domenica 6 aprile 2008

Il mio ultimo giorno di lavoro

Il 31 marzo è stato il mio ultimo giorno di lavoro come dirigente medico dell'Azienda USL 6 di Palermo. Con i miei colleghi attuali e con quelli dell'Unità operativa che diretto per tanto tempo (per quasi tutta la durata della mia vita lavorativa: sino all'Aprile del 2004) abbiamo fatto una bella festa. Ero, sì, emozionato, ma non tanto per ciò che lasciavo, piuttosto per essere arrivato ad un momento che, da qualche anno, avevo molto desiderato: la fine del lavoro, l'inizio della vita da "pensionato", che in verità - per me - coincide con l'idea forte della riconquista della "libertà" e dell'affrancamento dalla schiavitù dell'orribilissimo badge e dalla contabilità minuziosa e solerte di minuti e secondi, l'inizio d'una nuova era in cui, dopo il periodo felice degli anni d'Università, si riapre per me la possibilità di andare dove voglio, quando voglio, senza dovere compilare moduli e contromoduli, senza dover chiedere permessi a nessuno. "W, la libertà!": questo è lo slogan che mi sento d'intonare come peana, anche se poi - a ben vedere - la libertà assoluta non esiste e, una volta sciolti i vincoli che ci legano, ne compaiono sempre di nuovi, inaspettatamente. Ma è anche vero che - assieme a nuovi vincoli - s'aprono possibilità prima inedite.
Nello stesso tempo, ho avvertito dentro di me una strisciante malinconia
(che c'è tuttora): quando s'arriva ad una meta agognata, ci si rende conto che la conquista in sé non conta. Si ha nostalgia del viaggio che si è appena finito di compiere. In effetti, la cosa più importante è il viaggio, nel corso del quale, mentre si alimenta costantemente il desiderio di raggiungere una meta data, succedono delle cose meravigliose: basta saperle vedere e farne tesoro. Quando s'arriva a quella meta ambita, ciò che volevamo raggiungere, il più delle volte, si rivela essere insignificante (e si depotenzia), ma è - nello stesso tempo - importante perchè diventa un nuovo punto di partenza dal quale occorre sapersi rimettere in viaggio, sempre e di nuovo, senza abbandonare mai lo statuto di viandante e continuando a trovare altre mete che implicano strade e strade da percorrere.
La meta è il viaggio, dice il saggio...

