mercoledì 6 ottobre 2010

In "The dome" di Stephen King, una piccola comunità del Maine degenera nella lotta tra i molti malvagi e i pochi onesti


I duemila abitanti circa di una piccola cittadina del Maine, Chester’s Mill, all’improvviso, rimangono isolati dal resto del mondo da una cupola invisibile e impenetrabile a qualsiasi tentativo di effrazione. La comunità rimane del tutto isolata e presto si delineano opposti schieramenti: da un lato, i “cattivi” capeggiati da Big Jim che, consigliere comunale e rivenditore di auto d’occasione, con le sue borie dittatoriali dà rapidamente vita ad una micro-ditatura e Dale Barbara, ex-militare che tenta di venire a capo della matassa e salvare la comunità, aiutato da una manciata di cittadini onesti e capaci di resistere alle seduzioni del male. Sempre più i pochi attori buoni pendono a pensare che sono diventati come formichine, osservate da qualcuno infinitamente più grande e potente, attraverso una lente d'ingrandimento, un po' per gioco un po' per simulare un crudele esperimento.
Questa la cornice generale del recente romanzo di Stephen King, pubblicato in Italia, alcuni mesi fa, addirittura in anteprima mondiale (The dome, Sperling&Kupfer, 2009).
Il romanzo è nato da una traccia di racconto che già in passato Stephen King cercò di trasformare in romanzo, ma senza riuscirci e abbandonando il progetto.
“Cominciai a cercare di scrivere questo libro nel 1976 e me ne ritrassi con la coda tra le gambe, dopo due settimane di lavoro che ammontavano a 75 pagine. Quel dattiloscritto era andato perso quel giorno del 2007, quando decisi di riprovare, ma ricordavo abbastanza bene il primo capitolo - ‘L’aereo e la marmotta’ – da poterlo ricreare quasi com’era in origine”. (ib, Nota dell’autore, p. 1037)
Ha già raccolto una vera pioggia di commenti su IBS: alla scheda corrispondente, si possono già leggere ben 138 recensioni, tuttavia non tutte entusiasticamente favorevoli, dal momento che la media del voto (da 1 a 5) è di 3,95.
Allo stato attuale Stephen King può piacere, come può non piacere: ovviamente, piace incondizionatamente ai suoi fan sfegatati - quelli che corrono in libreria a comprarsi l'ultimo romanzo pubblicato ancora fresco di stampa.
A chi si accosta adesso alla lettura delle sue ultime opere, senza conoscere quelle precedenti, può indubbiamente piacere soprattutto quella grande capacità di affabulazione che porta il lettore a vivere una miriade di storie e sottostorie e vedere la rappresentazione di un'intera comunità.
Per altri che, invece, ben conoscono l'opera di King e dei suoi passati fasti, anche visionari (se si considera, per esempio, il grande affresco de L'ombra dello scorpione, oppure di It, o la saga fantasy-horror de La torre nera), ma che non ne accettano acriticamente le nuove opere (solo perchè griffate "Re dell'Horror"), oggi c’è motivo di rimanere un po' delusi da una narrativa che è sempre più tutta mestiere e routine, ma priva della verve e dell'originalità delle prime opere.
Con The dome entriamo ancora una volta nel filone narrativo kinghiano in cui esseri alieni sovadeterminati controllano gli Umani, entrando in contatto con una piccola comunità, che diventa così una sorta di teatro del mondo, e tentando di dominarla (si vedano, ad esempio, Tommyknocker – Le creature del buio, Insomnia oppure o il più recente L’acchiappasogni). Per altro, Stephen King ha sempre mostrato un interesse sfegatato verso ciò che accade in una piccola comunità quando viene presa d’assalto dal Male (si vedano ad esempio, lo stesso It, che pur con i suoi risvolti cosmogonici, rappresenta ciò che accade in un piccolo contesto urbano da sempre contaminato da una presenza oscura, oppure Le notti di Salem – che propone una rivisitazione del tema del Vampiro – oppure Cose preziose).
Poi, una volta stabilite queste coordinate, il gioco è fatto e le tematiche kinghiane prendono a muoversi secondo rotte prevedibili: si tratta di studiare gli effetti dell'assalto alieno oppure dell’isolamento in una piccola comunità, in cui rapidamente si passa ad una profonda scissione tra cattivi e buoni. Ovviamente, secondo la visione del mondo di King, i primi, contagiati dal Male, sono già malvagi da prima: solo che la loro malvagità, prima tenuta a freno da alcuni imprescindibili vincoli sociali, può adesso manifestarsi liberamente con il favore delle circostanze. E, tutti i malvagi, hanno i loro scheletri nell’armadio, più o meno ingombranti. Mentre costoro sembrano essere dominati da un pensiero megalomanico di tipo schizofrenico-paranoide, i secondi - i buoni che hanno acquisito e consolidato nel tempo il loro essere “socialmente” buoni - rimangono saldamente ancorati ad una modalità di funzionamento psichico ben più adulto - si direbbe di tipo depressivo - e cercano di prendersi "cura" delle comunità, salvando se stessi e quante più anime sia possibile dall’avanzata del Male, non sempre riuscendoci, per altro.
Il gioco narrativo è tutto qui: questo ne è il meccanismo di base. Tutto il resto è mestiere senza originalità: devo purtroppo ammetterlo. Dopo essermi sciroppate le oltre 1000 pagine del romanzo, devo dire che non mi è rimasto molto.
Troppi déjà vu si sono affollati nella mia mente man mano che andavo avanti. Nella folla di personaggi di cui sono irte le pagine di questa sua ultima prova narrativa, sono veramente pochi quelli davvero memorabili e unici rispetto ai precedenti canovacci del "Re".
Resta il fatto che Stephen King sia un eccellente affabulatore e che i suoi romanzi rimangano comunque godibili per quanto un po’ copycat di precedenti opere: si rimane sempre un passo fuori dalla grande letteratura mainstream e si rimane confinati nel “genere”: ma i lettori di “genere” amano la ripetizione, perché è rassicurante e, tutto sommato, protegge dal perturbante “vero” ed ingestibile.

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