Emilia Costantini, giornalista, autrice di saggi di teatro e radiodrammi, è con questo romanzo alla sua prima prova nel campo della narrativa.
Tu dentro di me ha le caratteristiche del dramma che, a tratti, si stempera nella commedia, con un'attenzione marcata sui trucchi atroci e beffardi d'un destino impietoso (fato, caso o necessità che sia) nel creare un pastiche che ha un po' il sapore della tragedia edipica.
I tre personaggi fondamentali della vicenda, Livia, Edoardo e Luisa ruotano e sono vincolati l'uno all'altra da una trama sottile, dominata in apparenza dalla casualità, ma - a scavare più a fondo - da una necessità che regola il generarsi dell'attrazione reciproca, delle dinamiche dell'incontro e le successive scelte.
In breve, Livia conosce Edoardo un giovane e promettente pianista, molto più giovane di lei e subito tra i due scatta una magnetica attrazione reciproca, tanto potente quanto inspiegabile, per alcuni versi.
Edoardo è figlio di Luisa, amica e datrice di lavoro di Livia.
Quella che evolve tra loro sarebbe una "normale" storia d'amore, se non fosse che - come si viene a scoprire - Edoardo è "figlio" di Livia, il cui utero, anni prima, è stato utilizzato per una fecondazione eterologa per accogliere la cellula uovo di Luisa che, dunque, del nascituro era stata soltanto la madre genetica.
Livia, in gioventù, in cambio di un compenso, aveva preso parte ad un programma di "fecondazione assistita" (semi-clandestino, con il favore di un medico compiacente), prevedente il ricorso alla maternità surrogata: un'azione che le aveva causato molta sofferenza e che poi per reazione difensiva era stata rimossa dal panorama dei suoi ricordi coscienti.
Attraverso l'incontro con Edoardo, il rimosso riemerge con tutta la potenzialità drammatica ancora inespressa di un materiale mnestico mai sottoposto ad un processo di elaborazione.
Si configura, nella trama, la dinamica propria dell'incesto e - non a caso - anche Dacia Maraini, nella sua breve ma incisiva introduzione al volume, non esita a parlare d'un dramma edipico in versione moderna.
Il passato di Livia s'abbatte come un tornado sulla sua vita, sconvolgendola, in termini sia di rimorsi e sensi di colpa (l'aver portato in grembo un bimbo per tutto il periodo della gestazione, per poi vederselo sottratto, secondo gli accordi presi) sia di effetti pesanti ed ingestibili nel presente.
L'essere madre di Luisa subisce un fiero colpo.
Edoardo, che già anni prima aveva scoperto di essere "figlio della provetta", per aver carpito casualmente una conversazione tra i genitori, entra in crisi e, dopo un tentativo di suicidio, si spezza la sua carriera di giovane e promettente pianista.
La conclusione ha dei toni tragici.
Il cerchio si chiude suggellato dall'impossibilità per Livia di avere una nuova maternità che riscatti quella surrogata di tanti anni prima.
Livia muore, alla fine, e forse, questo, è l'unico "eccesso" del plot disegnato dall'autrice.
Il romanzo della Costantini ha il pregio di attivare una riflessione complessa ed articolata, sia sulle esasperazioni della procrezione assistita eterologa (compresa la pratica-business degli uteri "in affitto" e delle maternità surrogate che, oggi, come conseguenza delle forti restrizioni imposte dalla legge 40 voluta dall'allora ministro Giovanardi (1), è in pieno rigoglio in alcuni paesi esteri, come gli Stati Uniti - dove il costo dell'intera operazione si aggira attorno ai 100.000 euro o della concorrenziale Ucraina - dove il costo è attorno ai 42.000 euro, e che alimentano forme discutibili di "turismo procreativo"), ma soprattutto sui risvolti psicologici e sulle ricadute devastanti in termini emozionali e di scompenso psicologico (sino all'estremo dell'espressività psicopatologica) che tali prassi possono produrre negli attori a diverso titolo implicati, anche a distanza di diversi anni - madre surrogata, madre genetica, padre - e sul prodotto del concepimento stesso che, raggiunta l'età della ragione e apprendendo in modo casuale - evenienza sempre possibile - della sua origine, potrebbe produrre crisi di identità (di chi sono figlio veramente? Sono nato come un fungo... Quali sono le mie radici?, etc., etc.) e di rifiuto nei confronti dei propri genitori genetici.
