lunedì 1 giugno 2009

La solitudine del maratoneta e la capacità di trovare da soli il proprio traguardo


"La solitudine del maratoneta" ("The loneliness of the long distance runner" è il titolo originale, Minimum Fax, 2009), ripubblicata in questa edizione nel cinquantesimo anniversario della prima uscita, deve la sua fama - in parte - a una suggestiva trasposizione cinematografica ("Gioventù, amore e rabbia" di Tony Richardson, 1962) del racconto che dà il titolo alla raccolta. Il racconto che si dispiega in quasi sessanta pagine è un lungo e inarrestabile fiume in piena di associazioni mentali, pensieri, sensazioni, emozioni e scandaglia, al ritmo dei passi del protagonista, durante una lunga competizione di corsa campestre, la sua mente. Ai tempi della prima pubblicazione, il successo del racconto fu assicurato sia dal contenuto, ma soprattutto, dallo stile innovativo, e ancor oggi modernissimo, di Alan Sillitoe, collegabile alla corrente degli "Angry young men" della letteratura inglese del dopoguerra.
Il suo ritratto di un'Inghilterra proletaria, frustrata o ribelle, si delinea attraverso una serie di personaggi che, nella loro quotidianità, restano tuttavia figure emblematiche di uno dei periodi più fecondi della cultura britannica del Novecento.
Ciò si vede bene nel dispiegarsi dei racconti contenuti nella raccolta a partire dalla storia del ribelle Colin che, attraverso la corsa, trova la sua via al riscatto sociale, anche se perfino in questa strada che ha imboccato non rinuncia ad un giovanile ribellismo, con un'apertura improvvisa all'autodeterminazione e all'auto-assertività.
Colin, infatti, dopo aver condotto in testa la gara (importantissima per
i dirigenti del riformatorio, che da lui si aspettano una vittoria) , si fermerà caparbiamente prima del traguardo, senza valicarlo.
Perchè - in definitiva quella non è la sua gara.
Ci piace pensare che, una volta uscito dal riformatorio e riabilitato, il nostro Colin potrà correre le sue gare e tagliare i suoi traguardi, decidendo liberamente di farlo e non perchè ne trae vantaggi e privilegi (ed essendo soggetto, quindi, ad un'implicita ed insidiosa costrizione).
Peccato che, nel piccolo prezioso racconto, resti ancora la confusione fra il long-distance cross-country che è il tipo di corsa in cui è impegnato il narratore protagonista-ribelle rinchiuso nel riformatorio e la maratona della traduzione italiana (La solitudine del maratoneta), che è un’altra cosa.
Ma ovviamente questo è un peccato veniale al confronto (che peraltro si trascina sin dalla prima edizione Einaudi), mentre rimane alto il merito di averci riproposto il racconto, insieme con gli altri della raccolta.
La fama del racconto dipese in parte dalla suggestiva trasposizione cinematografica di Richardson, mentre le quasi sessanta pagine sono il contenitore del flusso ininterrotto dei pensieri del protagonista, mentre corre: una lunga carrellata di introspezione assolutamente credibile e nella quale viene facile identificarsi.
Una storia emblematica che mi piace davvero tanto (da rileggere ogni tanto) e che riesce ad esprimere in metafora una condizione dell’uomo.
Poi, per chi conosce e pratica la corsa, dice delle cose davvero profonde ed attinenti (che molto rispecchiano il tipo di sensibilità, lo stato d’animo ed i pensieri di chi corre).

Basta leggerne alcuni passaggi per rendersene conto.

Una cosa davvero curiosa è il fatto che Alan Sillitoe, così straordinariamente capace di descrivere così minuziosamente i pensieri di un uomo che corre e le sue sensazioni di euforia e libertà, trascorse gran parte della sua vita costretto su una sedia a rotelle.


E' davvero benvenuta questa riedizione del cinquantenario della prima pubblicazione di quest'opera di uno scrittore complessivamente caduto nel dimenticatoio.
Alcuni anni fa misi le mani su di una copia de “La solitudine del Maratoneta” pubblicata da Einaudi come testo scolastico (grazie al mio amico Enzo che me ne fece dono).
Ed è quella che ho avuto sinora. Anche se il racconto ancora prima l’avevo già letto in fotocopia.

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