Ma, tornando alla mia festa, sono stato veramente contento che, dal "mio" ex-SerT (servizio tossicodipendenze), siano venuti praticamente tutti i rappresentanti della "vecchia guardia" e non quelli che si sono aggiunti nel corso degli ultimi anni. Queste presenze (sommate alle assenze di altri) mi hanno consentito di mettermi in contatto, nella mia memoria, con i primi anni di vita del servizio, quando tutto era ancora in statu nascendi e c'era tanto, tanto entusiasmo: perché tutto era nuovo e tutto doveva essere inventato giorno per giorno, con spirito di servizio e con dedizione.
Poi, i tempi sono cambiati sono arrivati i contrasti e le difficoltà, anche di tipo istituzionale: nesuna garanzia, nesuna protezione, solo molte incertezze, impossibilità di risolvere molti problemi, il dover vivere dopo giorno, attendendo catastrofi imminenti e la spiacevolezza di grane a mai finire. Tutto è diventato faticoso e frustrante: è stato allora,
forse già nel 2000, che ho cominciato a desiderare di andare via.
E, in effetti, dal quel Ser.T me ne sono poi andato per concludere i miei giorni lavorativi nella sede del Distretto sanitario 13, con uno stato d'animo sereno, ma senza recuperare la fiducia nell'istituzione, nè ritrovare quelle idealità che avevano accompagnato i primi anni del mio inserimento laorativo, quando alla seduzione della libera profesione in una bella torre d'avorio avevo preferito entrare nell'allora nascente Servizio sanitario nazionale (1978: nel 2008 se ne celebra il trentennale) per essere utile e per mettere le mie competenze professionali al servizio di tutti.
Contento della ritrovata libertà, non posso non provare amarezza, constadando che viviamo sempre più in un epoca di cinismo che ha decretato la fine del lavoro, come lo intendevamo noi quando siamo diventati dipendenti del Pubblico, ma anche la morte delle idealità. Molte cose funzionano perchè tanti, pur nella frustrazione generale del contesto, lavorano con dedizione ed entusiasmo. Ma - fatte le debite eccezioni - se ci si guarda attorno, tutte le scelte attuali, inquinate dalla politica (declinata nel modo più deteriore) sono dominate dal cinismo e dall'arrivismo, dal desiderio di poter avere la propria fetta della torta e, ancora meglio, se appena ce n'è la possibilità, di poter gestire denaro, attraverso la titolarità di progetti finanziati dai Fondi europei, dallo Stato o dalle Regioni.
Questo è quanto.
Anche per questo ribadisco "W la libertà!" e "Ad maiora!", che nel mio caso saranno le piccole cose: in modo molto minimalista, vorrò poter fare le piccole cose, lavorare e studiare e scrivere, utilizzando la mia casa che mi è tanto confortevole ed è dotata di tutto ciò che mi serve per star bene (libri, muica, film).
Come fa il Candido di Voltaire, in questi tempi bui, è molto meglio ritornare a coltivare il proprio giardino. Ma non di solo giardino si vive: ho le mie corse che sono uno strumento prezioso per continuare ad esplorare il mondo ed incontrare tante persone.
La festa è stata bella. Alfonso Accursio, mio amico, collega di studi e fratello in psicoanalisi ha detto quattro parole per me, rievocando i nostri anni di università (quando, tra le tante cose, avemmo modo - da studenti di primo pelo di anatomia - di condurre assieme un seminario sull'anatomia del cervelletto), le scelte specialistiche condivise, il comune training in psicoanalisi con lo stesso "padre" (in senso psicoanalitico, l'indimenticabile Francesco Corrao). Alfonso ne ha dette tante di me, elogiandomi, e facendomi arrossire sino alla radice dei capelli (che non ho).
Poi, anche io ho voluto dire altre quattro parole (Discorso! Discorso!), ringraziando tutti coloro che erano stati con me, con i quali avevamo condiviso speranze, entuiasmi, lotte. Dopo il discorso, mi sono stati offerti dei doni che ho molto gradito: dei bei pensieri, di cui mi sono molto piaciuti soprattutto i biglietti di accompagnamento per il loro intenso carico di affettività sincera.
Uno dei doni,in particolare, vorrei menzionare qui per il suo effetto "sorpresa": in un involto avviluppato in moltepici strati di carta di giornale le cui scritte, disposte a bella posta, ammiccavano prima a fantastiche possibilità di tour in luoghi esostici del mondo (in offerta seciale, s'intende) e poi alla "terza età", scartando e riscartando, cosa ho trovato alla fine? Non ci crederete: un paio di pantofole
di panno, allusive (alla mia quiescenza lavorativa e non solo) e un bel mazzo di carte nuovo fiammante (con l'augurio di molte partitelle a scopa con i miei colleghi pensionati...).
Mi sono divertito molto, ma ho anche gradito tanto aver ricevuto i due oggetti: a parte le scherzose allusioni, mi saranno veramente utili. Ultimamente a casa, ho utilizzato un paio di ciabatte, che hanno fatto il loro tempo, decisamente indecenti e tutte sfondate, mentre il mazzo di carte siciliane va a sostituirne uno vecchio, consunto e bisunto.

L'apertura del pacchetto s'è svolta con la necessaria pantomima per il divertimento di tutti.
Infine, con la benedizione di Maurizio Gallo, sociologo del Distretto 13 e nutrizionista - l'educazione ad una sana e corretta alimentazione è tra le sue competenze nelle pratiche di educazione alla salute - ("Mangiate! Mangiate! Strafogatevi! E' tutto cibo buono!"), c'è stato da mangiare e da bere per tutti: buone cose molto apprezzate, buon vinello. Nulla è stato risparmiato dalle mandibole voraci dei miei colleghi, tutto è stato sbafato a quattro palmenti. Una vera festa festa per occhi vedere i presenti intenti a mangiare con tanto gusto e così generosamente. Poi, dopo il "salato", è stata la volta della la torta: questa, con sorpresa finale (per mio desiderio era stato adornata con un cartiglio in pasta reale che recava la scritta tracciata con crema di ciocolatta - criptica, per chi non sa - "35+57 = è fatta!").
L'idea è piaciuta a molti, tanto che persino il cartiglio è stato divorato con voracità e gusto.

Infine, brindisi con spumante, saluti, baci e tutti a casa.

Alcuni, in modo simpatico (ma me l'avevano già detto nei giorni precedenti) mi hanno ripetuto che m'invidiamo (e ci ho creduto!): da parte di costoro, si è trattato d'una benevola manifestazione empatica, senza influssi negativi.
Altri, invece...
Ma questa è tutta un'altra storia...

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