Ma la storia di Livia e Edoardo pone anche un interrogativo sulla liceità di pratiche che forzano un limite posto dalla natura: in fondo, si chiede l'autrice attraverso i suoi personaggi, - e con lei - si chiedono i suoi lettori - se non sia un voler andare contro natura persevare nel progetto di avere un figlio, quando è la natura stessa ad averci posto un limite in ciò.
Afferma Livia in un acceso confronto con Luisa:
La selezione naturale, di cui ha posto le basi Darwin, in fondo faceva leva anche su questa chiave di volta fondamentale: sono avvantaggiati quei rappresentanti della specie che abbiano una maggiore forza riproduttiva e, quindi, se l'istinto riproduttivo o il desiderio di paternità o maternità non possono essere soddisfatti con mezzi naturali ci sarà alla base un motivo biologico ostativo (che magari si manifesterà come un'ineluttabile nemesi nelle generazioni future scaturite da una singola nascita prodotta con mezzi di intervento artificiali).
Il "figlio a tutti i costi" sembra rientrare nel panorama degli oggetti ottenibili nella cultura (o non-cultura) del consumismo: a pagamento si può avere (o rifiutare di avere) tutto ciò che si vuole.
Peraltro, come sostengono alcuni studiosi, l'impossibilità di generare sembrerebbe essere l'altra faccia della medaglia, misteriosa e ancora non sufficientemente studiata, del controllo esasperato della fertilità. Come se l'abbandono delle misure di controllo delle nascite non potesse più lasciare il campo ad una libera ed incondizionata capacità di generare: e allora subentra l'apparato medico che fa di tale incapacità una malattia, entrando nella dimensione privata della riproduttività con tecniche moritificanti ed invasive.
Quale la possibile soluzione per il ritorno ad un approccio più naturale alle tematiche della fertilità e della gravidanza?
Forse, smettere di desiderare con esasperazione che un figlio arrivi a tutti i costi.
Quando la mente abbandona la sua presa ferrea sul delicato equilibrio neuro-ormonale che governa il ciclo femminile, l'ovulazione e la preparazione della mucosa uterina all'accoglimento dell'uovo fecondato, quando la mente e il corpo cessano di desiderare ossessivamente l'arrivo della gravidanza, quando avviene una sorta di abbandono/resa a ritmi fisiologici più naturali e, si potrebbe dire, più "spensierati", come testimonia una psicoanalista francese che ha prestato per anni la sua competenza professionale in consulenze psicologiche presso un Centro per la maternità assistita (Marie-Magdeleine Chatel, Il disagio della procrezione. Le donne e la medicina della maternità, Il Saggiatore, 1995), spesso la donna (o per meglio dire la coppia) ritorna ad essere inaspettatatamente fertile, cioè - in altri termini - si ha la ripresa di un ciclo ovulatorio regolare.
Semplicemente, non ci si deve pensare più, secondo questa scuola di pensiero: si deve smettere di "volere" e occorre imparare a "desiderare", ma a desiderare veramente e che non si tratti d'una volontà, mascherata da desiderio.
L'onnipotenza della medicina, secondo l'autrice francese citata, portà con sé la minaccia di una nuova - e più insidiosa - forma di sterilità, nel senso che il "volere" i figli, secondo la consuetudinaria prassi attuale, è l'altra faccia della medaglia del "non volerli" (attraverso le pratiche della contraccezione). E non è detto che "volerli", equivalga a "desiderarli", nel senso che il desiderio inconscio può andare contro corrente rispetto alla volontà esplicitata.
Tutto ciò è inquinato dall'attivarsi, dietro le pieghe del "desiderio" di maternità e paternità alimentato da coppie che si sentono infelici e non realizzate senza un figlio, dal business della procreazione assistita con fecondazione eterologa su donne disponibili per una maternità surrogata e dalla creazione - attraverso l'amplificarsi e il differenziarsi dell'offerta - di un vero e proprio neo-bisogno che ha come oggetto il "voler figli".
