Sicilia, fatta di grandi spazi e di addensamenti abitativi il più delle volte arroccati in luoghi impervi, occorre leggere più che "Conversazioni in Sicilia", "Le città del mondo" (Einaudi 1974), forse una delle più grandi opere – pur incompiuta - di Elio Vittorini, cominciata negli anni ’50 ad interrompere un lungo silenzio creativo, e publicata postuma nel 1969, perché ci trasmette intatta la magia della Sicilia e della vastità delle sue contrade, con una scansione narrativa che assume la configurazione di un viaggio attraverso il mare deserto da un porto all'altro (e ogni porto nella notte luccica delle sue luci rassicuranti, incastonante in un mare di oscurità, e ogni città ha le sue storie da narrare).
La strada che dalla Statale 113 si dipana verso l’interno, cioè la SS120, che ha il suo km 0 esattamente al bivio per Cerda e si muove in direzione di Caltavuturo era parte integrante del percorso storico della Targa Florio: percorrendola, si abbandonano presto le tracce della modernità e, specie d’estate, mentre ci si addentra nella valle del fiume Torto non è infrequente imbattersi in tracce di incendi che hanno annerito i campi e attaccato anche rade macchie di alberi.
Ma queste sono soltanto avvisaglie: una volta abbandonata Cerda, il paesaggio si fa sempre più collinare, la strada stretta e tortuosa, piena di strettoie e di dossi, franata in molti punti: ci si chiede come fosse possibile che, sino a recente, lungo di essa sfrecciassero i bolidi della Targa Florio e quali fossero i margini di sicurezza per i piloti, con alcune balle di fieno come unica protezione collocate qua e là, in posizioni strategiche nei punti ritenuti più critici.
Il colore dominante è il giallo dei campi che si estende in ondulazioni a perdita d’occhio sino alle masse imponenti delle Madonie, anch’esse ingiallite sino ad un certo punto delle pendici e poi rivestite di un verde boschivo che d’estate si fa stinto e smorto, mentre le cime più alte si fanno nuovamente brulle e sassose.
Ai lati, un cavallo al pascolo in un campo di stoppie e poi una mandria di mucche con i vitelli da latte.
Un paesaggio davvero ancestrale: un’impressione accresciuta dal fatto che, spegnendo il motore della propria auto, il silenzio si fa subito profondo e il passaggio di altre vetture a motore è davvero rado. Nemmeno una fila di pale eoliche in funzione riesce a introdurre con forza e in modo assertivo un elemento di modernità.
Percorrendo questa strada e addentrandosi sempre più all’interno, mentre si fanno via via più imponenti a chiudere da due lati l’ampia vallata gialla la rocca di Caltavuturo e quella ferrigna di Sclafani, al km 18 circa ci si imbatte in un basso casolare dalle muro di pietra a vivo, simile ad un analogo edificio circa un chilometro prima.
Era un vecchio deposito di trattori e altri macchinari agricoli (come l’altro un po’ prima), oggi trasformato in agriturismo (Il Cardellino di Sofia Cipolla).
La sosta qui apre delle prospettive singolari, perché è come se si fosse in un’interfaccia tra due mondi diversi.
Un lato dell’edificio infatti confina con la strada asfaltata che, in qualche modo rappresenta il contatto con la modernità e i cambiamenti introdotti dalla tecnologia: la Targa Florio con i suoi bolidi rombanti che sfrecciavano davanti a queste mura rappresentava infatti, proprio nel cuore di questa terra ancestrale, il sogno futurista di un’inarrestabile progressione verso la modernità.
La strada asfaltata e il ricordo dei bolidi rombanti (che adesso sono solo nella memoria dei nostalgici: e il rally con auto d’epoca lungo lo stesso percorso né è soltanto una pallida rievocazione) rappresentano la modernità. Si varca la soglia dell’agriturismo, o passando dalla porta che dà sulla strada o percorrendo il viale d’accesso fiancheggiato da cipressi ancora giovani, e si entra davvero in un altro mondo.
Si apre davanti al viandante un panorama intoccato una vallata che si distende ampia, d’estate tutta gialla, cintato da monti distanti: le Madonie in primo luogo, con le principali cime tutte in evidenza a formare un maestoso anfiteatro, poi girando lievemente lo sguardo ecco stagliarsi imponente la rocca di Caltavuturo (ben conosciuta dagli Arabi, come punto di importanza strategica) e la rocca montana su cui è costruita la cittadina Sclafani le cui case abbarbicate in cima al monte ne condividono la lapidea asprezza e grigiore.
E mentre nella stagione estiva il colore dominante è il giallo delle stoppie, inframmezzato dal blu azzurrino degli ulivi e dalle bordure di fico d’India, nel terreno dominato dell’agriturismo, si può godere di una profusione di essenze arbustive, rosmarino, salvia, lavanda a bordure, e poi piante di falso pepe, ginestre, cespugli di alloro e ancora cipressi accanto ad ulivi di recente impianto, in una convivenza classica che evoca certi panorami della Grecia, ma anche Foscolo e altri poeti della classicità o anche Carducci con i cipressi maestosi che bordano la via che da Bolgheri conduce a San Guido.
Più distante, un selvatico boschetto di eucalipti, mentre incastonata nel verde, una piccola piscina cattura l’azzurro del cielo, conferendo al panorama una discreta nota esotica.
Entrando in questo spazio, delimitato (alle spalle rimane pur sempre l’antico casolare e la sua ombra densa) eppure aperto si può godere di un’inusitata pace bucolica, mentre si vagabonda lungo i passaggi delimitati da siepi o ci si ferma al bordo della piscina.
Poi, con l'animo rasserenato, ci si potrà soffermare a consumare un pasto sobrio, cucinato da un cuoco giovanissimo che ammannisce agli ospiti piatti paesani confezionati seguendo le antiche ricette della nonna (proprio così!).
E, poi, alla fine, dopo aver trascorso alcune ore di disambientamento, si può tornare alla “civiltà”, soddisfatti eppure nostalgici per aver lasciato un luogo di pace edenica, al quale – appena lo si è lasciato - si vorrebbe subito tornare.
Si immagina come sarebbe lo stesso luogo nella transizione da una stagione all’altra e si vorrebbe tornare per osservarne le trasmutazioni cromatiche, ma anche di odori e fragranze.
Il viaggio di ritorno lungo questo tratto di strada regala una veduta inusitata su Monte San Calogero che con la sua mole domina la valle del fiume Torto e la cui cima è sovente incappucciata di nubi che si accendono di splendidi colori al calare del sole.

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