Oggi, camminando per strada, al termine della mia corsa quotidiana, una scritta sull'asfalto, ha attirato la mia attenzione.
In grossi caratteri cubitali bianchi e disposta per lungo, cioè nel senso di marcia e facilmento leggibile per questo motivo da chi si affacciasse dalla casa del quartiere Matteotti prospiciente, faceva così:
Devo a te ogni mio respiro.
Dirti ti amo è ben poca cosa
La cito a memoria, perchè le grandi dimensioni non mi consentivano di potere contenere tutta la frase in un'unica foto.
Le scritte sui muri e sulla strada o sugli alberi o dovunque vi sia un piccolo spazio disponibile sono un po' come i tatuaggi che oggi vanno tanto di moda e ai quali si riconosce un po' la natura di messaggio collocato proprio nell'interfaccia tra sé e il mondo e un po' quella di rappresentazione tangibile del proprio esistere, un modo per asserire con forza se stessi, a prescindere dalla valenza comunicativa effettiva, ed anche del transito di informazioni e della condivisione di sentimenti e di stati d'animo tra sé e l'Altro.
In questo senso, l'aspetto comunicativo del messaggio tracciato su superfici esterne assume una valenza del tutto secondaria, mentre ha maggior valore, indubbiamente, la sua cifra narcisistica. Più che un flusso dinamico, il messaggio scritto è un'asserzione puntiforme, bloccata, non passibile di trasformazione né richiedente un'interlocuzione.
Si potrebbe dire che tale modalità abbia esattamente lo stesso valore del messaggio che si lancia in mare rinchiuso in una bottiglia ermeticamente chiusa.
Qualcuno lo potrà leggere in un ipotetico futuro e non si sa chi.
A chi lo lancia non importa sapere nè quando sarà letto, nè da chi.
Mentre io scrivo il messaggio e lo confeziono nel suo format, io sono vivo, ESISTO.
E, in ultima analisi, è questo ciò che conta.
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