Una brevissima carrellata di flash news tratte a caso da internet
Note
(1) Il riferimento è alla Legge 19 febbraio 2004, n. 40 "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004. .
Tu dentro di me ha le caratteristiche del dramma che, a tratti, si stempera nella commedia, con un'attenzione marcata sui trucchi atroci e beffardi d'un destino impietoso (fato, caso o necessità che sia) nel creare un pastiche che ha un po' il sapore della tragedia edipica.
I tre personaggi fondamentali della vicenda, Livia, Edoardo e Luisa ruotano e sono vincolati l'uno all'altra da una trama sottile, dominata in apparenza dalla casualità, ma - a scavare più a fondo - da una necessità che regola il generarsi dell'attrazione reciproca, delle dinamiche dell'incontro e le successive scelte.
In breve, Livia conosce Edoardo un giovane e promettente pianista, molto più giovane di lei e subito tra i due scatta una magnetica attrazione reciproca, tanto potente quanto inspiegabile, per alcuni versi.
Edoardo è figlio di Luisa, amica e datrice di lavoro di Livia.
Quella che evolve tra loro sarebbe una "normale" storia d'amore, se non fosse che - come si viene a scoprire - Edoardo è "figlio" di Livia, il cui utero, anni prima, è stato utilizzato per una fecondazione eterologa per accogliere la cellula uovo di Luisa che, dunque, del nascituro era stata soltanto la madre genetica.
Livia, in gioventù, in cambio di un compenso, aveva preso parte ad un programma di "fecondazione assistita" (semi-clandestino, con il favore di un medico compiacente), prevedente il ricorso alla maternità surrogata: un'azione che le aveva causato molta sofferenza e che poi per reazione difensiva era stata rimossa dal panorama dei suoi ricordi coscienti.
Attraverso l'incontro con Edoardo, il rimosso riemerge con tutta la potenzialità drammatica ancora inespressa di un materiale mnestico mai sottoposto ad un processo di elaborazione.
Si configura, nella trama, la dinamica propria dell'incesto e - non a caso - anche Dacia Maraini, nella sua breve ma incisiva introduzione al volume, non esita a parlare d'un dramma edipico in versione moderna.
Il passato di Livia s'abbatte come un tornado sulla sua vita, sconvolgendola, in termini sia di rimorsi e sensi di colpa (l'aver portato in grembo un bimbo per tutto il periodo della gestazione, per poi vederselo sottratto, secondo gli accordi presi) sia di effetti pesanti ed ingestibili nel presente.
L'essere madre di Luisa subisce un fiero colpo.
Edoardo, che già anni prima aveva scoperto di essere "figlio della provetta", per aver carpito casualmente una conversazione tra i genitori, entra in crisi e, dopo un tentativo di suicidio, si spezza la sua carriera di giovane e promettente pianista.
La conclusione ha dei toni tragici.
Il cerchio si chiude suggellato dall'impossibilità per Livia di avere una nuova maternità che riscatti quella surrogata di tanti anni prima.
Livia muore, alla fine, e forse, questo, è l'unico "eccesso" del plot disegnato dall'autrice.
Il romanzo della Costantini ha il pregio di attivare una riflessione complessa ed articolata, sia sulle esasperazioni della procrezione assistita eterologa (compresa la pratica-business degli uteri "in affitto" e delle maternità surrogate che, oggi, come conseguenza delle forti restrizioni imposte dalla legge 40 voluta dall'allora ministro Giovanardi (1), è in pieno rigoglio in alcuni paesi esteri, come gli Stati Uniti - dove il costo dell'intera operazione si aggira attorno ai 100.000 euro o della concorrenziale Ucraina - dove il costo è attorno ai 42.000 euro, e che alimentano forme discutibili di "turismo procreativo"), ma soprattutto sui risvolti psicologici e sulle ricadute devastanti in termini emozionali e di scompenso psicologico (sino all'estremo dell'espressività psicopatologica) che tali prassi possono produrre negli attori a diverso titolo implicati, anche a distanza di diversi anni - madre surrogata, madre genetica, padre - e sul prodotto del concepimento stesso che, raggiunta l'età della ragione e apprendendo in modo casuale - evenienza sempre possibile - della sua origine, potrebbe produrre crisi di identità (di chi sono figlio veramente? Sono nato come un fungo... Quali sono le mie radici?, etc., etc.) e di rifiuto nei confronti dei propri genitori genetici.
Ma la storia di Livia e Edoardo pone anche un interrogativo sulla liceità di pratiche che forzano un limite posto dalla natura: in fondo, si chiede l'autrice attraverso i suoi personaggi, - e con lei - si chiedono i suoi lettori - se non sia un voler andare contro natura persevare nel progetto di avere un figlio, quando è la natura stessa ad averci posto un limite in ciò.
Afferma Livia in un acceso confronto con Luisa:
Vedi, io credo che tutta l'operazione che è stata fatta e di cui siamo state protagoniste a diverso titolo, sia stata contro natura. Non credi che se una donna non riesce a portare avanti una gravidanza, ci debba essere una ragione? Non credi che nella natura nulla sia affidato al caso? Non ti ha mai sfiorato il pensiero che, forse, sta proprio nel corso naturale delle cose la mancata possibilità di avere figli?In effetti, dietro all'impossibilità di generare, ci saranno pure dei motivi imperscrutabili (che, a noi, non è dato di conoscere) ma che - con filosofia - occorrerebbe accettare.
La selezione naturale, di cui ha posto le basi Darwin, in fondo faceva leva anche su questa chiave di volta fondamentale: sono avvantaggiati quei rappresentanti della specie che abbiano una maggiore forza riproduttiva e, quindi, se l'istinto riproduttivo o il desiderio di paternità o maternità non possono essere soddisfatti con mezzi naturali ci sarà alla base un motivo biologico ostativo (che magari si manifesterà come un'ineluttabile nemesi nelle generazioni future scaturite da una singola nascita prodotta con mezzi di intervento artificiali).
Il "figlio a tutti i costi" sembra rientrare nel panorama degli oggetti ottenibili nella cultura (o non-cultura) del consumismo: a pagamento si può avere (o rifiutare di avere) tutto ciò che si vuole.
Peraltro, come sostengono alcuni studiosi, l'impossibilità di generare sembrerebbe essere l'altra faccia della medaglia, misteriosa e ancora non sufficientemente studiata, del controllo esasperato della fertilità. Come se l'abbandono delle misure di controllo delle nascite non potesse più lasciare il campo ad una libera ed incondizionata capacità di generare: e allora subentra l'apparato medico che fa di tale incapacità una malattia, entrando nella dimensione privata della riproduttività con tecniche moritificanti ed invasive.
Quale la possibile soluzione per il ritorno ad un approccio più naturale alle tematiche della fertilità e della gravidanza?
Forse, smettere di desiderare con esasperazione che un figlio arrivi a tutti i costi.
Quando la mente abbandona la sua presa ferrea sul delicato equilibrio neuro-ormonale che governa il ciclo femminile, l'ovulazione e la preparazione della mucosa uterina all'accoglimento dell'uovo fecondato, quando la mente e il corpo cessano di desiderare ossessivamente l'arrivo della gravidanza, quando avviene una sorta di abbandono/resa a ritmi fisiologici più naturali e, si potrebbe dire, più "spensierati", come testimonia una psicoanalista francese che ha prestato per anni la sua competenza professionale in consulenze psicologiche presso un Centro per la maternità assistita (Marie-Magdeleine Chatel, Il disagio della procrezione. Le donne e la medicina della maternità, Il Saggiatore, 1995), spesso la donna (o per meglio dire la coppia) ritorna ad essere inaspettatatamente fertile, cioè - in altri termini - si ha la ripresa di un ciclo ovulatorio regolare.
Semplicemente, non ci si deve pensare più, secondo questa scuola di pensiero: si deve smettere di "volere" e occorre imparare a "desiderare", ma a desiderare veramente e che non si tratti d'una volontà, mascherata da desiderio.
L'onnipotenza della medicina, secondo l'autrice francese citata, portà con sé la minaccia di una nuova - e più insidiosa - forma di sterilità, nel senso che il "volere" i figli, secondo la consuetudinaria prassi attuale, è l'altra faccia della medaglia del "non volerli" (attraverso le pratiche della contraccezione). E non è detto che "volerli", equivalga a "desiderarli", nel senso che il desiderio inconscio può andare contro corrente rispetto alla volontà esplicitata.
Tutto ciò è inquinato dall'attivarsi, dietro le pieghe del "desiderio" di maternità e paternità alimentato da coppie che si sentono infelici e non realizzate senza un figlio, dal business della procreazione assistita con fecondazione eterologa su donne disponibili per una maternità surrogata e dalla creazione - attraverso l'amplificarsi e il differenziarsi dell'offerta - di un vero e proprio neo-bisogno che ha come oggetto il "voler figli".
Una brevissima carrellata di flash news tratte a caso da internet
In Gran Bretagna risale al 1985 il primo Surrogacy Arrangements Act e la maternità surrogata è legale dal 1990. Al contrario degli Stati Uniti - dove è ormai un vero e proprio business lucroso -, in Inghilterra non sono ammessi fini commerciali e le organizzazioni che se ne occupano non possono fare pubblicità. È considerato accettabile prestare il proprio utero solo per altruismo o per amicizia e le madri surrogate possono ricevere soltanto un rimborso spese. Non esiste un pendolarismo della speranza da altri Paesi in cui la maternità surrogata è ancora vietata.
(20.01.2000).
L'Olanda prima ha accettato questa pratica e poi ci ha ripensato. Si è rivelata nel tempo troppo grande e destabilizzante, infatti, la confusione su chi e perché debba vedersi attribuito il ruolo di genitore: se la coppia committente o la donna che, a titolo più o meno gratuito, porta avanti la gravidanza e partorisce. .
Sì all'utero in affitto per una coppia romana. La decisione presa dal tribunale di Roma ha già provocato reazioni polemiche.
Le gravidanze in affitto sono consentite negli Usa ma vietate in molti Paesi europei. E da noi la legge sulla fecondazione assistita in discussione al Senato prevede addirittura la reclusione per il medico che utilizza questa pratica.
"Difendo la legge 40 perche' ho sempre pensato che i figli debbano nascere dall'incontro di un uomo e di una donna, ovvero di due persone che si assumano la responsabilità di mettere al mondo una persona. Ma so anche che, in giro per il mondo, invece, si possono comprare i fattori della produzione, perche' oggi si può assemblare un figlio, si può comprare il seme, selezionato da un donatore, che magari con lo stesso seme mette al mondo centinaia di figli, si possono affittare gli uteri e, quindi, si può mettere assieme, come fosse una macchina, un essere umano''.
Un tema delicato, che chiama in ballo etica, scienza, politica, deontologia professionale ma anche i sentimenti. Il dibattito, volendo semplificare, si può sintetizzare in una domanda: fin dove arriva il "diritto alla maternità" affermato dal giudice romano e dove invece queste "esperienze estreme" devono trovare un limite etico?
Uteri in affitto all'estero per far nascere bimbi italiani: ultima frontiera per aggirare la legge 40. Preferiti gli Usa. Pacchetti «tutto compreso». Infatti è anche questo che accade nel nostro folle paese: fatta una legge restrittiva trovato l'inganno di aggirarla soprattutto se ci sono le possibilità economiche e la voglia di maternità a tutti i costi. Non bastassero i viaggi - semiclandestini - della speranza, ora c'è la possibilità (cacciando da un minimo di 10000 euro ad un massimo di 100000 euro a seconda del paese cui ci si rivolge e del grado di sicurezza per mettersi al riparo da noie legali e quant'altro) di procedere all'affitto dell'utero altrui per avere quel figlio negato per un qualunque motivo dalla natura. L'affitto degli uteri in Italia è illegale, naturalmente, e i nostri concittadini si "organizzano" per l'estero con l'ausilio di agenzie specializzate che forniscono kit e assistenza di tutti i tipi (da quella legale a quella sanitaria).
Note
(1) Il riferimento è alla Legge 19 febbraio 2004, n. 40 "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004. .
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